19 dicembre 2017

AGENDA AL FUTURO. MOLTE OVVIETÀ E UNA NOVITÀ

Un promemoria per leggere il passato


Viviamo in anni di rivisitazioni, specie in cucina: carbonara rivisitata, tiramisù rivisitato, pizza rivisitata, ma abbiamo anche la musica classica rivisitata, il loden rivisitato etc. Il dizionario dice che rivisitato significa “nuova lettura e interpretazione, in chiave moderna, di un autore o di un documento dell’arte o della cultura del passato”. Io preferisco la tradizione e così per parlare dell’anno elettorale che verrà ho pensato di ripetere paro paro l’incipit di un vecchio articolo: “a volte il primo compito delle persone intelligenti, è la riaffermazione dell’ovvio”, perché le previsioni di un anno elettorale sono piene di ovvietà che tuttavia è buona cosa ricordarsi, senza spacciarle per novità.

03marossi42FBOvvietà sull’unità. Se Sarfatti prese alle regionali il 43,17%, Penati il 33,27 e Ambrosoli il 38,24 risulta evidente che più lo schieramento dei partiti che si oppongono al centro destra è ampio e unitario, più voti prende. Tanto più che le regionali sono elezioni a turno unico.

Ovvietà sull’astensione. Se alle ultime regionali hanno votato 5.938.044 elettori pari al 76,73% degli aventi diritto e alle precedenti 4.973.519 pari al 64,64% degli aventi diritto ciò significa che l’astensionismo non è ineluttabilmente in crescita, soprattutto se le elezioni regionali sono abbinate a quelle nazionali.

Ovvietà sull’election day. Se unificando la tornata politica e quella regionale si risparmiano quattrini, porsi contro l’election day è, dal punto di vista della comunicazione, decisamente impopolare. D’altra parte i Cinque Stelle nella città di Milano (2013) hanno avuto alle regionali 50.000 voti in meno che alle politiche, il candidato Pinardi ha perso il 50% degli elettori di Fare, il Pdl 44.000 voti in meno; non è vero, quindi, che l’elettore è così cretino da non sapersi destreggiare tra sistemi elettorali diversi.

Ovvietà sull’elettorato d’opinione in Lombardia. Il 23% degli elettori dà anche la preferenza (in Campania è il 90,6%). Alle ultime regionali nel PD milanese si sono date 66.000 preferenze su 442.000 voti, nella Lista Civica circa 20.000 su 169.000, in Etico a Sinistra 17.000 voti di preferenza su 26.000 voti (percentuali da che si riscontrano normalmente a Ercolano o Secondigliano) nei 5 Stelle 12.000 su 245.000. Ergo l’elettorato d’opinione è quello che vota 5 Stelle.

Ovvietà sul voto disgiunto. Ambrosoli ottenne il voto disgiunto a favore tra politiche e regionali dei montiani milanesi che alle politiche presero 98.000 voti, mentre Albertini 41.000. Nel complesso i voti per i candidati presidente nel 2013 furono 5.737.000 e per le liste 5.407.359. Ergo il voto disgiunto esiste ed è praticato sopratutto per penalizzare i partiti rispetto ai candidati e i candidati minori rispetto a quelli principali. Il fatto che non sia possibile alle politiche tra collegio e lista potrebbe penalizzare il candidato nel collegio. Tuttavia rammentando che Pezzotta o Albertini, candidati piuttosto noti e strutturati, presero entrambi all’incirca il 4%, se fossi in Gori punterei a svuotare il candidato cinquestelle piuttosto che a rincorrere Onorio Rosati.

Ovvietà sulla competizione interna agli schieramenti ed ai partiti. Per le regionali la competizione è assicurata tra la Lista civica (o, meglio, del presidente) ed il PD. Stessa situazione per Maroni tra la sua lista e il suo partito. Ma mentre nel centro sinistra la competizione è a due nel centro destra ci si mette anche Forza Italia. Secondo livello di competizione è quello delle preferenze. Il partito che da in assoluto più preferenze alle ultime elezioni è stato il PD. Recordman regionale è Pizzul con 8.335 preferenze, ma recordman assoluto tra tutti gli eletti è Mario Mantovani del Popolo delle Libertà, con 12.957 preferenze. In entrambi i casi vincere non ha aiutato, l’uno è passato per le patrie galere e l’altro non l’hanno fatto manco capogruppo.

