12 aprile 2010

OGGETTI CHE PARLANO AL NOSTRO CUORE


Nuovo miracolo in Triennale per il terzo atto dell’appuntamento Design Museum, giunto alla sua terza edizione: più di ottocento oggetti che testimoniano una straordinaria ricchezza merceologica e produttiva del made in Italy. E un titolo evocativo, ‘Quali oggetti siamo’, per una rappresentazione che implica una narrazione, che chiama in causa la sfera affettiva dei nostri rapporti con le cose.

Accostati con la malizia del mercante che espone, con un continuo cambio di scala, gli oggetti – quelli molto noti, vere e proprie icone create da grandi maestri, ma anche assolutamente non noti, opera di creatori del tutto anonimi – ci investono di allegria, perché l’operosità genera allegria e parla al cuore di collezionista che c’è dentro ognuno di noi. E’ come se entrassimo in una grande officina di industriosi artigiani, in un grande cantiere di gnomi operosi, come Piero Campolesi, storico della cultura materiale, definisce l’Italia.

Gli oggetti non sono in sé, ma fanno parte del loro racconto – spiega Alessandro Mendini, il curatore scientifico della mostra – e la sfida è stata quella di raccogliere in pochi mesi ‘cose che sono storie’, non tanto legate all’innovazione, ma alla verità di chi lavora, cose legate alla vita in quanto romanzo, emotività, memoria, relazione umana. Per ognuno di noi il nostro mondo ravvicinato di cose è una specie di micromuseo, con cui entriamo in risonanza quotidianamente e che parla di noi e a noi; putroppo da un momento all’altro il nostro micromuseo può sbriciolarsi drammaticamente davanti ai nostri occhi, come nel caso della ‘scatola di Tommaso’, dove un giovane dell’Aquila ha riposto le macerie della propria casa distrutta dal terremoto, in modo da poterla tenere sempre con sé.

Il percorso ci svela uno scenario oggettuale colorato e quasi disorientante, che fluisce sotto il nostro sguardo per quello che è stato e che è, senza retorica e sentimentalismi: il David di Michelangelo in gesso, uscito da una rinomata gipsoteca di Pietrasanta, che lavora anche per Botero; gli strumenti musicali della Montessori dei primissimi anni del Novecento; le campane della famiglia Marinelli, che le produce da più di mille anni in un piccolo centro in provincia di Isernia.

E ancora la maniglia in ottone Libertas creata nel 1932 da Marcello Piacentini per il Palazzo di Giustizia e realizzata da Olivari, azienda che ha iniziato la sua attività a Borgomanero agli inizi del Novecento; il primo prototipo della moka Bialetti del 1933; la mitica ‘lettera 22’ macchina per scrivere della Olivetti premiata con il compasso d’oro nel 1954, compagna di lavoro preferita di Indro Montanelli, che compare sulle sue gambe anche nella scultura dei Giardini Pubblici di via Palestro. Il cubo nero Black Brionvega, televisore ideato nel 1969 da Marco Zanuso e il prototipo colorato di ferro da stiro per Girmi, pure del 1969.

E l’elenco potrebbe ancora continuare: ogni visitatore uscirà dalla mostra con in mente un proprio elenco degli oggetti che più l’hanno colpito in un tour tra cose che incarnano la nostra storia.

Rita P. Bramante



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