13 luglio 2016

DA EXPO LA SPINTA A CANDIDARSI

Chi sono i nuovi civici


Una laurea in Architettura del paesaggio, un soggiorno di dieci anni all’estero, e il ritorno a Milano per partecipare a Expo2015 e poi l’esperienza del progetto Recupero verde Expo-Padiglioni. Elena Galimberti è stata tra i più giovani membri della lista civica Noi Milano, sostenitrice del nuovo sindaco Giuseppe Sala, senza essere eletta. Una intervista per capire le ragioni di chi con energia e ottimismo continua a voler contribuire a creare una “nuova città per tutti”.

05dipaola26FBIl tuo sostegno a Giuseppe Sala ha avuto come manifesto l’ottimismo e la volontà di mantenere vivi i valori promossi dalla passata Esposizione Universale: energia, vita e condivisione. Avresti mai immaginato che lavorare in Expo Milano 2015 ti avrebbe portata alla politica?
Come la maggior parte dei giovani, ho sempre guardato alla politica come a una dimensione lontana che difficilmente avrebbe potuto intrecciarsi direttamente con la mia esperienza personale; mi sono sempre data da fare per realizzare progetti con altre persone e per altre persone, ma non ho mai chiamato questo impegno “politica”. La mia candidatura è stata una un’occasione colta all’improvviso: avevo chiesto un colloquio con Giuseppe Sala per discutere alcune iniziative legate al Progetto Outside Expo (il gruppo di ex lavoratori dell’Esposizione Universale del 2015, che vogliono continuare con entusiasmo a operare sul territorio milanese impegnandosi nei settori dell’ambiente, della cultura, del turismo, del food) ed è stato lui a propormi di partecipare alla campagna per le Amministrative. Ho accettato perché non sono una persona che si tira indietro, e soprattutto per avere l’opportunità di contribuire “dall’interno” alla realizzazione dei progetti che mi stanno a cuore per la città di Milano. La città è cambiata moltissimo nell’ultimo anno e continuerà a farlo grazie all’energia e all’orgoglio dei suoi cittadini. Io sono prima di tutto una cittadina, sono orgogliosa della mia città e, sebbene non abbia attualmente nessun incarico ufficiale, intendo continuare a contribuire con l’Amministrazione per migliorarla, fornendo idee, fiducia e un impegno attivo.

In molte città queste elezioni amministrative sono state l’occasione per portare al governo candidati giovani. Quali sono i vantaggi della gioventù in politica?
Sicuramente l’energia, l’ottimismo e la voglia di costruire al meglio il mondo nel quale vivere il proprio futuro. Lavorando in Expo, in un contesto organizzativo giovane, ho avuto la conferma che questi ingredienti sono fondamentali nella realizzazione di qualsiasi progetto condiviso, così come nella vita privata. Proprio in questo periodo storico, in cui la costruzione del proprio futuro è faticoso e incerto, i giovani  sono un esempio di determinazione, voglia di fare e fiducia: hanno voglia di crescere, creare, condividere e soprattutto hanno il coraggio di sperimentare, l’intelligenza per imparare da chi ha più esperienza e l’entusiasmo per coinvolgere altre persone nel loro ottimismo.

Il programma di “Noi, Milano” si basa proprio sull’importanza di coinvolgere gli abitanti nella progettazione e realizzazione degli spazi cittadini, perché Milano è di chi la vive e la anima. In che modo sarà possibile promuovere la partecipazione della popolazione (variegata e multiculturale) del capoluogo lombardo?
L’anima di una città è nutrita dai desideri e dalle idee di chi la abita, e sono questi i motori che rendono possibile l’evoluzione e la crescita di un territorio. Perciò non ha senso, secondo me, pensare a una città “progettata dall’alto”, ma piuttosto a un tessuto urbano variegato anche se coeso, che si trasforma secondo idee e desideri che i cittadini devono essere incoraggiati a esprimere.
Le persone hanno voglia di stare insieme e condividere tempi e spazi; se dotate degli strumenti e delle occasioni per farlo, possono davvero trasformare la loro città e tenerne viva l’energia. Fornire queste occasioni è stato ciò che ho fatto all’interno di Expo organizzando i “Mondiali” di calcio per tutti i dipendenti del Sito e dei Padiglioni, ed è quello che voglio fare dall’interno dell’Amministrazione Comunale, per esempio creando una rete tra le tante associazioni esistenti sul territorio per realizzare progetti comuni di “architettura urbana”, di arte condivisa o di scambi interculturali attraverso la coltivazione di orti con semi “multietnici”: una città interconnessa ma capace di valorizzare la diversità delle sue componenti.

Quale ritieni che sia l’eredità più importante che Expo ha lasciato alla città di Milano? E a te (come cittadina, come donna e come giovale lavoratrice) cosa ne è rimasto?
Expo ha dato a Milano una vitalità nuova, non solo animandola con eventi culturali e riqualificandone l’immagine esteriore, ma attraendo persone da tutto il mondo e soprattutto facendo rinascere l’orgoglio dei milanesi per la loro città. Ed è proprio questo orgoglio ciò che è rimasto anche a me: sono tornata in Italia senza avere uno “scopo” ed Expo me lo ha dato. Mi ha ridato fiducia nelle persone e fatto vedere una possibile strada da percorrere insieme.

Parliamo di arte: fotografa, nei tuoi scatti si coglie sempre un’attenzione non banale per il rapporto tra presenza umana e paesaggio, l’intenzione di raccontare contemporaneamente la storia di uomini e luoghi. Come cambia la realtà da dietro l’obiettivo? Come ti piacerebbe riuscire a fotografare Milano da qui ai prossimi cinque anni?
È la domanda più difficile perché la fotografia è qualcosa che fa parte del mio io più intimo. Non sono una fotografa per professione ma per passione; fotografare è un modo per riscoprire il mondo, assumere un punto di vista e “appropriarmi” della realtà. È ciò che ho fatto quando sono tornata da Lisbona a Milano: passeggiavo per la città catturandone con l’obiettivo non solo le architetture ma anche scorci e i particolari meno evidenti. L’ho fatto anche durante Expo, cogliendone la vita quotidiana e poi lo smantellamento: il Sito di Rho è stata la mia “casa” per sei mesi, e vedendolo distruggere non ho pianto solo perché ho potuto fotografarlo, interiorizzarlo e fare un ritratto sentimentale della sua fine. In questo caso ho fatto della fotografia una forma di terapia e sublimazione.
Tra cinque anni spero di fotografare una Milano “bella”, piena di spazi condivisi (tra cui il Museo del Design all’aperto, cui tengo molto). Nella fotografia, come nella vita, ci vuole capacità di vedere e guardare. Io amo molto osservare e fotografare le persone, perché solo da dove e come si siedono si capisce il loro legame con lo spazio che le circonda; tra cinque anni spero di vedere (e fotografare) i milanesi seduti in spazi davvero percepiti come “propri”, da loro stessi pensati, realizzati e amati.

 

Chiara Di Paola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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