7 settembre 2010

PUNTO UNO DEL PROGRAMMA: PESCI O CANNA?


 

Non è difficile prevedere che l’attenzione al programma sarà, anche nelle prossime elezioni amministrative, marginale e rituale, quasi un adempimento forzato dato l’obbligo di depositare un elaborato collegato alle candidature. Oppure usata come velo di copertura per giustificare manovre e giochi di alleanza ed esclusione. Il “chi” continua infatti a dominare la scena di una politica fondata sull’immagine e la personalizzazione mentre il “deve fare che cosa” risulta secondario e scontato, posto che nessuno tralascerà di impegnarsi per i giovani e gli anziani, le donne e gli emarginati, il verde e l’ambiente, la sicurezza e la vivibilità e così via; come non mancherà di mostrare effimero interessamento per i guai di aiuole, tombini, lampioni e simili nel corso delle spedizioni nei mercati rionali e nella propaganda “porta a porta”.

E’ possibile invece – nelle more delle congetture circa la scelta del presunto sindaco – provare a ribaltare la gerarchia “candidato/coalizione/liste/ programma” cominciando da quest’ultimo? Rovesciare una logica capovolta per rimetterla con i piedi per terra? Cosa ardua ma nient’affatto impossibile se cerchiamo di osservare la realtà oggettiva. Milano conta 1.300.000 abitanti circa. Trascuriamo in prima ipotesi i 300.000 del centro e concentriamo il discorso verso il milione delle periferie e semi-periferie. I problemi sono noti, non vale la pena rielencarli. Proviamo invece a confrontare la loro condizione prevalente con quella dei limitrofi comuni dell’hinterland, posto che Via Padova dista due km. da Cologno Monzese e altrettanti Gratosoglio da Rozzano.

Che cosa fa la differenza, dato che le condizioni sociali e le relative problematiche amministrative sono del tutto confrontabili? Per altro la situazione di partenza dei centri dell’hinterland assediati dall’immigrazione e cresciuti come “quartieri dormitorio” era, fino agli anni ’80, ancora più pesante. Tuttavia la presenza di amministratori comunali facilmente raggiungibili, costantemente pressati e incalzati da vicino da cittadini attivi e partecipi, ha consentito nel volgere di pochi anni di cambiare notevolmente la situazione creando servizi, verde attrezzato, edilizia popolare controllata; e soprattutto offrendo una sponda istituzionale alla fitta rete di associazionismo, volontariato, partecipazione che ha consentito una forte tenuta sociale ed anche politica. Le giunte “democratiche e di sinistra” sono state infatti le principali protagoniste di tale rinascita, certo non priva di ombre ma ricca di effetti positivi.

Altra cosa sono i quartieri periferici milanesi dove al fermento dei numerosi comitati, movimenti, associazioni corrisponde da un lato un Palazzo Marino lontano e sordo, dall’altro Consigli di Circoscrizione inutili e insignificanti. E’ possibile allora lanciare un messaggio (punto uno del programma) chiaro e riconoscibile che suoni pressappoco così: “Cari cittadini, questa volta non vi promettiamo il solito menù di pesce: niente orate e branzini, seppioline e calamaretti (o viceversa) bensì una canna da pesca nuova fiammante, corredata di ami e lenza, affinché vi assicuriate, con l’aggiunta di un po’ della vostra destrezza e perseveranza, la frittura quotidiana”. Quindi un decentramento netto di tutte le funzioni relative ai servizi alla persona, alla manutenzione ordinaria e straordinaria, alla socialità e alla sicurezza, da affidare a una Circoscrizione finalmente dotata di un Esecutivo con poteri simili a quelli di qualsiasi Sindaco e Giunta di un comune medio; scomponendo inoltre l’apparato e il bilancio ordinario di un mastodonte di 18.000 dipendenti, ultima azienda “fordista” ancora galleggiante.

Non si tratta di aggiungere posti, e costi, politici bensì di utilizzare, rendendoli utili e responsabili, gli attuali organismi (diciamo le 9 Circoscrizioni, anche se l’ideale sarebbero le 20 concepite allora dall’assessore Carlo Cuomo, o le 19 degli attuali collegi elettorali per la provincia). Caso mai il risparmio riguarderebbe l’appiattimento di una piramide burocratico-dicasteriale, infarcita di spoil-system e consulenze, di difficile gestione e controllo (come anche recenti poco edificanti episodi hanno messo in luce).

E Palazzo Marino? Quel che ne rimane può tranquillamente assorbire Palazzo Isimbardi (da chiudersi, possibilmente insieme alla palazzina Pastori & Casanova, sede della neo provincia Monza e Brianza!) per occuparsi del livello strategico e di sistema nella dimensione metropolitana: pianificazione del territorio, mobilità, risorse ambientali, alta cultura e innovazione.

Quindi, sotto quest’aspetto, una Milano più grande che vinca diffidenze “conservative” simili a quelle bollate con gelida ironia da Carlo Emilio Gadda che spezzò una lancia in favore di quel “provinciale” che “mise in piedi … nei prati di Lambrate … anche il Regio Politecnico … tra l’orrore dei vecchi milanesi … che seguitavano a protestare indignati contro “la cà del diavol”: essi avrebbero voluto che il nuovo politecnico fosse installato nelle cantine di Palazzo Clerici, o in via Bigli, o Santa Maria Fulcorina o Podone, vicino a qualche vecchio orinatoio pieno di nostalgie…”.

 

 

 

(*) C.E. Gadda, “Un fulmine sul 220”, Garzanti, 2000, p. 266

 

Valentino Ballabio                            

 

 


 



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