18 gennaio 2010

IL CAMMINO DEL PGT E I NODI DA SCIOGLIERE


È iniziata in questi giorni la discussione in Consiglio Comunale per l’adozione del Piano di Governo del Territorio, il più importante atto amministrativo della Giunta Moratti, che sostituirà il vecchio Piano Regolatore Generale del 1980. Sono stati presentati complessivamente 1395 emendamenti, dei quali oltre 350 del PD-IdV, ma anche 200 del PdL e della Lega. La prima seduta di discussione in consiglio del 14 gennaio ha visto la mancanza del numero legale, per l’assenza di 12 consiglieri di maggioranza. Un pessimo segnale per l’assessore Masseroli che conta di arrivare all’adozione del Piano in tempi utili da concludere entro l’anno l’approvazione definitiva del PGT, dopo i 240 giorni previsti dalla Legge Regionale 12/’05. Considerando che a primavera 2011 scade il mandato amministrativo, i tempi risultano molto stretti e il cammino è assai rischioso.

Stante il quadro, è utile richiamare i punti più critici del piano, le questioni più rilevanti e sulle quali si stanno concentrando le richieste di modifica del Partito Democratico milanese.

Da una prima lettura d’insieme, il PGT non pensa Milano come una città fulcro di un’area metropolitana molto più ampia. La dimensione metropolitana è evocata nelle immagini e nella retorica del PGT ma di fatto è negata da un impianto complessivo del piano che sembra intenzionato a “ricentralizzare” tutto all’interno del cuore urbano milanese. Dalla residenza per nuove popolazioni alle funzioni trainanti, dagli spazi fruibili per il tempo libero e la cultura ai grandi parchi territoriali.

Inoltre ciò avviene senza che sia chiaro il modello di sviluppo che si ha in testa per la città. Ossia quale debba essere la vocazione da perseguire. Dalla lettura del PGT sembra infatti del tutto trascurata la dimensione propria di una metropoli a lungo riconosciuta come capitale economica del Paese, centro di un territorio che produce il 10% del PIL nazionale. Quali politiche spaziali per “i capitali” e “i lavori” che oggi caratterizzano la Milano postfordista? Quali rinnovate forme spaziali delle funzioni produttive e dei servizi alla produzione?

Su queste essenziali sfide per la città e il suo governo, il PGT non dice nulla, facendo riferimento a non meglio specificate vocazioni per le diverse aree di trasformazione e dando la sensazione di prefigurare un futuro per Milano come sola città dei consumi, secondo un modello economico, sociale e territoriale riduttivo.

Entrando del merito del documento in discussione, la visione di progetto del Piano si qualifica in una presunta rinnovata configurazione urbana reticolare-multicentrica, in alternativa a quella attuale, criticata, radiale-monocentrica. Ciò dovrebbe rispondere all’obiettivo di superare un modello di sviluppo basato sul consumo progressivo di suolo inedificato, sulla crescita estensiva del territorio urbanizzato, che ha storicamente caratterizzato la città.

Se questi orientamenti e strategie risultano in linea di massima condivisibili, pur nella loro genericità, è nella traduzione operativa che si evidenziano marcate contraddizioni e incoerenze.

La densificazione è condivisibile se selettiva, limitata cioè a certi ambiti fortemente accessibili, adeguatamente serviti da linee di forza del trasporto pubblico, e ben attrezzati di servizi, e se è accompagnata dalla garanzia che nessun metro quadrato in più di suolo libero e permeabile verrà occupato.

I territori della densificazione dovrebbero essere, come logica conseguenza delle strategie enunciate, gli Ambiti di Trasformazione del Documento di Piano ma anche i cosiddetti Ambiti di Rinnovamento Urbano, normati dal Piano delle Regole. Sono queste infatti le parti del tessuto urbano consolidato caratterizzate da un significativo potenziale di compattazione e trasformabilità: tipicamente tessuti scarsamente connotati morfologicamente e poco densi, ancora commisti ad aree produttive in via di dismissione.

Analizzando tuttavia i meccanismi attuativi del Piano delle Regole e gli indici applicati, si evince invece che la densificazione è generalizzata in tutto il tessuto urbano consolidato della città.

L’esito ipotizzabile dell’attuazione del piano consiste perciò nella saturazione generalizzata di tessuti urbani spesso già densi, riempiendo i vuoti di cortina e gli spazi dei cortili, tramite la collocazione di nuovi volumi generati dalla perequazione. Il tutto avverrebbe poi in gran parte in modalità diretta con scarsa capacità di controllo e “governo” da parte della pubblica amministrazione.

Una corretta applicazione della perequazione dovrebbe essere accompagnata da una valutazione dei contesti d’intervento, escludendo l’utilizzazione dei diritti edificatori perequati nei Nuclei di Antica Formazione (centri storici) e differenziando l’atterraggio delle volumetrie in relazione alle caratteristiche morfologiche dei diversi tessuti.

 

Il comune di Milano ha scelto la strada della perequazione generalizzata su gran parte del territorio comunale. Non essendo ancora noti i dispositivi di regolazione del processo perequativo, si evidenziano alcuni rischi/questioni aperte da approfondire:

– La trasparenza del mercato, da garantire attraverso un controllo pubblico indipendente (authority) del meccanismo di trasferimento dei diritti edificatori perequati;

– Il rischio di una concentrazione di tali diritti nelle mani di pochi soggetti;

Si rileva infine che il meccanismo perequativo, per com’è concepito, non permette un indirizzo pubblico nell’acquisizione delle aree a servizi; il rischio per il comune è di venire in possesso di “francobolli” di aree, tra loro non contigui e non rilevanti ai fini dell’interesse pubblico; aree che, una volta acquisite, rappresenterebbero un costo per l’amministrazione e non sarebbero fruibili per un tempo indeterminato.

