28 novembre 2017

IL CORRIERE A TORINO, LA RIVINCITA DI MILANO

Un fatto che segna una svolta nel mondo della carta stampata


Il Corriere, che dal 24 novembre esce con un dorso di cronaca di Torino, è qualcosa di più d’una strategia editoriale. Racchiude una serie di fenomeni economici, sociali, culturali, antropologici. La rivincita di Milano, perché anche questo significa quello sbarco sul Po, sta delineando una nuova mappa del potere dell’informazione, con ricadute politiche alla vigilia di una tornata elettorale importante. Che a ribaltare equilibri consolidati e a guidare a ritroso il passaggio di quel confine mitico e contrastato fra Lombardia e Piemonte che è il Ticino sia Urbano Cairo, imprenditore nato a Milano ma di origini piemontesi, formatosi alla scuola di Berlusconi e quindi messosi in proprio, è materia su cui anche un approccio di tipo psicoanalitico, volendo, potrà dare stimoli alla comprensione, sul piano individuale e collettivo.

04garzonio39FBLa memoria recente aiuta a capire le tensioni tra Mole e Madonnina. Bastava essere in primavera a Rho Pero, alla Mostra del Libro, leggere le polemiche col Lingotto e gli impotenti appelli del Governo a comporre i contrasti per cogliere un’evoluzione di equilibri nell’industria culturale. Lo scossone che aveva innescato smottamenti e riassetti s’era prodotto un anno prima. Il 15 aprile 2016 erano andate sul mercato le azioni attraverso cui Fiat aveva esercitato il controllo su via Solferino per decenni. Finiva un’epoca, si sfaldava un’egemonia di Torino (o colonizzazione secondo alcuni) sul capoluogo lombardo. Gli eredi dell’Avvocato e i loro funzionari manager avevano dichiarato che Rcs non rappresentava più un asset strategico. Diedero così l’ordine di “ritirata” in modo insolitamente inelegante per l’aplomb sabaudo (erano passati alla concorrenza: il gruppo di Repubblica) e mortificante per immagine e capitale dell’azienda Corriere.

Non contava più che negli anni corso Marconi avesse imposto direttori e fatto pressing sulle linee editoriali (Agnelli teneva al ruolo di padrone illuminato, salvatore della patria dopo la P2), avesse cercato di pesare nel giornale (memorabili le insoddisfazioni ai tempi di Tangentopoli verso Giulio Anselmi reo di aver dato conto del coinvolgimento di aziende Fiat; toccò a Romiti chiedere scusa davanti a Martini per il Gruppo, ma poi Mieli fu preferito ad Anselmi per la direzione); avesse palesato in modi imbarazzanti il non gradimento verso la direzione De Bortoli. Fiat ammainò la bandiera su un campo di lacrime e sangue (per gli altri) e i simboli dell’azienda vennero trascinati a terra: vendita del settore libri (Rizzoli, Bompiani), della sede storica di via Solferino (progettata da Luca Beltrami) a un fondo amico, della tipografia.

Lo scenario d’un Corriere a rischio sopravvivenza non commosse Milano. Nanni Bazoli (che sul finire dell’impero Fiat aveva stoppato un colpo di coda e benedetto la nomina di Luciano Fontana a successore di De Bortoli) bussò a tante porte, ma non riuscì a risvegliare l’orgoglio meneghino: imprenditori, eredi di dinastie industriali, associazioni produttive fecero orecchie da mercante. La politica pure si mostrò insensibile, se non indifferente. Fu un’altra Milano a prender l’iniziativa (questa è la ricchezza della città: più anime in competizione!). Uscì allo scoperto la cultura. Aprirono un dibattito pubblico Acli, Ambrosianeum, Articolo 21, Fnsi, Libera. Evidenziarono il tradizionale nesso Milano-Corriere e l’opportunità di far incontrare le strade del cambiamento, caratteristica della città, con il rinnovo della proprietà del suo quotidiano. In modo più decisivo, è ovvio, trattandosi di un’impresa, si mosse il mercato.

Nella capitale tornata in qualche modo “morale”, oltreché economica grazie a Expo (e non solo), la vicenda proprietà del Corriere configurò un salutare bagno di realismo. Il destino dell’azienda veniva affidato ad una contrattazione regolamentata dagli statuti del mercato e meno in balia delle pressioni del potere economico e politico, dei maneggi di enigmatici e frantumati consigli d’amministrazione, da beghe e rivalità tra famiglie (nel senso genealogico e di appartenenze d’interessi).

Cairo la spuntò, si sa. Adesso, issando la bandiera del “suo” Corriere all’ombra della Mole, reca qualcosa in più di una nuova redazione locale. Corsi e ricorsi: la Rai partì da Torino (ricordiamo la radio di via Arsenale 21, Torino) e a Milano avviò l’esperienza Tv, prima che Roma e i partiti, tutti sempre “centralisti”, governativi o d’opposizione, ci mettessero sopra le mani. Così, il milanese Cairo, mentre sbarca sul Po, porta a La 7, la tv di cui pure è editore, Massimo Giletti (dopo Zoro e il direttore di Rai 3) e al Corriere Milena Gabanelli: gioielli di famiglia d’una Rai ingessata, che fatica a esser pluralista. Cioè si consolida il terzo polo dell’industria culturale tra Rai e Mediaset, come in politica i 5 Stelle tra Berlusconi e Renzi. Da Milano si stanno scrivendo pagine inedite nelle strategie dell’informazione e della politica nazionale. Partiti e istituzioni saranno all’altezza delle trasformazioni? Speremm, si dice, all’ombra della Madonnina. Speremm, appunto.

Marco Garzonio



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti