19 luglio 2010

MILANO E LA BICI: QUELLO CHE MANCA


 

Il dibattito favorito dal Manifesto per Milano evidenzia una tensione sociale costruttiva e molte aspettative che, senza risposte adeguate in tempi ragionevoli, rischiano di cedere il passo alla rassegnazione pessimistica. Anche per i temi della desiderabilità del vivere urbano. Ciò pone i cittadini di fronte ad un bivio tra partecipazione e indifferenza. Ma rende anche chiaro il tema della “responsabilità politica”, dove il potere è un mezzo per realizzare il bene della comunità, non un fine in sé. Nella Milano che vorremmo, che ruolo dovrebbe avere la ciclabilità? Problema o opportunità? Semplice accessorio o risorsa fondamentale? Non sembrino domande oziose: la bici è un paradigma della mobilità sostenibile. E il modo in cui si declina dice molto di quale sia la visione che la precede e l’accompagna.

I temi dello sviluppo della ciclabilità sono stati finora perlopiù gestiti come argomento da salotto radical-chic o da campagna elettorale. Promesse, annunci, buone intenzioni. Molta autoreferenzialità. Tante parole ma poche realizzazioni, prodotte spesso senza convinzione, e a volte anche con scarsissima competenza e spreco di risorse pubbliche.

Questa è una differenza che balza evidente a chiunque guardi con occhi limpidi a quelle realtà, soprattutto estere ma per fortuna non solo, dove la bici è di casa e l’attenzione a questi temi è costante ed efficace. Milano attende da trent’anni di toccare con la solida concretezza dei fatti una svolta che ancora tarda a venire. Ricordiamo solo il piano di rete ciclabile approvato dal consiglio comunale nel 1980, e rimasto sulla carta, che prevedeva una dotazione di oltre 300 km di piste in città.

Per uno strano destino, ogni volta che si parla di ciclabilità, a Milano, la discussione si sposta invariabilmente sul futuro, di cui si descrivono le magnifiche sorti e progressive: Expo, Raggi Verdi… Un traguardo fluttuante che, come un miraggio, resta però sempre lontano. Perché continuare a indicare obiettivi di lungo periodo, come se nel breve non si potesse fare nulla? Ci sono certo obiettivi di lungo e di breve periodo. Ma in pochi mesi e anni (due o tre) si possono produrre risultati straordinari. E allora cosa serve per dare una svolta? I cambiamenti non sono opera del caso: devono essere voluti. Per la bici non servono colossali investimenti, non sono necessari. Ma due punti sono irrinunciabili: una visione strategica sul ruolo che si vuole assegnare alla mobilità ciclistica e un dettaglio puntuale delle singole azioni da realizzare. Visione e azione. Entrambe sorrette da competenza e costantemente monitorate, in un processo di miglioramento continuo, sostenuto dal confronto positivo con le best practices. Non è dunque materia di risorse, di tecnicismi, ma innanzitutto di volontà politica e di capacità. Se questa manca, o è debole e confusa, il cambiamento auspicato e pure annunciato fatica a concretizzarsi. E’ strategico definire gli obiettivi assegnati alla ciclabilità: risorsa della mobilità quotidiana o mezzo del loisir, del tempo libero?

Se si ritiene che la ciclabilità sia una componente della mobilità quotidiana, con pari dignità rispetto alle altre, occorre pensare a una città che consenta una circolazione diffusa della bici in sicurezza su tutte le strade, con tutto quanto ne consegue in termini di dotazioni, strutture, servizi, facilities. Se viceversa la si considera una modalità residuale, allora ci si può anche accontentare di qualche manciata di piste ciclabili spezzettate, poco invitanti e non molto altro. Obiettivi di ciclabilità diffusa erano in un Piano della Mobilità Ciclistica che avevamo insieme a Luigi Riccardi contribuito a costruire, in collaborazione con lo staff dell’assessore Croci. Ma il documento non ha mai visto la luce.

E, d’altronde, i documenti servono a poco se non si traducono in realtà: dalla definizione degli obiettivi passano, con logica coerenza, le realizzazioni concrete. Quante sono, nel concreto, le occasioni mancate? Citiamone solo alcune recenti. La Stazione Centrale di Milano, oggetto di un lungo e costoso intervento di restauro che non è stato in grado di concepire lo scalo come luogo anche di interscambio tra bici e trasporto pubblico. Il tunnel di Porta Nuova, adiacente alla stazione Garibaldi, inaugurato un anno fa e inspiegabilmente vietato alle bici, costrette a un’alternativa inesistente. La ztl che si sta realizzando in via Paolo Sarpi, che esclude la transitabilità in bici nei due sensi (salvo che venga finalmente concessa come rimedio a seguito delle vibrate proteste sollevate). E corso Buenos Aires, dove nel progetto di riqualificazione non si è trovato il modo di favorire la ciclabilità, costringendo anche in questo caso i cittadini ad attivarsi con istanze, petizioni e proteste che spesso restano inascoltate e senza risposta.

Tutti i casi sopra citati non evidenziano problemi di fattibilità tecnica o economica, bensì di una volontà politica mancante, di una committenza pubblica inadeguata, che non ha saputo fornire linee guida chiare e sufficientemente vincolanti nell’interesse della collettività.

Ecco, la svolta deve partire da qui.

 

Eugenio Galli



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