2 marzo 2016

PIÙ TRASPORTO PUBBLICO SIGNIFICA MENO SMOG? ALCUNI DUBBI RILEVANTI


Negli scorsi mesi il tema smog ha fatto prepotentemente ritorno sulle prime pagine dei giornali (milanesi e non) come accaduto ogni qualvolta nei passati decenni condizioni atmosferiche nel periodo invernale hanno determinato un superamento dei limiti via via più stringenti della normativa vigente. E, come nelle passate occasioni, è riemersa la contrapposizione tra misure “di emergenza” e quelle “strutturali”. Tra queste ultime, per quanto concerne l’ambito della mobilità, a detta di molti sembra essere strategico il ruolo del potenziamento dell’offerta dei servizi di trasporto collettivo.

09ponti08FBÈ forse utile provare a quantificare quale potrebbe essere a ricaduta di una tale strategia. Lo si può fare grazie ai dati contenuti nel Piano urbano della mobilità sostenibile del Comune di Milano che ha visto la luce nel 2015. È un piano che si propone come obiettivo una riduzione della quota di domanda di mobilità soddisfatta dal mezzo individuale a favore dei trasporti collettivi e degli spostamenti in auto e a piedi: l’attuazione dei progetti previsti dal documento determinerebbe una riduzione della percentuale di spostamenti in auto di circa il 6% (dal 28,8% al 22,9% nel caso di quelli interni alla città e dal 57,1% al 51,3% per quelli di scambio); il 5% della domanda passerebbe al trasporto pubblico e il restante 1% alla bicicletta.

In quale misura tale cambio modale influirebbe sulla qualità dell’aria? Il piano non fornisce una risposta esplicita a tale interrogativo ma una stima approssimativa può essere fornita sulla base degli scenari di evoluzione delle emissioni che vengono descritti analiticamente. In particolare, nel documento vengono messi a confronto lo “stato di fatto” attuale, lo “scenario di riferimento” (ossia come si evolverebbe la situazione in assenza di provvedimenti) e lo “scenario di progetto”. Nello scenario di riferimento le emissioni si ridurrebbero rispetto allo stato di fatto di una percentuale compresa tra il 21% nel caso del PM10 ed il 72% per il EC-BC (carbonio elementare – black carbon). Come riconosciuto nello stesso documento: “il contributo più rilevante alla riduzione delle emissioni è attribuibile al progresso tecnologico nella progettazione dei veicoli a motore per il rispetto delle direttive europee in materia di emissioni da veicoli a motore e al progressivo ricambio nel parco veicolare circolante”.

A valle di esso vi è un marginale contributo delle azioni poste in essere per modificare la ripartizione modale degli spostamenti. Nel caso del PM2.5, la differenza di emissioni tra lo scenario tendenziale e quello di progetto risulta pari a 17 t/anno che rappresentano meno dell’1% di quelle totali della Provincia di Milano, pari nel 2012 a 2.117 tonnellate. Come evidente, la ricaduta in termini di miglioramento della qualità dell’aria di tale riduzione di emissioni risulta difficilmente percepibile. Sembrano quindi essere prive di fondamento affermazioni come, ad esempio, quella che proviene da ATM Milano secondo cui: “il potenziamento del trasporto pubblico è lo strumento principale per combattere lo smog”, e ingiustificate le richieste di maggiori risorse per il settore al fine di perseguire tale obiettivo.

I benefici che derivano da una migliore dotazione di servizi di trasporto collettivo vanno in misura largamente prevalente agli utenti. Per ragioni di equità dovrebbero essere costoro a farsi carico dei maggiori costi, che non sono affatto trascurabili (salvo la tutela mirata alle categorie più deboli). Nel caso di Milano, il PUMS comporterebbe maggiori spese e minori introiti per il settore pubblico pari a circa 200 milioni all’anno che andrebbero a sommarsi ai 200 milioni per il pagamento dei canoni delle linee M4 e M5; il costo complessivo per la finanza pubblica sarebbe quindi a regime più che raddoppiato rispetto a quello attuale. Il conto potrebbe essere meno salato solo con una radicale aumento dell’efficienza del settore che presenta in Italia costi di produzione e costi del lavoro per unità di prodotto molto alti rispetto alle medie europee, abbinata alla razionalizzazione dell’attuale offerta che presenta coefficienti di occupazione, in media, non elevati: nel caso di Milano ogni 100 posti forniti ne vengono occupati 12.

Che fare allora per lo smog generato dal traffico? Occorre puntare soprattutto su ciò che ha funzionato bene: il progresso tecnico dei veicoli (per la congestione, è stata efficace l’Area C, anche se il PUMS non ne raccomanda l’estensione). Non solo il progresso tecnico è più efficace, ma soprattutto è pagato da chi genera lo smog (i veicoli più puliti costano di più a parità di prestazioni), e non dalla generalità dei contribuenti, come è il caso della massima parte dei costi dei trasporti pubblici milanesi, soprattutto le metropolitane, come abbiamo visto. Occorre cioè incentivare maggiormente i veicoli ibridi e simmetricamente maggiore severità con quelli più inquinanti.

Non si può inoltre dimenticare che tra le fonti di inquinamento urbano quella dei trasporti stradali è la più “internalizzante”, grazie alle tasse sulla benzina più alte d’Europa. Altre fonti sono trattate in modo molto meno incisivo, pur generando nel complesso più smog del trasporto stradale. Altro aspetto sempre da tenere presente è che mediamente la qualità dell’aria è straordinariamente migliorata, anche a Milano, nei passati decenni: solo il particolato sfora per alcuni periodi dell’anno i limiti, ma comunque anch’esso si è molto ridotto.

 

Marco Ponti e Francesco Ramella

 



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