13 luglio 2016

NUOVE ARCHITETTURE E PARSIMONIA URBANA

Altri criteri di giudizio oltre il bello e il tecnologico


Queste sintetiche riflessioni vogliono sollecitare un dibattito, utile e non compiacente, sugli sviluppi recenti di Milano per il quale sarebbe necessario ascoltare voci libere, soprattutto di chi non ha implicazioni con le vicende urbanistiche recenti. Un primo punto riguarda la necessità di liberarsi dagli architetti “guru”, che per i politici sono un’autorità riconosciuta che li esonera dall’apertura di un dibattito sulle proposte progettuali; ciò pare difficile se, in assenza di una reazione sociale, non esiste almeno una reazione culturale organizzata e non singole e isolate voci critiche.

04secchi26FBIo credo anzitutto che sia necessario liberarsi dai “guru” soprattutto perché occorre riabilitare un modo di progettare la città più attento alla sua storia, ai caratteri del suo impianto, alla sua tradizione costruttiva, alle sue “atmosfere”, connotati che francamente sono estranei al modo di progettare di certi studi che non hanno radici, che si spostano nel mondo a depositare un qualche loro prodotto griffato sostanzialmente sempre uguale. L’irresponsabile acquiescenza nei confronti della gara che si è aperta a Milano alla ricerca di sempre più sfrontate soluzioni volumetriche e formalistiche che ormai proliferano anche nei luoghi meno idonei, non può essere giustificata dal fatto che queste esibizioni di forme e sperimentazioni ipertecnologiche siano soluzioni che “piacciono”; il caso dell’edificio della Fondazione Feltrinelli – sgradevole per il suo specioso e sfrontato formalismo – appare, a questo proposito, particolarmente pericoloso e contagioso, in quanto presentato come un servizio per la città, cui quindi si può concedere qualsiasi libertà di intrusione nel contesto urbano.

C’è in gioco il nostro futuro, ambientale ed economico: le risorse di denaro, anche se private, spese male, si traducono rapidamente in un danno che la collettività dovrà pagare: mi domando a quale contraccolpo economico e finanziario porterà il non usato del tanto costruito.  Non può tranquillizzare il fatto che le grandi somme che si spendono in operazioni spericolate siano denari di provenienza sospetta, ma “utili”. Il sovra costo di costruzioni di forma bislacca, che si attorcigliano, si rastremano, pendono pericolosamente in avanti e che per queste esibizioni si avvalgono di tecnologie complesse e di materiali di ultima generazione molto costosi, rappresenta un dato che dovrebbe avere peso politico e morale: soprattutto in un’epoca di spending review.

Come non considerare che ciò che si è costruito ha generalmente grandi dimensioni, forme e caratteristiche tipologiche che non consentiranno un facile “riciclaggio”: si tratta – mi riferisco in particolare ai grattacieli – di costruzioni destinate a un’obsolescenza anche rapida, considerato come cambiano rapidamente i modi di lavorare e di organizzare l’interscambio delle informazioni; in altri paesi del mondo ci si comincia a domandare che fare dei grattacieli costruiti negli anni cinquanta.

Mi chiedo anche perché non si valutano i costi sociali ed economici della densificazione della città: i costi di un traffico sempre più lento, che comporta un degrado delle condizioni ambientali, che incide sulla salute e quindi sui costi della sanità pubblica, ma anche sull’efficienza dei cittadini – cioè sulla produttività – e che richiede una rincorsa alla realizzazione di sempre più costose infrastrutture di viabilità e per il trasporto delle persone. Non mi pare trascurabile nemmeno il costo del degrado del paesaggio urbano, della perdita di caratteri tipici e mi domando che senso abbia la sostituzione episodica, di vecchi edifici nella città compatta, ai margini della città storica che, anche se privi di particolare pregio architettonico, stavano in ragionevole accordo con il contesto, con nuovi edifici di sproporzionata dimensione e altezza.

Cito come esempio, non peggiore di altri, ma utile per dimostrare il disinteresse per i valori del paesaggio urbano e l’assenza di criteri e parametri di riferimento, un edificio costruito sul tracciato storico della via Lomazzo, che si contrappone al campanile di una chiesa e a tutto l’impianto della via. Il buon esempio di “rigenerazione edilizia” rappresentato dall’intervento di Renzo Piano in via Monte Rosa per “iI Sole 24 Ore”, che ha ridato qualità architettonica, funzionale ed ecologica a un anonimo edificio, è passato quasi inosservato, mentre un recente alto edificio in stile “condominio anni sessanta” rivestito di verde ha avuto uno spropositato riscontro di elogi: un’utile mistificazione che serve a poter dire che anche i grattacieli sono “buoni”, possono tener conto dei bisogni ambientali, così come qualche verdura coltivata sul terrazzo degli edifici viene presentata come una risorsa che redime dalle colpe di un inquinamento sempre più forte.

Si tratta di espedienti pericolosi, che sviano l’attenzione dai problemi reali, quelli dell’eccessiva densità, dell’eccessivo inquinamento, dell’eccessivo rumore, della mancanza di aria. È quindi assolutamente urgente, alla vigilia di probabili nuovi grandi progetti su aree dismesse, proporre un percorso di verifica riguardo a ciò che si è fatto: chiedersi come mai i progetti teoricamente ultimati sono sconfortanti (vedi il progetto Portello, di cui spero ci sarà occasione di parlare), come mai quelli in corso hanno uno sviluppo molto più lento del previsto (Progetto Vittoria); perché quello che si sta realizzando comporta costi di realizzo e conseguentemente prezzi di vendita sempre più inaccessibili e non si pone l’attenzione su quali siano le conseguenze sociali di operazioni sempre destinate al dieci percento di ricchi, che selezionano, dividono, rinchiudono un’elite già rivolta su se stessa in recinti .

Non ci si chiede quali siano i bisogni di quel novanta percento di popolazione che vive ancora nel resto della città, soprattutto in periferia, ove occorrono programmi davvero virtuosi di “rigenerazione urbana”, non solo di recupero degli interstizi e di arredo urbano. Il costo del vivere in città ha raggiunto livelli insostenibili per molti, ma sulla migrazione di famiglie giovani e di anziani verso la periferia dell’area metropolitana e sulle sue conseguenze sociali ed economiche non si avverte la necessaria attenzione.

 

Alberto Secchi



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