14 settembre 2010

L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE NELLE SCUOLE COMUNALI. UN DIBATTITO A PALAZZO MARINO OLTRE 100 ANNI FA


 

“Il problema della laicità della scuola potrà dunque non avere oggi soluzione, o averla provvisoria e insoddisfacente per tutti, ma risorgerà domani più vivo che mai, e diventerà uno dei punti cardinali, su cui si agiteranno le future battaglie politiche”. Con queste profetiche parole Rodolfo Mondolfo commentava su “Critica Sociale” il dibattito politico aperto dalla mozione presentata in Parlamento da Leonida Bissolati il 18 febbraio 1908. Lo scopo politico di tale mozione, era aprire una discussione sulla laicità, non tanto, o non solo, della scuola, quanto dello Stato. Al centro della discussione, in effetti, avrebbe dovuto esserci la questione legata all’insegnamento del catechismo nelle scuole elementari. Tale questione, che già nel 1908 aveva una lunga e travagliata storia, era infatti giunta il 6 febbraio di quell’anno a un apparente punto di approdo, ovvero il Regolamento generale sull’istruzione elementare firmato da Luigi Rava, ministro dell’Istruzione pubblica del governo di Giovanni Giolitti. L’articolo 3 di tale regolamento sanciva: “I comuni provvederanno all’istruzione religiosa di quegli alunni i cui genitori lo chiedano, nei giorni e nelle ore stabiliti dal Consiglio scolastico provinciale, per mezzo degli insegnanti delle classi, i quali siano reputati idonei a quest’ufficio e lo accettino, o di altre persone la cui idoneità sia riconosciuta dallo stesso Consiglio scolastico.

Quando però la maggioranza dei consiglieri assegnati al comune non creda di ordinare l’insegnamento religioso, questo potrà essere dato, a cura dei padri di famiglia che l’hanno chiesto, da persona che abbia la patente di maestro elementare e sia approvata dal Consiglio provinciale scolastico. In questo caso saranno messi a disposizione, per tale insegnamento, i locali scolastici nei giorni e nelle ore che saranno stabiliti dal Consiglio provinciale scolastico”. La mozione che Leonida Bissolati aveva presentato alla Camera partiva dunque da un passaggio parlamentare apparentemente poco rilevante, un articolo di un regolamento del ministero dell’Istruzione pubblica, ma si proponeva di porre al centro del dibattito i rapporti tra Stato e Chiesa e i termini stessi della definizione di Stato laico .

Ma cosa diceva la mozione Bissolati? Firmata dagli esponenti di spicco del socialismo e della “sinistra” parlamentare, da Bissolati, appunto, a Filippo Turati, passando per Enrico Ferri, Ettore Sacchi – radicale – Salvatore Barzilai e Federico Comandini – repubblicani – la mozione del 18 febbraio recitava, con i termini e una chiarezza oggi inconsueti: “La Camera invita il Governo ad assicurare il carattere laico della scuola elementare, vietando che in essa venga impartito, sotto qualsiasi forma, l’insegnamento religioso”. Perché i socialisti volessero fare dell’insegnamento della religione una questione politica, ce lo spiega l’Aquarone: “Ora, potrà innanzi tutto sembrare, a prima vista, che la posta in gioco non valesse tanto tumulto polemico sia dentro che fuori il Parlamento […]. L’insegnamento religioso, ridotto com’era ormai, e irrevocabilmente, alle sole scuole elementari e per di più facoltativo per gli alunni, aveva perduto da tempo ogni valore dal punto di vista della formazione morale dei fanciulli. […] Ma in realtà, anche così ridotto a una mera parvenza, l’insegnamento religioso conservava pur sempre un significato per così dire simbolico assai importante sia agli occhi della Chiesa che dell’opinione pubblica laica”.1

Era il “grande equivoco” cui fece riferimento Filippo Turati nel suo intervento alla Camera, il legame tra religione e morale: “[…] è assurdo parlare della religione e della morale. Non esiste la religione e non esiste la morale: questa è verità acquisita, che si trova persino nei manualetti per l’infanzia. Esistono le religioni, esistono le morali, al plurale. […] La religione cattolica rinforza certamente la sua morale, quella morale cioè che giova, o sembra giovare, dispensandole da ogni sforzo, alla difesa delle classi dirigenti meno evolute, e che non vogliono evolvere”. Il dibattito dalle aule parlamentari si trasferì ai consigli comunali direttamente coinvolti.

