10 febbraio 2016

L’EREDITÀ DI EXPO? UN SINDACO MANAGER E LA NOSTALGIA ARANCIONE


Per mesi, addirittura anni, ci siamo chiesti quale sarebbe stata la reale eredità che Expo avrebbe lasciato a Milano e, con uno sguardo più ampio, all’Italia. I dati hanno escluso riflessi sostanziali sul turismo (esclusa l’area metropolitana di Milano), sull’economia e, più in generale, sull’appeal del Bel Paese. Per la risposta dovevamo attendere le primarie per eleggere il candidato sindaco meneghino del centrosinistra: ciò che rimane di Expo è Giuseppe Sala, il Commissario Unico della manifestazione internazionale.

04telesca05FBSopravvissuto alle inchieste, agli scandali, alle critiche e alle polemiche che hanno accompagnato la gestazione e lo sviluppo dell’Esposizione Universale; schizzato poi verso il pantheon della politica per la buona riuscita di Expo (o, più prosaicamente, per aver guidato la barca al porto senza lasciarla affondare).

I milanesi accorsi ai seggi nello scorso weekend hanno premiato il manager bocconiano, già uomo Pirelli (prima) e morattiano (poi).  A discapito di chi, negli ultimi anni, ha avuto ruoli di vertice nell’amministrazione milanese. In tal senso Majorino rappresenta l’emblema del vortice rottamatorio (o meglio, riciclatorio) che da Roma, con movimento centrifugo, ha raggiunto Milano: durante la giunta Moratti a capo dell’opposizione; oggi sconfitto da chi, negli stessi anni, era l’uomo di fiducia della Sindaca.

Sala diviene così il più papabile successore di Giuliano Pisapia: dopo settimane di ritrosia sul presentarsi alle primarie, ha sciolto la riserva, accompagnato dalla grancassa mediatica e da un forte sostegno da parte del Premier Renzi. Ha poi dato l’impressione di vivere di rendita durante l’intera campagna elettorale, uscendo sempre malconcio dai confronti a due o a quattro con gli altri candidati succedutisi negli ultimi mesi. Il suo programma elettorale non pare innovativo, né “sentito” dallo stesso candidato: la sua presenza sul territorio è stata scarsa e, di certo, le sue suole non si sono consumate. Eppure ha vinto. Ha riportato al centro il centrismo, smussando gli angoli a sinistra. Ha ribaltato il principio di sussidiarietà, che negli enti locali dovrebbe premiare chi è vicino ai cittadini, e chi meglio ne conosce le esigenze.

Negli occhi degli elettori delle primarie ancora brillano le luci dell’Albero della Vita, e nella loro immaginazione non si è affievolito lo stupore per le file chilometriche al padiglione giapponese (con un déjà vu dato dalla presenza massiccia al voto della comunità cinese). Milano e i milanesi, questa volta, non hanno dimostrato quel coraggio e quella capacità di “guardare oltre” che in tanti momenti della vita civica e civile ne hanno contraddistinto l’operato: non da ultimo la svolta arancione di un lustro fa, che ribaltò ogni pronostico portando Pisapia a sedere sulla poltrona di primo cittadino.

Una nostalgia arancione figlia anche delle condotte di diversi protagonisti politici milanesi (e non solo) saltati sul carro di chi credevano potesse essere il vincitore, incapaci di dare continuità al progetto civico sorto nel 2011: penso ai confusi giochetti tattici di SEL, o all’assenza di una guida da parte del Sindaco Pisapia, con l’attuale Giunta spaccata sui candidati da sostenere. Ha convinto, in definitiva, l’immagine rassicurante e paternale del manager, del borghese pacato e di successo, del moderato cerchiobottista, abile nel poter tenere con sé tutti (o quasi) sotto l’ambizione di una vittoria schiacciante la prossima primavera (anche vista l’assenza di credibili rivali).

Ciò che non è stato compreso è che Milano è una città autonoma, con tempi, ritmi e spazi peculiari e non rintracciabili in altri contesti. Milano non è la metafora di una multinazionale, ma piuttosto un organismo multiforme che vive, respira, sbuffa, s’arrabbia e impreca. Milano sono le persone che si dannano l’anima ogni giorno sotto il suo cielo: un melting pot di etnie, culture, provenienze, sogni e ambizioni. Per guidare Milano bisogna essere uomini laicamente liberi, innamorati della città e tanto coraggiosi. Honoré de Balzac diceva che “il coraggio non può essere contraffatto, è una virtù che sfugge all’ipocrisia”. L’augurio è che la campagna elettorale per le amministrative prima, e il mandato da Sindaco poi, siano meno ipocriti delle Primarie appena concluse, tirate e strattonate da Roma e da Palazzo Marino, mancando di rispetto ai cittadini milanesi e a chi, già da luglio scorso, aveva gettato la maschera candidandosi per guidare il centrosinistra alle elezioni di maggio.

 

Emanuele Telesca



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