18 maggio 2010

QUALE ITALIA ALL’EXPO SHANGHAI 2010?


( Nostra corrispondenza) Il sito espositivo dell’Expo 2010 si presenta allo sguardo del turista come un immenso parco che regala alla metropoli cinese, da sempre caratterizzata da una storia dinamica e vivace, insoliti giochi di forme, colori, suoni e strutture. Alle luci artificiali dei grattacieli del Pudong e alle tinte sobrie della passeggiata del Bund sulle rive opposte del fiume Huangpu, l’Expo Shanghai 2010 aggiunge la vivacità di un evento, idealmente rivolto al mondo intero e in modo particolare all’Italia, la prossima nazione a ospitare un’esposizione universale. Da neolaureata in comunicazione che vive vicino a Milano e spera di essere toccata dall’Expo 2015, m’interessa capire qualcosa di più sui messaggi che sono trasmessi da queste manifestazioni. Guardo la Cina pensando all’Italia.

L’intera area fieristica è concepita come una finestra sul mondo per i molti cinesi che si recano a visitarla da più località della nazione, pagando un biglietto d’entrata di costo elevato (160 yuan al giorno) per gli standard del cittadino medio. Soffermiamoci per un momento sul padiglione italiano: la costruzione, che si distingue tra le altre strutture espositive multicolori per lo stile sobrio, è indubbiamente innovativa nella scelta dei materiali (un diafano cemento “trasparente”) e nelle soluzioni all’insegna del risparmio energetico e dell’efficienza ecologica. L’interno, al contrario, non sembra affrontare in modo altrettanto convincente il tema dell’attuale qualità della vita nella città italiana, suggerendo piuttosto un percorso teso a esibire quelle eccellenze del Bel Paese che già fanno parte dei noti stereotipi sull’Italia. Come ci racconta una simpatica connazionale che lavora presso lo stand della città di Venezia nell’area dedicata alle migliori pratiche urbane, si tratta delle solite quattro A, cioè Abbigliamento, Alimentazione, Arredamento e Auto e motori.

E così lo sguardo del visitatore scorre lungo un display raffinato che accanto all’eleganza dell’alta moda italiana presenta la bontà del cibo (in particolare il tipico connubio di pasta, olio e vino), le lampade di Artemide e Flou, le sedie di design, la Fiat, la Ferrari, l’Aprilia e Valentino Rossi. Ma una volta di più, questo percorso espositivo celebra l’esistente, contribuendo alla rappresentazione del marchio “Italia” secondo una logica che sembrerebbe puntare su un Made in Italy da anni Ottanta del Novecento piuttosto che contemporaneo, come se l’Italia stentasse a entrare nel Terzo Millennio.

Un primo sguardo al padiglione italiano di Shanghai restituisce insomma l’immagine di un’Italia tendenzialmente ancorata a un passato di eccellenza, ma silenziosa sul presente e sul futuro in modo quasi inquietante. Benché non privi di fascino e valore, gli oggetti esposti rischiano di apparire ovvi e superflui, soprattutto al fine di nuove proposte di sostenibilità urbana e di modelli di consumo più sobri. Ci viene offerta una superficie patinata che ben poco rivela dei problemi che l’Italia, la Cina e il resto del mondo si trovano ad affrontare in termini di qualità di vita, benessere e ambiente. È molto più semplice far sognare i visitatori riempiendo loro gli occhi di immagini seducenti e raffinate, persino sontuose (come l’abito da sera rosso di Versace drappeggiato su un manichino senza volto) piuttosto che raccontare un presente demoralizzante e problematico che coinvolge persone reali, fra cui tanti giovani.

È quanto ci confessa l’artigiano dell’azienda di scarpe Salvatore Ferragamo, lui pure esibito come un oggetto all’interno di una scintillante gabbia di plexiglas, mentre cuce a mano un paio di scarpe fra i flash dei curiosi: “Moda e marchi prestigiosi, ecco cosa abbiamo portato a Shanghai dall’Italia. Ai cinesi è questo che piace”. Che l’Expo di Shanghai, allora, sia soprattutto un’opportunità offerta alle nostre aziende del lusso perché conquistino ulteriori fette di mercato in un paese come la Cina, popolatissimo, in ascesa economica e crescentemente orientato al consumismo, ora che l’Italia è in crisi? Lo spazio dedicato all’Expo 2015 è visibilmente povere di proposte. Il padiglione italiano racconta insomma di una nazione culturalmente ripiegata su di sé e i propri stessi stereotipi, capace sì di esprimere le proprie specificità, ma essenzialmente slegata dal contesto attuale in cui la globalizzazione e le grandi sfide planetarie del mondo postmoderno impongono di ripensare radicalmente abitudini di vita e consumi.

Anche se meno appariscenti, si rivelano invece molto più interessanti le proposte delle città di Bologna e Venezia, entrambe all’interno dell’area Expo dedicata alle migliori pratiche urbane, che si trova sulla sponda opposta del fiume Huangpu rispetto al padiglione nazionale italiano. Anche se esibisce una splendida e super-fotografata Lamborghini nera, la simpatica Bologna promuove l’uso della bicicletta come migliore soluzione per la mobilità cittadina. Ancor più concreta e meglio preparata la città di Venezia che, accanto ad una suggestiva vetrina di oggetti di artigianato, enumera vari interventi di riqualificazione urbana, impegnandosi a raccordare in modo credibile tradizione e innovazione. Di grande effetto la scelta del logo: il leone di San Marco e il dragone cinese uno di fronte all’altro, suggeriscono la possibilità di un confronto interculturale che dai tempi di Marco Polo può estendersi sino al presente.

 

Sara Bonanomi



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