30 novembre 2016

LET’S MAKE THE EARTH GREAT AGAIN! (RIFACCIAMO GRANDE LA TERRA)

Il progresso tecnologico senza guardare al futuro?


Riappropriamoci del motto della campagna di Trump. Anzitutto perché è efficace, anche Reagan aveva vinto con Let’s make America great again. E poi perché, opportunamente modificato, ci fa vedere in modo propositivo la sfida ecologica, proprio quella che il motto originario intende cancellare. Di sfida ecologica si è parlato a Milano nel convegno Difendiamo la salute, il pianeta, la vita, tenutosi sabato 22 ottobre alla casa dei diritti di Via De Amicis 10, organizzato dal gruppo Difendiamo la salute e dalla Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano.

10cifoletti38fbElena Pulcini, ordinaria di filosofia sociale all’ università di Firenze, ha presentato una relazione dal titolo Immaginare il futuro tra diniego e responsabilità. Per la studiosa, la globalizzazione ha mutato profondamente lo scenario antropologico e sociale, ponendoci di fronte a sfide inedite e aprendo necessariamente nuove prospettive sul piano etico e politico: tale è la sfida ecologica, che coinvolge il destino dell’umanità e del pianeta. Già a partire dal secolo scorso il pensiero politico aveva denunciato gli effetti negativi prodotti dallo sviluppo della tecnica: dal problema ambientale alla minaccia nucleare, alle conseguenze indesiderate delle biotecnologie.

L’origine del problema non sta nella tecnica quanto piuttosto nel soggetto, cioè nella vocazione all’illimitatezza del soggetto moderno: un homo faber che ha però perduto la capacità di previsione e di progettazione che lo caratterizzava all’origine della modernità. Perciò agiamo, produciamo senza più porci il problema delle conseguenze del nostro agire. E da questo derivano rischi inediti che riguardano l’umanità intera e il destino stesso del mondo. Per la prima volta nella storia, l’umanità ha creato le condizioni per la propria autodistruzione. Per la prima volta è compromessa l’idea stessa di futuro, all’origine stessa della modernità.

È possibile però pensare che, in virtù dell’interdipendenza degli eventi e delle vite che la caratterizza e che crea inedite connessioni tra gli individui del pianeta, l’età globale possa configurarsi come l’età dell’empatia, nella quale gli esseri umani riscoprono l’etica della cura, che è nata dalla riflessione femminile e femminista, per correggere le patologie dell’individualismo e colmare le carenze e le astrazioni dell’etica liberale. È necessario spingere questo messaggio fino alle sue più radicali conseguenze, e concepire la cura come un atteggiamento che vorrei definire olistico: capace, cioè, di investire tutte le sfere della vita, dal privato, alla sfera professionale, alla politica, all’ambiente.

Nel secondo intervento Antonella Nappi, ricercatrice di sociologia all’Università degli Studi di Milano, ha mostrato alcuni esempi di come lo sviluppo tecnologico avvenga sulla base di esigenze economiche e senza controllo delle conseguenze sulla vita umana. È ormai matura la consapevolezza che tale controllo debba essere imposto dai cittadini. Nel secolo scorso infatti il DDT, la radioattività, il fumo di sigaretta, l’amianto, l’esposizione a metalli pesanti, sono stati dichiarati innocui prima di una seria conoscenza del fenomeno. Il caso dell’elettromagnetismo, secondo gli studi critici esposti da Nappi, è un esempio attuale dello stesso fenomeno. Attualmente la sostituzione dei cavi con le onde radio di cordless, cellulari e wi-fi, coinvolge la popolazione in una sperimentazione definita da moltissimi studiosi come la più grande mai fatta sull’umanità e le di cui ricadute possono essere le più gravi a partire dai bambini e dagli anziani.

David Carpenter ha scritto: «Sulla base delle evidenze scientifiche odierne, molti esperti della salute pubblica credono sia possibile che ci troveremo di fronte a una epidemia di cancri in futuro come risultato dell’utilizzo incontrollato dei telefoni mobili e della crescente esposizione della popolazione al Wi-Fi e alle altre tecnologie wireless». Infatti da anni studiosi di tutto il mondo affermano che i campi elettromagnetici a radiofrequenza, anche a bassa intensità, producono effetti acuti sulle persone esposte a frequenze dell’ordine di quelle emesse dai telefoni cellulari e dalle stazioni radio base, interferiscono con il corpo umano e i messaggi cerebrali, predispongono a tumori e leucemie e potenziano per sinergia altri inquinanti come ad esempio l’inquinamento atmosferico e i pesticidi.

Queste tecnologie non sono state pensate avendo in mente quali effetti biologici hanno sulle persone e sono state attuate senza tener conto che tutto il vivente ha sue caratteristiche elettriche essenziali al suo funzionamento e alla sua riparazione continua, al suo equilibrio; in particolare i nostri cuori e i nostri cervelli sono regolati al loro interno da segnali bioelettrici. Siamo noi a dover intervenire con l’osservazione e la previsione delle conseguenze. La relatrice ha concluso sottolineando che nel mondo finora la divisione dei ruoli tra uomini e donne ha separato l’ascolto delle necessità umane (fatto dalle donne) dall’azione nel mondo pubblico che si caratterizza per la tensione verso obiettivi svincolati da responsabilità sociali e umane. Valorizzare l’esperienza delle donne ci può portare a disegnare obiettivi diversi in una società diversa.

Aggiungo che in novembre abbiamo poi assistito alla vittoria di chi, candidandosi a un ruolo di massima responsabilità, definiva il proprio programma in termini di crescita illimitata e di irresponsabilità. Rifacciamo grande la Terra significa superare i limiti, ma per noi i limiti sono quelli imposti alla nostra creatività nel risolvere i problemi. Il nostro modello di grandezza non è l’espansionismo imperiale o economico, e ancor meno la crescita finanziaria, ma lo sviluppo del cervello. Senza aumentare di volume, anzi sempre più racchiuso nella scatola cranica, il cervello cresce per più di vent’anni, per poi essere in grado di gestire le situazioni più complesse per altri, be’, diciamo 80 anni. Come cresce? Imparando dagli errori, affrontando gli ostacoli e sfruttando i limiti. Ciascuno di noi può fare qualcosa, anzi solo se ciascuno di noi fa qualcosa questo modello di sviluppo consapevole dei limiti può funzionare, come nella politica del partire da sé di buona tradizione femminista. Rendiamo di nuovo grande la Terra.

 

Giovanna Cifoletti
Directrice d’Etudes à l’EHESS Mathématiques et Histoire, Centre Alexandre Koyré Paris
per Difendiamo la salute

 



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