2 marzo 2010

GILLO DORFLES E I SUOI CENTO ANNI VISSUTI BENE A MILANO


La stampa si è già espressa sui migliori anni della sua vita intellettuale iniziata quando il pensiero della Gestalt, orientamento della psicologia della forma, era stato diffuso in Italia da pochi e persuasivi intellettuali sostenitori della percezione che “coglie totalità strutturate secondo forme globali.” Alla conferenza stampa, organizzata per l’apertura della mostra dedicata alla sua opera di pittore “Gillo Dorfles l’avanguardia tradita”, i toni si sono accesi per una laudazio che è parsa quasi sopra le righe perché riferita quasi esclusivamente alla produzione artistica sconosciuta ai più e poco riferita alla critica che Dorfles ha esercitata nei molti settori che ha indagato.

Luigi Sansone che ha curato con passione l’ordinamento della mostra ha parlato di circa tremila opere che giacciono ora catalogate e ordinate, tutte compatte e pronte a spiccare quel volo che la nuova critica saprà spingere in giro per il mondo oppure pronte per essere donate. Quelle stesse opere che in passato erano state contestate e ignorate, come ricordava Dorfles stesso, ora riscuotono un nuovo interesse e sottolineano che i tempi sono cambiati e che spesso basta saper aspettare. La critica si aggiorna, mutano le sue prospettive e qualche volta le sue complicità. Pittura, architettura, design, moda, fotografia, filosofia, estetica, sono state discusse e diffuse dal grande vecchio e raccolte in saggi come ” Le oscillazioni del gusto”, “Nuovi riti, nuovi miti”, “Il Kitsch” per citare i testi più noti della sua vasta produzione. Queste stesse discipline sono state insegnate in tempi diversi con continuità lungo un percorso che ha raggiunto i cento anni e non mi risulta abbiano mai spaventato questa figura elegante, eretta nel portamento, disponibile, attenta alla comunicazione accompagnato da discepoli che ne garantiscono la continuità del pensiero.

Colpisce la capacità di accettare l’adulazione, o di fingere, colpisce quella sua presenza costante e continua in tutte quelle occasioni in cui il suo nome viene assunto come garanzia anche del successo degli altri. Colpisce la sua stessa resistenza fisica che gli consente ancora il dono dell’ubiquità. Gli amici che non ci sono più amabilmente lo chiamavano “il Gillo parlante” perché non lesinava un’opinione o la battuta appropriata su qualunque argomento. Nutro una grande simpatia per le persone anziane e gli interrogativi che mi pongo in questo caso sono in parte dovuti all’anomalia rappresentata da Gillo Dorfles rispetto ai più che, assai più giovani spesso, a un certo punto hanno cessato di scrivere, di dipingere di farsi vedere. Hanno preferito uscire dal mondo ufficiale e ritirarsi a Gerusalemme per dedicarsi in silenzio allo studio e in parte all’osservazione dell’esistenza e di un sé, consumato e frastornato dagli accadimenti difficili e logoranti. Vi sono scelte diverse, tutte possibili, lecite e degne di rispetto.

Il Sindaco di Milano nel suo intervento ha elogiato la figura del pittore e dell’uomo di cultura come pure la Presidenza della Repubblica ha inviato il suo saluto e i suoi apprezzamenti. La tavola degli oratori si è unita plaudente attorno all’intellettuale milanese di cui tutti si sono dichiarati fieri.

Ma tutto questo non sembra un po’eccessivo?

 

Antonio Piva



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