28 giugno 2010

PATTO DI STABILITÀ E MODIFICA DELLA COSTITUZIONE


 

Purtroppo la situazione di crisi obbliga Governi e Istituzioni a muoversi in uno spazio molto stretto, né gli economisti sono concordi sulle strategie di uscita. Qualcuno predica rigore, con il rischio di ridurre ulteriormente la domanda, qualcuno si richiama a Keynes, suggerendo di continuare a sostenere la domanda.

Quello che è certo è che sarebbe necessaria una maggior condivisione degli obiettivi, rivedendo probabilmente alcuni modelli di vita e di sviluppo, che si stanno dimostrando incompatibili con lo stesso concetto di sviluppo sostenibile, che si richiama al fatto di lasciare qualche opportunità anche alle generazioni future. In quest’ambito può essere istruttivo questo racconto: ” Creta è ricca di piante di carrube, che servono non solo alle capre, ma anche per la Coca Cola. Un vecchio signore quindi ha deciso di piantare altri alberi di carrube. Un viandante di passaggio lo osserva e gli chiede perché pianti delle carrube, visto che devono passare circa 50 anni prima che l’albero dia dei frutti. Il vecchio contadino osserva che lui può godere dell’albero delle carrube, perché suo padre e prima suo nonno avevano piantato carrube, e quindi anche lui voleva che i suoi nipoti potessero godere dell’albero delle carrube”.

Questo discorso sottolinea come le scelte dovrebbero tener conto non solo dell’interesse di breve periodo, ma di quello di lungo periodo dei cittadini, del bene comune. La nostra Costituzione, nata in un momento storico in cui le persone s’interrogavano sul loro futuro, presenta delle linee di indirizzo, che dovrebbero essere poi attuate nella legislazione vigente. Pertanto occorre valutare bene la fondatezza di alcune posizioni che vorrebbero modificare la Costituzione stessa. In particolare l’art. 41, Costituzione, oggetto ora di attenzione, recita: “1. L’iniziativa economica privata è libera. 2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. 3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali“. Essendo una norma di indirizzo, non prescrive specifiche autorizzazioni, che devono essere assunte sempre per legge ordinaria. Ricordare che l’attività economica deve essere ricondotta a fini sociali, significa in ultima istanza riferirsi al concetto di bene comune, concetto che è presente nell’ultima Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, che compie un anno il 29 giugno. I nostri governanti, così attenti a quello che dice il Vaticano, l’hanno letta?

Non mi pare quindi un contenuto da cambiare e, anche se ha sessanta anni, mantiene una forte attualità.

Se pensiamo cosa è successo poiché una società, la BP, ha deciso di ridurre le spese di manutenzione per guadagnare di più e così la piattaforma nel golfo del Messico ha avuto un grosso incidente che sta devastando il golfo e danneggiando milioni di persone, vediamo come l’affermazione che l’attività economica non possa limitarsi a perseguire il “profitto” di pochi, e che non debba pregiudicare l’interesse di molti, continui a essere valida. Così ci si rende conto di chi parla di cambiare la Costituzione affronti un falso problema, e come invece sia poco attento a quelli che sono i veri interessi di lungo termine del Paese. Non è necessario modificare la Costituzione per rendere più efficienti le imprese, basta prevedere normative migliori, meno oppressive. Spesso le normative sono scritte di fretta, male: un esempio il patto di stabilità, che cerca di evitare che i Comuni s’indebitino troppo, assumendo iniziative che ne pregiudichino il futuro.

Ma è stato scritto male, per cui inibisce anche il rispetto di contratti regolarmente sottoscritti e per i quali il Comune avrebbe le risorse necessarie all’adempimento, aggravando così la crisi di quelle PMI che a parole si vorrebbero sostenere, ma che di fatto non riescono a farsi pagare per i lavori già conclusi. Così se appare coerente con la stabilità inibire ulteriore spese ai Comuni, che presentino livelli di debiti insostenibili, il patto produce anche effetti distorsivi, danneggiando anche i Comuni ben amministrati, che dispongono di risorse che potrebbero essere utilizzate per sostenere le PMI del territorio.

Il patto di stabilità che impedisce la spesa per investimenti anche in presenza di finanziamenti certi non penalizza infatti solo i lavoratori pubblici, ma danneggia in primo luogo le imprese manifatturiere e i lavoratori che hanno come business le commesse pubbliche e in misura indiretta tutti i cittadini che non potranno vedere realizzate le opere pubbliche e le infrastrutture. A soffrirne dunque sono interi settori produttivi primari (edilizia e opere pubbliche) e la capacità del Paese di ammodernare o almeno manutenere il proprio sistema infrastrutturale, così vitale in termini di competitività di sistema (o almeno così si diceva una volta). L’indagine sugli effetti del patto di stabilità sulle spese dei comuni, pubblicate dal Sole24ore del 9 giugno, oltre a rilevare la caduta delle spese per investimento, sottolineano come siano colpiti anche comuni virtuosi, che hanno già un saldo positivo, che si chiede di aumentare (!), tagliando le spese del 60%. L’articolo fa riferimento a un Comune Veneto (Loreggia), che avendo beneficiato nel 2007 di un’entrata straordinaria, si trova ora penalizzato. Probabilmente le leggi dovrebbero essere fatte meglio.

Si deve inoltre segnalare come il tanto auspicato fondo pubblico per investire nelle PMI potrà operare solo dall’autunno. Ma allora forse sarà troppo tardi e troppe PMI avranno portato i libri in tribunale, pur avendo capacità e skill da sviluppare, ma che si trovano in difficoltà, perché i comuni, con il patto di stabilità, non saldano nemmeno le fatture scadute per lavori che erano stati autorizzati. E allora si parla di cambiare la Costituzione, come se la Costituzione fosse responsabile di leggi che probabilmente hanno previsto adempimenti inutili, spesso solo formali, senza capacità di incidere sulla effettiva formazione delle decisioni economiche.

I padri costituenti hanno solo scritto che la libertà economica non significa arbitrio ma, come le migliori dottrine economiche aziendali sottolineano, che l’impresa ha obblighi non solo verso gli azionisti, ma verso una pluralità più ampia di interlocutori, che collaborano al successo dell’azienda. E se teniamo presente che anche gli azionisti sono persone, come persone non possono avere una doppia morale: anche le scelte economiche devono considerare il rispetto degli abitanti della Terra, ed evitare che la Terra ….diventi un deserto!

Questi concetti sono propri dello stesso sistema capitalistico: i fondi pensione, che manovrano ingenti capitali, si stanno dando delle linee guida di investimento responsabile, a evitare proprio che quando i loro sottoscrittori avranno raggiunto l’età della pensione non la possano più godere, perché nel frattempo la Terra si è trasformata in una landa inospitale. Questa è la scelta presente nel fondo pensione Norvegese, come la Prof. Janne Haaland Matlary ha illustrato nel suo intervento: “Ethical guidelines for the Norwegian Petroleum Fund: Dilemmas and Impact”, al convegno di Etica SGR del 10 giugno Milano.

 

Alessandra Tami

 

 

 

 


 



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