8 giugno 2010

A SHANGHAI 2010 TRIONFA LA NUOVA CINA


La vera protagonista dell’Expo di Shanghai è la Cina, che ha infuso nell’evento l’entusiasmo di un paese che guarda al futuro con progettualità e determinazione. Se a una prima impressione la mappa del sito espositivo sembrerebbe assegnare spazi pressoché omogenei a tutti i continenti, il percorso a piedi rivela da subito ben altre tassonomie, enfatizzate la sera da luminarie all’insegna dell’eccesso e da esultanti danze di fontane al ritmo di musica classica. L’Expo Axis, un ampio viale sopraelevato coperto da un immenso tendone bianco, conduce nell’area A, dedicata all’Asia, quella più scenografica. Il cuore dell’esposizione racchiude una serie di imponenti edifici, che resteranno come lascito alla città di Shanghai alla chiusura dell’Expo, quando le altre strutture saranno smantellate.

Il padiglione cinese è una specie di mezza piramide rovesciata, color sangue di bue, sessantatre metri d’altezza. La suggestiva distesa delle bandiere di tutti i paesi partecipanti occupa la spianata antistante. La poderosa costruzione riprende in forma astratta il motivo di un tetto in legno tradizionale, svettando sullo scintillante corollario offerto dagli edifici delle altre nazioni asiatiche. Per quanto artificiale, ecco l’Oriente dispiegarsi attorno alla Cina, dall’Arabia Saudita al Turkmenistan, dall’India e dal Nepal al Giappone, in una fantasmagoria di luci e linee di sapore esotico che suggeriscono nuove configurazioni geopolitiche. È il secolo dell’Asia.

Poiché il padiglione cinese è una tappa obbligata, può essere necessario prenotare l’ingresso per visitarne l’immenso piano terra. Lo spazio è suddiviso negli stand delle rispettive provincie, che illustrano la grande varietà culturale e geografica di un paese vasto come un continente con plastici di architetture locali e suggestivi fotogrammi. Più che parlare di sostenibilità urbana, lo scopo parrebbe semmai quello di narrare la specifica identità di ogni provincia, attraverso la valorizzazione del colore locale e delle bellezze naturali del territorio con strategie di marketing turistico più che con sensibilità ambientalista. Del resto, all’Expo il tema della vivibilità urbana – “Better City, Better Life” – funge soprattutto da pretesto per una celebrazione della Cina ed è affrontato in modo frammentario e disorganico, anche se volte interessante, come nel vicino padiglione tematico, dedicato alla città come organismo vivente.

Come è tipico della retorica universalista delle grandi esposizioni, anche l’Expo di Shanghai è soprattutto una grande celebrazione nazional-popolare, trionfalista e rassicurante, più che un’opportunità pedagogica per sensibilizzare i cittadini del pianeta al tema dell’eco-sostenibilità. Tuttavia i visitatori cinesi, sinora i principali protagonisti di uno spettacolo con pochissimi stranieri, vivono questo momento in profondità, come una vera festa e non semplicemente un’occasione di intrattenimento. La gioia di una nazione in ascesa, che celebra la propria complessa identità, si riflette nel clima di autentica allegria e distensione che circonda l’evento, nonostante gli inevitabili disagi, gli estenuanti spostamenti, le lunghe file, a volte una sottile e fastidiosa pioggerella.

La si avverte nell’incontenibile vivacità dei bambini che corrono sulle spianate, sui volti dei ragazzi vestiti più o meno come i loro coetanei di New York, Londra e Milano, nei gesti affettuosi delle molte coppiette che si fanno fotografie davanti ai padiglioni e lungo i viali. Forse non è l’Expo, che peraltro visitano anche le generazioni più mature, provate dagli anni e una vita di fatica, semplicemente vestite, quasi fanciullesche nel godersi la festa, sorprendentemente tenaci e vitali. Forse è soprattutto Shanghai, testa di ponte nel processo di modernizzazione della Cina, nonostante i suoi quartieri poveri fatti di vicoli maleodoranti e casupole grigie. Shanghai, città di flussi – di gente, informazioni, traffici, denaro e idee – “metropoli” da vertigine senza mappa né centro, innervata da una modernissima rete metropolitana che raccorda con sorprendente disinvoltura i due principali aeroporti internazionali della città, il Pudong a est e il Hongqiao a ovest a un capo e all’altro della linea due. Nelle lucide stazioni della metropolitana, negli enormi centri commerciali, nei locali Starbucks dove i giovani bevono caffè all’italiana in tazze di dimensioni americane leggendo nel frattempo l’email sul proprio portatile, si coglie l’avanzare di una nuova generazione, inevitabilmente ubiqua, quasi per istinto alfabetizzata al mondo e sintonizzata su modelli di consumo globali, quelli sì molto più universalizzanti degli alti ideali delle grandi esposizioni.

Mi chiedo se questa generazione di protagonisti, che già si distingue nei migliori atenei internazionali (più di un collega statunitense mi racconta che gli studenti cinesi sono dei fuoriclasse) sommando a talento e determinazione la forza dei numeri, riuscirà a elaborare proposte originali in linea con una sostenibilità che è palesemente essenziale per il loro stesso futuro, evitando di ripetere gli errori di un occidente ora in ripiegamento post-crescita. Sempre all’interno delle stazioni della metropolitana, pulita, veloce e sicura, scorgo manifesti bilingui in inglese e cinese che invitano i visitatori dell’Expo e i cittadini di Shanghai al “green commuting” e alla “low-carbon life”, utilizzando il trasporto pubblico per inquinare meno. Forse sì.

 

Maria Cristina Paganoni



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