Questo esito potrebbe essere scongiurato limitando lo scambio dei diritti edificatori tra ben determinati compendi di aree cui dare priorità, in modo da determinare, una volta attuati, un disegno pubblico riconoscibile. Si tratta cioè di ricorrere al meccanismo della Compensazione, ad esempio nel Parco Sud, ai fini della conservazione delle aziende agricole nella loro originaria integrità.

Il Documento di Piano prevede nel lungo termine un aumento di entità non ben definita, attorno alle 300.000 unità in contraddizione con le stime dell’Ufficio Statistica del Comune che prevedono una stabilità del trend di crescita per il futuro.

La popolazione a Milano nell’ultimo ventennio è infatti rimasta stabile (dopo essere calata negli anni 80). Questo fenomeno difficilmente può essere invertito con l’immissione di nuovo stock residenziale nel mercato urbano, in una situazione di concorrenza dei comuni dell’hinterland che cercano a loro volta di attirare nuova popolazione. È evidente che una realtà come l’area metropolitana di Milano necessiterebbe di una pianificazione urbanistica di area vasta, tramite cui trasferire quote di edificabilità anche a scala sovra-comunale, attorno a qualificati centri urbani caratterizzati da un’elevata dotazione di servizi e ancorati al sistema di forza del trasporto pubblico (ferrovie e passante).

La popolazione della città di Milano può crescere puntando su fattori di attrattività quali la qualità urbana, la dotazione di verde e di servizi, il prezzo delle abitazioni. Una significativa crescita della popolazione si realizzerebbe inoltre solo a fronte di un qualificato incremento dell’offerta occupazionale. In assenza di queste condizioni l’aumento della popolazione previsto dal P.G.T. sembra aleatorio e irrealizzabile.

I limiti del Piano sono poi molto evidenti in relazione ai temi del verde e delle grandi dotazioni ambientali tra le quali si pone, per rilevanza, il Parco Sud.

L’obiettivo di affermare la natura agricola e produttiva del Parco Sud si attua, come visto, tramite la perequazione urbanistica, acquisendo al Comune la proprietà delle aree, al fine di realizzare il parco agricolo pubblico più grande d’Europa, e sostenere l’attività agricola mediante l’attivazione di contratti agrari di lunga durata.

Si comprende tuttavia che il nodo politico principale del PGT, l’anello debole del meccanismo di funzionamento del piano è insito nella definizione autoritativa da parte del comune di Milano dell’indice di edificabilità sulle aree del parco, essendo questa materia di concertazione con gli altri comuni del parco sud, oltre che con la Provincia di Milano e, soprattutto, con la Regione Lombardia (il Parco è infatti regionale). Da un’analisi delle quantità insediabili si evince inoltre che a oggi non esiste alcuna garanzia che le aree del Parco Sud vengano salvaguardate da eventuali atterraggi dei diritti edificatori, in quanto le modalità attuative sono rimandate ai Piani di Cintura Urbana, strumenti esecutivi del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Sud.

Da ultimo una riflessione sui progetti infrastrutturali del Piano tra i quali si richiama, oltre alle numerose nuove linee di trasporto, anche il tunnel viabilistico Expo-Linate.

Si può convenire a priori come una viabilità interrata, anche rilevante, possa portare significativi benefici, a condizione che l’infrastruttura porti con sé una riorganizzazione complessiva e forte di tutta la rete di superficie, valutando opportunamente in fase progettuale gli accessi e le uscite del tunnel, per evitare il rischio di scaricare quantità rilevanti di traffico in ambiti non in grado di assorbirli. Il progetto in questione tuttavia va proprio nella direzione opposta e, come tale, va rigettato.

Avrebbe più senso una viabilità interrata ad andamento trasversale e non di attraversamento urbano, come ad esempio nel quadrante nord sul tracciato est-ovest della Strada Interquartiere Nord, che nei tratti critici e più contestati può essere interrata.

Per ciò che concerne la trasformazione dei comparti ferroviari, il Piano disattende le iniziali indicazioni degli accordi di programma Comune di Milano-FS e non prescrive alle Ferrovie di impiegare le valorizzazioni economiche loro derivanti dalle trasformazioni assentite dal PGT, esclusivamente per opere connesse al potenziamento infrastrutturale del nodo ferroviario milanese (ad esempio, la connessione ferroviaria Centrale-Garibaldi o il passante ferroviario ovest). Il rischio è che tali risorse siano impiegate per capitoli di spesa non strutturali (ad esempio, il rinnovo del materiale rotabile) o, peggio ancora, per esigenze di bilancio.

In conclusione si può osservare che il PGT può rimanere un libro dei sogni in assenza di risorse economiche pubbliche e se si attarda la ripresa del ciclo immobiliare.

Vi è poi il rischio che le previsioni di piano, quand’anche approvato, siano disattese o peggio contraddette in fase attuativa, in quanto le aree strategiche verranno attuate mediante separati atti di programmazione negoziata (accordi di programma, programmi integrati d’intervento) che anticipano l’efficacia del piano.

Centrale sarà la capacità dell’Amministrazione di verificare e valutare gli effetti del PGT in fase di attuazione e gestione. Occorrerà in particolare verificare se il PGT sarà in grado di operare come strumento selettivo dello sviluppo urbano, e cioè capace di produrre scelte tangibili in termini localizzativi, spaziali, qualitativi.

 

Savino Natalicchio


 



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