12 settembre 2017

AUMENTANO LE AUTOMOBILI A MILANO, IL SETTORE AUTO TORNA A TIRARE

Le contraddizioni di una città che non può essere un drive-in


A Milano dopo l’estate torna l’assedio del traffico, e non ci sono buone notizie. Se appare in via di esaurimento, senza rimpianti, l’effetto depressivo della crisi economica sulle immatricolazioni di nuove auto, ora resta solo un modo per attenuare l’invasione di lamiere, pneumatici e gas di scarico: sviluppare politiche che incoraggino il ricorso a forme di mobilità diverse dall’automobile privata.

03disimine29FBI dati dell’ultimo rapporto statistico ACI confermano tendenze già delineate nell’arco dell’ultimo triennio: in città è finito il crollo delle immatricolazioni di autovetture, anche se la vivacità commerciale nell’acquisto di autovetture nuove è ampiamente al di sotto dei livelli pre-crisi, e gli effetti sul parco circolante dei milanesi iniziano a vedersi. Sceso di 13 punti percentuali dal 2000 al 2013, calo che corrisponde alla rottamazione definitiva di ben 100.000 autovetture di milanesi, ora il parco auto riprende, sia pure lentamente, a salire: negli ultimi due anni il numero di autovetture di proprietà di milanesi è salito di circa 4.500 unità.

Un aumento che avviene a parità di indice di motorizzazione, in virtù del contestuale aumento demografico: siamo scesi dalle 61 alle 51 autovetture ogni 100 residenti negli anni dal 2000 a oggi, ma il calo è terminato su un valore che resta molto alto in rapporto a quasi tutte le città europee di dimensioni confrontabili con Milano (anche se è un valore molto più basso rispetto agli altri grandi capoluoghi italiani).

Si tratta di tendenze che non appaiono per nulla casuali, anche se sarebbe riduttivo legarle solo alle politiche della mobilità, dal momento che si tratta di dati sensibili a evoluzioni demografiche, economiche e occupazionali. Tuttavia, Milano nel recente passato ha dimostrato, unica in Italia tra le città di grandi dimensioni, di saper attuare politiche incisive i cui risultati sono stati indubbi: in gran parte, il merito è nell’introduzione e nel consolidamento, sviluppatosi nell’arco di ben 3 legislature, dell’Area C.

Poi, sono stati fortemente assecondati, e sono deflagrati in modo superiore alle aspettative, fenomeni di diffusione della mobilità condivisa, dove il successo dei servizi di car- e bike-sharing è stato stupefacente. Sul versante del trasporto pubblico, oltre all’estensione della rete delle metropolitane, la vera novità – ancora non metabolizzata dall’utenza milanese – è avvenuta con l’offerta dei servizi delle linee ferroviarie S, che oggi garantiscono collegamenti a elevata frequenza, dalla prima mattina fino a notte fonda, tra oltre 130 fermate della città, dell’hinterland e dell’area metropolitana: un’estensione davvero notevole dei servizi di accessibilità, purtroppo ampiamente sottoutilizzata se si escludono le fasce orarie degli spostamenti pendolari.

A livello urbano invece non è avvenuto l’auspicato salto in avanti della mobilità ciclabile, che ristagna su percentuali di spostamenti ancora ridicole rispetto alle potenzialità di una città perfettamente pianeggiante e compatta nelle dimensioni. Eppure la mobilità ciclabile è la vera risposta vincente, su più livelli, ai problemi di mobilità urbana: per versatilità, per il ridottissimo ingombro, per la sua economicità (sia sui conti pubblici, che sulla spesa delle famiglie), per la velocità commerciale che, in città, è competitiva sia con quella del mezzo pubblico che con quella delle automobili. E, non ultimo, per la sua salubrità, in un’epoca in cui la ridotta attività fisica è divenuta il principale fattore predisponente a patologie cronico-degenerative di ampia diffusione ed elevato impatto socio-sanitario.

A non funzionare, per la mobilità urbana, non è l’insufficienza dell’infrastruttura stradale, ma la sua scarsa idoneità a sostenere in condizioni di adeguata sicurezza un forte aumento dell’utilizzo da parte dei ciclisti. A mancare non sono i percorsi dedicati, peraltro quasi mai davvero indispensabili: la bicicletta deve potersi muovere usando in sicurezza l’infrastruttura già esistente, la pubblica strada. Il vero limite di questa infrastruttura nei confronti dell’utilizzo multimodale è nelle regole d’ingaggio, e i nemici sono quelli di sempre: le ordinarie condotte di guida e le modalità di uso degli spazi pubblici per la sosta e lo stazionamento delle autovetture. In questo ci si aspetta un contributo rilevante dal PUMS, il piano urbano della mobilità sostenibile, che però sconta un ritardo di almeno tre anni. Il PUMS accoglie, tra le altre, misure per la progressiva estensione delle zone 30: la riduzione della velocità consentita in area urbana appare fondamentale per migliorare la sicurezza percepita nell’utilizzo della strada da parte delle utenze deboli e dei pedoni.

Poi, anche più rilevante, è la regolamentazione della sosta e la riduzione degli spazi per la sosta in superficie. Misura questa che è fondamentale per ripristinare un atteggiamento corretto nei confronti degli spazi della città pubblica, considerato che il milione di auto (di milanesi e di city users) che ogni giorno ricercano aree di sosta finiscono con l’occupare complessivamente una superficie di 1000 ettari, come dire 25 volte il Parco Sempione, con l’ingombro delle loro lamiere, in tutti gli spazi disponibili legalmente e non: si tratta soprattutto di spazi sottratti alla mobilità pedonale (sui marciapiedi e sulle aiuole, alla faccia dei divieti e del buon senso) e ciclabile (a bordo strada, e magari in doppia fila, sui parterre alberati, sulle mezzerie).

Il paesaggio urbano di auto parcheggiate dovunque è ancora qualcosa che non fa onore al prestigio che Milano reclama, e ha un costo che non viene quasi mai contabilizzato, in nome di un inesistente diritto allo spazio di parcheggio gratuito. Quello in cui parcheggiano le auto è in realtà quasi sempre uno spazio pubblico, e la sua occupazione normalmente è regolamentata: pagano lo spazio pubblico gli esercenti che vi collocano i tavolini dei locali, gli ambulanti che vi svolgono i loro commerci, le associazioni che organizzano eventi, le imprese che devono installare i ponteggi dei cantieri. Solo gli automobilisti, a Milano, rivendicano come diritto il suo uso gratuito e indiscriminato, che in qualsiasi altra città europea non sarebbe contemplato. Con determinazione, voltiamo pagina?

Damiano Di Simine

Legambiente



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