Ovvietà sulle preferenze. Continuando nel pessimo costume nazionale di cambiare le leggi elettorali poco prima del voto, anche la Regione Lombardia ha deciso di inserire la doppia preferenza di genere, la possibilità cioè di dare due preferenze. Alla dura competizione interna si aggiunge anche la competizione di genere con le conseguenti alleanze incrociate.

Ovvietà sulla modestia di Pisapia. Chiunque ne parli premette: “è una brava persona”, seguono poi battutacce affettuose. L’uomo, rinunciando alla sicura rielezione, si era già proposto come ponte nel 2014: «Voglio creare un ponte tra realtà che oggi non si parlano» ma che invece «si parlano e molto a livello locale». Appoggiò la candidata più radicale alle primarie per le comunali, il risultato fu la vittoria dell’allora renziano Sala. Un ponte lo ha riproposto con Campo Progressista chiedendo anche il passo indietro di D’Alema. Il risultato è la nascita di una lista contrapposta al Pd, come si suol dire dopo sconfitte disastrose: “mancò la fortuna, non il coraggio”.

Ovvietà sulla debolezza della lista radicali italiani. Se Cappato candidato sindaco a Milano ha preso l’1,9% dei voti con una percentuale di votanti che è stata di 20 punti in meno delle politiche, le possibilità che faccia il quorum sono pressoché inesistenti, anche se un po’ superiori a quelle della lista verde socialista, che alle ultime comunali aveva preso lo 0,3%. Lontani gli anni in cui la Bonino candidata alla regione prendeva 180.000 voti cioè più del 3% e di quanto SEL e Fratelli d’Italia hanno totalizzato insieme alle ultime.

Ovvietà sulla debolezza di Sala. Indebolito dalle inchieste della magistratura, indebolito dalla ambiguità del suo rapporto con Renzi, Sala ritorna ad essere quello che era prima delle elezioni: un buon tecnico di origine morattiana prestato al centrosinistra nel quale scalda pochi cuori (non bisogna mai dimenticare che Sala alle elezioni prese quasi 100.000 voti in meno di Pisapia), senza truppe al seguito e senza fedelissimi. In pratica la variante di centro sinistra di quello che si definiva amministratore di condominio. La differenza con Albertini, che poi si agitò tentando di fare politica, è che Sala sembra contento così.

Ovvietà sul fatto che le elezioni sono occasioni di ripensamenti. Senza andare all’invettiva di un leader locale del PD su Gori qualche anno fa (“Non voglio che lui sia il regista del centrosinistra milanese. Lui con le sue trasmissioni televisive e i suoi reality è stata una delle rovine culturali degli ultimi anni in Italia. È un’offesa verso tutti quelli che hanno lavorato in questi anni a costruire un nuovo centrosinistra e un nuovo Partito Democratico”), basta vedere il sussiegoso silenzio di assessori un tempo scatenati per l’unità delle sinistre, come quello di altri, un tempo renziani “hasta la victoria siempre”, per rendersi conto che questi mesi saranno mesi di ripensamenti, di ripiegamenti, di attesa per capire da che parte stare nella prevedibile battaglia congressuale post elettorale

Ovvietà sulla scomparsa delle primarie. Per alcuni anni è parso che non si potesse fare politica senza primarie, che la scelta di uomini e contenuti fosse consustanzialmente legata al montaggio periodico di gazebo. Le primarie erano il mito fondativo del PD e del centro sinistra. Le date ricordate con mistico trasporto: 16 ottobre del 2005 incoronamento di Prodi, 4 milioni di partecipanti, 14 ottobre del 2007, tre milioni e mezzo di fedeli decretano il successo di Walter Veltroni riducendo a comparse Rosi Bindi ed Enrico Letta. E poi Bersani, Renzi ed anche l’onda arancione di Pisapia, Doria, e tanti altri. Oggi Gori neppure ha fatto finta di ipotizzarle, e per quanto riguarda i collegi elettorali, tranne qualche vecchio ingenuo, di primarie non parla più nessuno, neanche quelli che si entusiasmarono nel 2012 (per la precisione il 29 e 30 dicembre quando si svolsero le parlamentarie). Gori, lo capisco, allora venne trombato dall’apparato, classificandosi quarto a Bergamo con 2.552 voti su 10.447 elettori. Ma tutti gli altri? Almeno i cinque stelle fanno finta di provare a farle online. I 18 candidati uninominali al senato e i 31 alla camera come verranno scelti? Probabilmente come un tempo “dal direttivo della federazione d’intesa con il segretario nazionale”. La prima repubblica non è mai morta.