Il caso di Milano è in questo senso sicuramente uno dei più significativi, visto il ruolo che ebbe, a partire dalla vittoria elettorale del 1899, l’Unione dei partiti popolari formata da radicali, repubblicani e socialisti. Presentatisi uniti per la prima volta, i tre partiti vinsero le elezioni sconfiggendo una destra ormai segnata dalle vicende del ’98. Si elesse la giunta presieduta dal sindaco Mussi, radicale, appoggiata da repubblicani e socialisti. L’esperienza di governo per i socialisti, che entrarono con tre assessori – Luigi Majno, Angelo Filippetti e Luigi Arienti -, iniziò nel 1903, con la sostituzione del radicale Mussi con Giovanbattista Barinetti. Già nel 1902, però, la giunta milanese aveva voluto prendere posizione sulla questione dell’insegnamento della religione. Rifacendosi alla Legge Coppino del 1877, infatti, la Giunta Mussi deliberò di non avere alcun obbligo di provvedere all’insegnamento religioso nelle scuole elementari. La delibera venne annullata dal prefetto, e la Giunta ricorse al Consiglio di Stato. Il quale invitò il Governo a fare chiarezza sull’argomento, ammettendo che erano necessarie, e mancanti, un’armonizzazione tra leggi e regolamenti e una soluzione legislativa alla questione dell’insegnamento della religione25. La questione rimase in sospeso fino all’elezione della nuova giunta questa volta conservatrice guidata a Ettore.

Ponti, uscito vincitore dalle elezioni del 1905 La Giunta Ponti, aveva posto la reintroduzione dell’insegnamento religioso nelle scuole nel suo programma di governo. La dichiarazione per il bilancio preventivo del 1905 prevedeva: “Con l’inizio del nuovo anno scolastico si provvederà a ripristinare nelle scuole l’insegnamento religioso. Le norme che saranno in proposito adottate, garantiranno nel modo più assoluto la libertà di coscienza di ognuno e varranno anche a sottrarre a ogni influenza estranea la libera volontà dei genitori degli alunni”.28

Nell’ottobre 1908, dopo che il Regolamento Rava era stato approvato e la mozione Bissolati respinta in Parlamento, la Giunta guidata da Ettore Ponti si apprestava dunque ad applicare in pieno tale regolamento. Non solo, ne venne deliberata un’applicazione estensiva, che introduceva l’insegnamento del catechismo anche nelle classi superiori, la cosiddetta quinta e sesta. I socialisti, decisero insieme ai radicali di aprire la questione. E fu Filippo Turati a tenere le fila della polemica con la Giunta Ponti. Con un evidente parallelismo con l’impostazione della discussione parlamentare, il suo intento, oltre che di affrontare il problema della laicità della scuola, fu infatti soprattutto quello di spingere i liberali a dover scegliere tra difesa del laicismo e della libertà di coscienza e l’esigenza tutta politica di fedeltà agli alleati cattolici, con il rischio di divenirne succubi.

Il suo ordine del giorno, con cui si concluse la discussione del 30 ottobre in Consiglio comunale, poneva la questione in modo secco e inequivocabile, invitando i consiglieri a “abolire l’insegnamento religioso in tutte le scuole comunali di Milano”. Turati intervenne nel dibattito con perfida ironia: ” Tutta la questione sta nel libro del catechismo. Leggete questo libercolo in qualunque punto e vedrete che cosa si fa imparare ai nostri bambini. Siate religiosi finché volete. Vi sono tanti modi di essere religiosi: dalla religione del selvaggio che adora un pezzo di legno, a quella elevata di Stoppani, c’è un evidente abisso. Aprite un capitolo qualunque di questo volumetto, e sentite che cosa s’insegna dopo aver fatto imparare il segno della Croce. S’insegna che le tre persone sono una sola, sono distinte, ma confuse, sono quindi tre, ma una sola; una ha generato l’altra, ma viceversa l’altra esisteva contemporaneamente anche prima, perché essendo eterna, nessuna fu prima dell’altra, perché sono eguali, diverse, successive, confuse contemporanee. E questa cabala la trovate per duecento pagine di seguito. Io non voglio offendere il sentimento di nessuno. Supponiamo pure che questo sia vero. Ma dite: potete dare questo libro ai bambini? E manderete nella loro testa una quantità di cose, che non capiscono, che servono a nulla? È del resto confessato dal catechismo che si tratta di misteri che non si comprendono, ma che Dio stesso ha rivelati”.

Anche questo ordine del giorno, sostenuto nel dibattito da Luigi Majno, Cesare Sarfatti, Alessandro Schiavi così come la mozione Bissolati, venne respinto. Ma ancora una volta, la sconfitta socialista lasciò il segno nella vita politica, questa volta cittadina, provocando le dimissioni di quegli assessori liberali che non accettarono la politica filo clericale del sindaco. Turati d’altra parte non avevano nessuna intenzione di chiudere la questione e intervenne sull’argomento a più riprese in Consiglio comunale anche negli anni successivi.

 

Antonella Carenzi



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