17 febbraio 2016

VOCABOLARIO MILANESE: VOCE DEL VERBO BICICLETTA


Partiamo da un problema di fondo, un problema semantico. Tante volte, anche nella campagna per le primarie appena conclusa, si sente usare una locuzione particolare, parlando di ciclabilità: “amici della bicicletta” (che è poi anche il nome della più importante associazione pro-bici italiana). Il problema di fondo sta nel fatto che non sentirete mai parlare di “amici dell’automobile” o di “amici dell’autobus” o “del treno”. Perché questi sono i normalissimi mezzi di trasporto con cui alcuni di noi si spostano quotidianamente per andare da casa al lavoro, a scuola, a fare acquisti. La bicicletta è la stessa cosa: un normalissimo mezzo di trasporto che alcuni di noi utilizzano; tale scelta, però, nella nostra città è ancora ammantata di un’aura mitologica, come se lo spostarsi in bicicletta richiedesse uno sforzo colossale per traslarsi da un luogo all’altro ma anche per sopportare sguardi increduli e domande scomode. Uno sforzo reso possibile forse solo dal particolare rapporto tra l’uomo e il suo mezzo, un’amicizia, appunto, per superare insieme le catastrofiche avversità degli spostamenti urbani a Milano.

06donofrio06FBL’altro grande problema semantico è quello che ci porta a parlare di “mobilità alternativa” quando si ragiona sulla bicicletta e, più in generale, su tutto ciò che non è automobile privata. E questo significa una cosa sola, che accettando di parlare della ciclabilità come di una “mobilità alternativa”, accettiamo il fatto che l’automobile privata sia il “modello ufficiale, condiviso e dominante”, per citare il dizionario Treccani. Ma alla fine qual è, davvero, il problema? Che le cose probabilmente stanno davvero così, che la mobilità ciclabile è “alternativa al modello dominante”, che per andare in bicicletta a Milano devi affrontare, con la tua “amica”, catastrofiche avversità.

A oggi la mobilità ciclabile copre una porzione di poco superiore al 5% del totale degli spostamenti all’interno dei confini di Milano e ovviamente la scelta della bicicletta per i movimenti di scambio tra la città e il suo hinterland ha numeri ancora inferiori. Durante la recente campagna per le primarie sono emersi, negli incontri dedicati alla mobilità, alcuni dati importanti: c’è stata una crescita, in questi cinque anni di governo del centrosinistra, ma il dato più interessante è stata una decisa impennata all’inizio del mandato Pisapia, per poi tornare a livelli di crescita simili ai precedenti. Quanto di questa impennata è da ascriversi alla convinzione che finalmente, dopo anni di malcelata lotta alla mobilità ciclistica da parte del centrodestra, l’amministrazione di centrosinistra avrebbe finalmente reso Milano una città ciclabile? Quanti hanno ripreso in mano la propria bicicletta per andare al lavoro, anche se effettivamente nulla, nel tragitto casa-lavoro era mutato dal punto di vista delle infrastrutture? Quanti hanno creduto, sperato, che i più grossi ostacoli alla mobilità ciclabile sarebbero stati finalmente rimossi?

Quali sono questi ostacoli? È presto detto, perché sono facilmente riassumibili: lo strapotere dell’automobile privata. Strapotere nell’occupazione dello spazio pubblico, nella possibilità di infrangere regole con continuità e nella capacità di definire le regole stesse. Quotidianamente si leggono, sui giornali, sui social network, accuse a chi va in bicicletta di non rispettare le regole o gli spazi, dimenticandosi che oggi, a Milano, regole e spazi sono concepiti esclusivamente per l’automobile privata. Senza giustificare chi non rispetta il codice, magari perché passa con il semaforo rosso o procede controsenso o va in bici sul marciapiede, è fondamentale che sull’altro piatto della bilancia stia la conoscenza di come regole e spazi siano organizzati in altri paesi, dove le biciclette possono andare tranquillamente controsenso, dove in ogni strada c’è uno spazio – di solito aperto e permeabile – dedicato alle biciclette, dove molte regole sono diverse a seconda di quale mezzo viene utilizzato.

Qui a Milano in questi cinque anni l’amministrazione ha spesso detto che la prima necessità è avere una “massa di ciclisti”. La sensazione è che questa massa di ciclisti ci sia già e sia pronta a utilizzare le nostre strade ma abbia bisogno di percepire che si è imboccata una strada ben precisa, fatta di rispetto delle regole per gli automobilisti, di una città composta di quartieri dove si circoli a 30 km/h, di spazi per la circolazione, di infrastrutture per la sosta, di mezzi pubblici sui quali portare la propria bici, di un servizio di bike sharing (oggi ottimo per capillarità e funzionalità e in continua crescita) ancora più esteso e di una sensazione diffusa, continua e pervadente di vivere in un luogo dove la bicicletta non sia un’alternativa ma la normalità, da vivere e usare senza sforzi e paure.

 

Stefano D’Onofrio

 



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