28 giugno 2016

PARADISE EUROPE. ANCHE MILANO DEVE FARE LA SUA PARTE

La pace, il potere della UE e le diversità di cultura tra di qua e di là dell’Atlantico


Negli anni 1990, in teleconferenza nell’allora USIS di Milano, all’americano che gli chiedeva il cambio lira/dollaro, l’interlocutore italiano rispose: dipende dal momento. M’è tornato in mente in Università Cattolica il 30 maggio scorso, mentre Paul De Grauwe (London School of Economics) teneva una lucida lezione sull’inevitabile ma difficile integrazione fiscale e politica dell’area euro, la vera UE dotata del fondamento della sovranità, la moneta. Nata in USA, questa crisi è figlia del dogma che il mercato provvede a tutto autoregolandosi, mentre fa solo prevalere i propri interessi a breve su tutto.

04gario24FBGonfiati dall’euforia post guerra fredda, i debiti di famiglie e imprese sono stati predittori di quelli pubblici perché l’insolvenza dei privati si è estesa al sistema finanziario, salvato dai bilanci pubblici con costi enormi e continuativi dopo il 2008. Giunta in Europa dopo anni, la crisi vi è aggravata dall’errore di imporre austerità alla spesa pubblica, necessaria invece per gli investimenti a sostegno di domanda, economia e occupazione, ma anche per realizzare le infrastrutture adeguate in un mondo sempre più integrato tecnologicamente, concorrenziale, piccolo, interdipendente.

L’UE provvede alle future generazioni se è concorrenziale nel mondo per infrastrutture, economia, occupazione, istituti di governo. Così il debito pubblico si pagherà da sé e gioverà anche ai figli e ai nipoti. Oggi l’euro è invece affidato alla banca centrale europea, ente tecnico che secondo il dogma neoliberale di Milton Friedman produce moneta come una qualsiasi merce, per le esigenze (presunte) del mercato. Lo stesso Friedman che come rimedio estremo per le crisi di deflazione propone l’elicottero dei soldi. De Grauwe ne parla con tenerezza, citando la risposta della nipote dodicenne alla domanda di che cosa farebbe di mille euro regalati: «Li risparmierei», come in effetti fanno le famiglie indebitate con i loro introiti in più.

La questione è quale ruolo e peso abbia la legge. «Con la loro esperienza storicamente unica del secolo scorso – culminata nella creazione della Unione Europea – gli europei hanno sviluppato un insieme di ideali e principi su utilità e moralità del potere diverso da ideali e principi degli americani, che non hanno condiviso quell’esperienza», scriveva nel 2003 Robert Kagan, direttore dello U.S. Leadership Project al Carnegie Endowment for International Peace. «La divergenza che insieme producono può essere impossibile da ribaltare» (1). «I pericoli dell’attuale difficile situazione transatlantica non stanno nella volontà o capacità americane, ma nell’intrinseca tensione morale dell’attuale situazione internazionale. Com’è così frequente negli affari umani, la vera questione sta negli intangibili: paure, passioni e credenze. Il problema è che gli Stati Uniti devono talvolta giocare con le regole di un mondo hobbesiano, anche se così violano le norme postmoderne europee». «Devono sostenere il controllo degli armamenti, ma non sempre rispettarlo. Devono agire secondo un doppio standard morale» (2). L’errore sta qui.

Al contrario, che nel mondo globale le regole hobbesiane pongano «l’analogia tra la “moltitudo” degli individui che deve diventare “populus” per uscire dallo stato di natura e la “moltitudo” degli stati che deve diventare “populus” di poteri sovrani per dar vita a un vero e proprio “commonwealth” mondiale, è evidente. Che questo passaggio dal piano interno al piano internazionale sia attuabile, non è detto. Ma che l’unica via attraverso la quale possa essere attuato sia un pactum unionis tra i singoli membri della comunità internazionale, quando essi abbiano ricevuto la loro autorità mediante il consenso, o, in termini hobbesiani, mediante un atto di autorizzazione dei membri delle singole comunità politiche, è indiscutibile». In altre parole, «non esiste altra forma di diritto che la legge» (3).

Kagan lo riconosce tredici anni dopo. Un Donald Trump che in Crippled America (New York 2016) «si sforza di convincere i suoi lettori che la gravità del compito richiede un uomo di polso, libero da vincoli, provvidenziale», «spinge l’antico araldo dei neoconservatori americani, Robert Kagan, a tuonare dalle colonne del Washington Post del 18 maggio, denunciando un rischio di “fascismo” nella forma del populismo che ha assicurato il trionfo di Trump nella corsa all’investitura repubblicana».

Ognuno deve fare la propria parte, e la nostra è insieme la più difficile e importante, perché il Paradise Europe cui Kagan si riferisce nel titolo del suo libro è il potere della legge che l’UE ha imparato a sostituire all’illusorio potere di armi, mercati, malavita. Da decenni Milano fa, un po’ a fatica, la sua parte.

 

Giuseppe Gario

 

 

(1) Robert Kagan, Of Paradise And Power. America And Europe In The New World Order, New York, 2003, p. 11

(2) ibidem, p. 99

(3) Norberto Bobbio, Thomas Hobbes, Torino 1989, p. XII e p. 216

(4) Gilles Paris, «Donald Trump dans le texte», Le Monde, 02/06/2016, p. 23

 

 

 



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