Ovvietà sulla retorica elettorale. “Il sistema dei partiti contemporanei si modula fondamentalmente sul sistema elettorale. La dimensione di massa dell’organizzazione è finalizzata alla campagna elettorale. Altre funzioni tipiche del passato: la formazione, l’informazione, sono state a tutti gli effetti rese ininfluenti dalla circolazione delle notizie”. Le campagne elettorali erano diventate negli ultimi anni il terreno di scontro tra svariati professionisti, agenzie, consulenti politici, art director, blogger, influencer, sondaggisti, fattucchiere etc. Tutti soggetti a diverso e vario titolo remunerati. Con il taglio dei finanziamenti pubblici e dei rimborsi elettorali questa sarà una campagna al risparmio e quindi ricompaiono antiche forme di comunicazione, retoricamente d’antan. Deliziose le foto online di un gruppo PD (Mirabelli, Barberis, Bussolati, Majorino etc) che vaga spaesato al Giambellino inserendo volantini nelle caselle postali a metà strada tra l’amarcord e il che me tocca fa pe’ campa’.

Ovvietà sul fatto che Formigoni è di centrodestra La fortunata circostanza che vede sparire gli alfaniani di centrosinistra ed il ritorno di quella che si chiamava Ap nel centrodestra (dove del resto stava in consiglio regionale) è forse la migliore notizia per Gori, che evita così di dover fare campagna insieme al celeste e ai suoi vecchi fans.

Ovvietà sulla guerra per i capolista. Non è assolutamente vero che essere capolista in una competizione con preferenze sia determinante, ma certo aiuta, mentre è sicuramente determinante in un listino bloccato. Così come ad ogni tornata elettorale ne deriva una piccola guerra tanto più feroce quanto più la lista è priva di insediamento tradizionale e di leadership naturali. Per la lista Gori ho contato, per le varie provincie, una sessantina di capolista come per la lista Maroni. Feroce invece la battaglia nei listini. La voglia di Berlusconi, Maroni e Renzi di farla finita con presunti voltagabbana ed i molti Efialte che li circondano fa pensare ad un periodo vivace.

Ovvietà sul tutto fa brodo. Se qualche mese fa era ovvio che non ci sarebbe stato posto nel centro destra per chi aveva sostenuto Renzi, criticato Salvini o considerato sorpassato Berlusconi, con l’avvicinarsi delle elezioni i principi moralizzatori lasciano spazio a ogni genere di compromesso. Esemplare il caso di Parisi, che doveva rappresentare la novità del centro più centro e meno destra e invece, pur di mettere insieme una lista, raccatta vari transfughi (Alberto Cavalli, Sabrina Mosca, Mauro Piazza) che da trombati sicuri diventano alleati indispensabili, ma che se la dovranno vedere con i ben più agguerriti seguaci di Alessandro Colucci, leader lombardo dell’anima moderata degli ex alfaniani.

Tra tanta continuità e ovvietà c’è però una novità: per la prima volta nel centrosinistra della seconda repubblica è venuta meno la sacralità dell’affermazione “Pas d’ennemis à gauche” [nessun nemico a sinistra]. La legge elettorale nei collegi rende improponibile ogni desistenza e il turno unico nelle regionali ogni ripensamento, quindi lo scontro a sinistra ci sarà e sarà duro. Non è più il tempo dei compromessi. Per restare al francese, Michel Rocard parlando di Mitterand diceva: «Le mépris profond que je porte à son absence d’éthique est compatible avec l’admiration totale que j’ai pour sa puissance tactique*», e così restavano insieme nello stesso partito. Non è più quel tempo, la rottura è definitiva e così ci ricorderemo del 2018 perché nulla sarà più come prima.

Walter Marossi

* Il profondo disprezzo che nutro per la sua mancanza di etica è coerente con la totale ammirazione che nutro per la sua potenza tattica.



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