3 maggio 2010

PROGETTO FELTRINELLI A PORTA VOLTA


La Commissione per il Paesaggio ha approvato il PII su terreni di proprietà Feltrinelli e Comune di Milano a Porta Volta motivandolo come progetto” Innovativo”. Dopo un’attenta lettura del “Manifesto degli indirizzi e delle linee guida della Commissione per il Paesaggio del Comune di Milano”, il concetto di Innovazione è sfumato, mentre molte sono le indicazioni che avrebbero potuto fornire alla Commissione le motivazioni per chiedere di modificare il progetto.

Vediamole: 1) Nella relazione allegata, i progettisti fanno riferimento alle tracce urbanistiche milanesi che avrebbero guidato il progetto: l’architettura gotica, la cascina lineare delle aree agricole e gli edifici gemellari. Questi riferimenti sono probabilmente fraintesi: perché Milano di gotico non ha molto, ma quello che si trova non ha certo il verticalismo che invece caratterizza fortemente le sezioni verticali del progetto. Le cascine della campagna milanese sono decisamente a “corte” e non lineari. Quanto ai riferimenti agli edifici gemellari è vero, a Milano ce ne sono, ma prevalentemente sviluppati nella tipologia della torre (piazze Repubblica e Piemonte), ma in questo progetto gli edifici non sono gemellari (uno è lungo l’altro è corto) e non sono torri. Dal rendering più diffuso si vede bene lo squilibrio di masse dei corpi di lunghezza differente sulle vie Pasubio e Montello e che sono ben lontani dagli esempi milanesi di edifici gemellari. Quanto al riferimento a un Beaubourg milanese mi auguro si riferissero al contenuto e non al contenente.

2) Il progetto è “fuori scala urbana”. L’edificio lineare (e ripetitivo nell’architettura) sulla via Pasubio è più simile alla tipologia della “stecca” residenziale che negli anni 70-80 ha trasformato ameni borghi attorno a Milano in banali periferie metropolitane. O anche alla tipologia di grandi fabbricati industriali dell’hinterland lombardo identificati oggi come Archeologia Industriale Qui, questa tipologia viene riproposta in pieno Centro Storico, addirittura a cavallo delle mura Spagnole, violando i ritmi dimensionali dettati dai lotti del tessuto edilizio del centro storico composti principalmente da proprietà fondiarie che ospitano un solo fabbricato con uno o due corpi scala.

3) Non vengono valorizzate le preesistenze storiche dei caselli daziari, importanti non solo per la loro architettura, peraltro semplice, ma per aver costituito un “sistema a rete ” di una Funzione Storica legata all’economia della città, i Dazi. Questi dignitosi edifici vengono oppressi dalla vicinanza dalle sagome per nulla Milanesi dei nuovi fabbricati e non diventano attori, ma vengono declassate a comparse della nuova scena urbana. Ritengo che i Caselli Daziari siano interessanti tipologie urbane atipiche, che per il loro forte significato storico devono recuperare la centralità del sito dove sono collocati.

4) La sezione verticale degli edifici, con richiami alle tipologie edilizie del nord Europa viene individuata dalla Commissione come Innovativa, mentre non è altro che l’ennesima espressione di una tendenza architettonica che potrei definire, mutuandola dal noto film di Carlo Verdone, del “famolo strano”e che consiste, in questa interpretazione, nell’importare tipologie architettoniche tipiche di alcuni territori, dove sono diffuse per ragioni culturali, metereologiche e di tradizione costruttiva, senza alcun giustificato motivo funzionale, se non quello di sbalordire un’opinione pubblica di bocca buona.

5) Nei volumi edilizi sulla via Montello prevale e sorprende per la sua anomala dimensione il grosso parcheggio fuori terra. Questo è in pieno contrasto con la strategia, ormai acquisita in tutta Europa, che vuole che questa tipologia di parcheggio sia collocata nei centri di interscambio periferici per frenare l’accesso automobilistico ai Centri Storici.

Mentre invece, se la funzione del parcheggio dovesse essere riconosciuta necessaria per il recupero di aree destinate alla pedonalizzazione e per il rispetto alla scena urbana, lo si doveva prevedere interrato.

6) Deludente infine il comportamento della Committenza, non il solito gruppo di operatori privi della cultura della Città, ma un nome che da sempre rappresenta degnamente la Cultura Milanese. ma che avrebbe dovuto scegliere, tra le “archistar”, le più attente al recupero dei valori del sito dove si opera. E tra gli stessi architetti elvetici ce ne sono di meglio preparati agli interventi nei centri storici, come dimostrato dal recente caso del Museo dell’Acropoli ad Atene, dove un’attenta municipalità ha rifiutato il progetto vincitore del concorso internazionale, assimilabile alla corrente del “famolo strano”, per un intervento perfettamente contestualizzato e però anche innovatore nella sua tipologia museale.

Per concludere, il risultato di questo sorprendente parere favorevole è probabilmente lo scotto che si deve pagare per una Commissione del Paesaggio dove latitano i critici e gli studiosi della città (o dove forse manca semplicemente l’amore per la stessa), come rilevato anche da Marco Romano in un suo articolo sul N°34 di ARCIPELAGO.

Gianni Zenoni



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