15 febbraio 2010

DETTAGLI. LA SCALA E LA TORRE SCENICA


Guardando la Scala dall’uscita nord della Galleria, chiunque potrà notare i nuovi volumi relativi alla ristrutturazione del Grande Teatro, la cosiddetta torre scenica e l’ovale dei servizi. Dobbiamo dire che le loro dimensioni non turbano il profilo della facciata dell’edificio, specie la torre scenica, con un impatto inferiore per esempio a quella del Carlo Felice di Genova progettata da Aldo Rossi. Nel complesso l’intervento planivolumetrico si può ritenere compatibile con la facciata del Piermarini e lo sarebbe stato anche con l’ovale più alto di due piani (com’era il progetto originale tagliato dalla Commissione dei Beni Culturali a Roma creando così il primo problema del nuovo progetto: l’insufficienza delle aree a servizi per gli orchestrali e il corpo ballo). Se si osservano bene i volumi, si avvertirà però che la semplicità del disegno della torre scenica viene appesantita dalla presenza delle due torrette dei serbatoi dell’acqua collegate con la balconata, costruite successivamente per ragioni di sicurezza e che coronavano il prospetto della vecchia Scala.

Naturalmente con la ristrutturazione non ci sarebbe stato bisogno di questo primitivo impianto e per queste motivazioni l’Arch. Botta pensava di demolirlo. Ma anche qui l’intervento della Commissione dei Beni Culturali a Roma ha ordinato il ripristino della vecchia sovrastruttura. Brutta da vedere, perché aderente alla torre scenica, ne rende incomprensibile la purezza del volume, appesantendolo con la sua anacronistica decorazione. Purtroppo questi grossi e inevitabili volumi tecnici portano sui vecchi teatri notevoli problemi d’inserimento, risolvibili solo con la semplicità e la purezza della forma. La struttura dei serbatoi frantuma questa purezza costituendo un coronamento non voluto e rendendo così più visibile un volume che altrimenti sarebbe stato un semplice fondale del panorama urbano. Questo vecchio coronamento avrebbe forse potuto rimanere se la torre scenica fosse stata debitamente distanziata, ma la carenza di spazi ha impedito questa elementare precauzione.

Il mantenimento di questa superfetazione storica ha anche gravemente danneggiato l’invenzione di Botta consistente nel rendere percepibile di notte la torre scenica grazie a piccole lampade incassate nella tessitura del rivestimento di pietra. Questa pregevole soluzione dell’illuminazione della torre scenica resta accecata sul frontale dalla sagoma delle torrette e balconata, che ne impediscono la percezione. Questo “dettaglio” che complica inutilmente l’effetto finale del progetto ci permette però di fare due considerazioni. Botta uno dei maestri dell’architettura, pur essendo vicino a Milano per studi, cultura e residenza, prima dell’incarico della Scala non era mai stato chiamato a lavorare in città. E questa è già un’anomalia, perché le più importanti città del mondo potevano esibire una sua opera. Strano ritardo per Milano alla luce anche del fatto che un piccolo Comune della Brianza (Merate) aveva già da tempo affidato a Botta la progettazione della Chiesa Parrocchiale di una sua frazione. Possibile pensare che prima del prestigioso incarico per la Scala, Botta non fosse sufficientemente conosciuto a Milano? Non è sempre esistito un Assessorato alla Cultura? E che tipo di rapporti ha avuto quest’assessorato con la facoltà di Architettura? Resta il fatto che, pur essendo così vicino a Milano uno dei maestri dell’Architettura Europea non aveva avuto fino ad allora incarichi dalla città. Certo meglio tardi che mai, ma una grave lacuna per gli Amministratori Milanesi antecedenti al Sindaco Albertini.

L’altro rilievo resta l’ennesima constatazione dell’operato di Soprintendenze e Commissioni Beni Culturali dove il potere Amministrativo prevale sulla qualità delle modifiche imposte. In questo caso non volendo rinunciare al coronamento delle torrette con balconata, e non potendo queste essere materialmente distanziate dalla nuova torre, la soluzione imposta da Roma di accostare il vecchio coronamento alla torre scenica, ha raggiunto il bel risultato di danneggiare sia il vecchio coronamento, che non svetta isolato come prima, che la torre scenica che perde la sua purezza della forma, danneggiandone poi irrimediabilmente l’aspetto notturno. Si deve anche rilevare da parte di questi Istituti un’ostilità preconcetta verso le opere di grandi architetti stranieri, (meno portati ai compromessi dei colleghi italiani) che ci ha privato d’importanti testimonianze dell’architettura contemporanea, Wright e Le Corbusier a Venezia insegnano.

 

 

Guido Zenoni

 


 



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