19 gennaio 2016

SALA, CANTONE E GLI APPALTI MILANESI


“I miei 25 lettori”, come direbbe il Manzoni, non si allarmino, questo non è l’ennesimo editoriale per cercare di rendere difficile a Beppe Sala il cammino verso Palazzo Marino. Però, detto tra di noi, nemmeno la sua ultima manifestazione al Piccolo Teatro mi ha convinto. Anche Sala, come alcuni candidati, seguendo l’esempio della Procura, apre un fascicolo intestandolo, ad esempio, all’apertura dei Navigli ma come per quelli della Procura noi siamo interessati più al contenuto che alla sola intestazione.

01editoriale02FBMa veniamo al titolo. Durante una sua recente manifestazione Beppe Sala ha detto pressappoco: chiederò a Raffaele Cantone di darmi una mano a tenere corruzione, mafia e camorra fuori dagli appalti milanesi. Il Governo non gli darà però una mano perché il Decreto Legge approvato il 14 gennaio scorso, che concerne soprattutto l’appalto pubblico, non va in quella direzione ma consolida una vecchia prassi che ci ha portato dove tutti sappiamo.

Quando parlano del “privato”, gli occhi dei nostri politici brillano d’invidia per l’efficienza, l’efficacia e la prontezza che i privati sanno mettere in campo. Unirsi a loro, imitarli, seguirne l’esempio farsi “contaminare” nel rapporto pubblico-privato è l’obiettivo: possibilmente in ogni cosa, appena si può, magari poi favorendoli un po’ troppo, salvo in un caso, quello delle norme sull’appalto pubblico.

I problemi che si presentano nell’appalto pubblico sono tipicamente due: la vendita di cosa futura e il fatto, non banale, che chi acquista non lo fa con i suoi soldi. Problema quest’ultimo che nemmeno il settore privato riesce a risolvere del tutto: gli uffici acquisti delle aziende non sono indenni da corruzione.

La vendita di cosa futura vuol dire banalmente impegnarsi a comprare un bene in base soltanto a una sua descrizione, senza poterlo ancora vedere, saggiarne la consistenza, controllare che funzioni e cominciare a pagarlo mentre è in fieri. Da qui discendono tutte le difficoltà: la necessaria completezza della descrizione, la sua univocità, i controlli durante il periodo della fase realizzativa.

L’immobiliarista privato nel caso di un appalto di opere edili – è di questo che stiamo parlando – che fa? Chiama un progettista di sua fiducia, si fa fare un progetto ben fatto e completo di un’inequivoca descrizione e di una bozza di contratto d’appalto (e per tutto questo lo paga il giusto), chiama alcune imprese per avere un’offerta. Ricevute le offerte sceglie la più conveniente per lui – quella che nell’appalto pubblico si chiamerebbe il massimo ribasso – e, garantito da un progetto ben fatto, affida l’appalto al miglior offerente.

Il pubblico invece segue una strada tortuosa che fin dalle prime mosse è perdente.

Per avere un progetto fa un bando di gara nel quale deve indicare cosa è disposto a spendere per il progettista o la società di progettazione. Generalmente o indica una cifra, in genere già troppo bassa, o fa riferimento alle tariffe professionali in vigore che, detto tra di noi, in Italia sono le più misere d’Europa e questo a conferma di quanto si valuti il lavoro intellettuale nel nostro Paese. Nella totalità dei casi lo sconto offerto è a due cifre e si arriva persino a sconti dell’ordine del 70%. Il risultato è che, visto che nessuno regala nulla, il progetto (annessi e connessi, come il preventivo e la descrizione) è incompleto, insufficiente, irrealizzabile e foriero di mille contestazioni: le famose “varianti” e riserve.

Fatto questo primo capolavoro, l’ente pubblico bandisce una gara d’appalto, sapendo che il progetto che ha in mano è già il vero vizio di origine e poi segue uno dei tanti procedimenti che la legge gli impone per la cosiddetta ”scelta del contraente”. La nuova norma sconsiglia di seguire il criterio del massimo ribasso (negli altri Paesi in pratica l’unico), procedura considerata la madre di tutte le corruzioni e manipolazioni e la causa di lavori lasciati a mezzo da imprese che hanno offerto ribassi eccessivi: un’infernale idiozia. Le imprese offrono ribassi folli perché sanno che i progetti sono incompleti e che le varianti saranno infinite e sarà possibile rimontare la china ma, se non bastasse, si può tentare di corrompere la direzione lavori e arrivare allo stesso risultato. Il massimo ribasso non è il fattore scatenante ma il progetto ne è la causa.

Il procedimento invece suggerito è quello cosiddetto della “offerta economicamente più vantaggiosa” (OEPV) – un ossimoro -, un procedimento complesso che passa attraverso fasi che comportano valutazioni di merito da parte di apposite commissioni, secondo criteri nella maggior parte dei casi del tutto soggettivi e dunque contestabili e che, volendo, aprono il varco a manipolazioni dei risultati. Questa procedura è quella sin qui seguita e che ha dato i risultati che conosciamo.

L’averne proposti solo dei correttivi come l’albo delle persone da designarsi nelle commissioni o altre facezie del genere, è una vera presa in giro verso chi conosce a fondo la realtà delle cose per averle vissute e non solo per sentito dire: queste norme sono il colabrodo che consente la corruzione e spalanca la porta alla mafia e alla camorra.

Molto, moltissimo ci sarebbe da aggiungere e da raccontare, ma non è questa la sede né vi è lo spazio sufficiente, con l’ovvia premessa che più sono le persone che hanno potere di incidere nello sviluppo di una procedura, come l’offerta economicamente più conveniente, e più sono le occasioni di possibile corruzione. Oltre a rimandare sui punti più delicati a decreti applicativi e norme, il tutto ancora da redigere da parte del Ministero e dunque alla fase nella quale si scatenano le lobby al coperto dal dibattito pubblico, il decreto legge lascia l’amaro in bocca per tutti, molti, quelli che speravano si sarebbe rivista l’intera materia, facendo tabula rasa di un passato indecoroso. Questo mio, per finire, è solo un grido di dolore.

Concludo compiangendo Beppe Sala, se diventerà sindaco, e Raffaele Cantone se vorrà dargli una mano: c’è chi per incompetenza, superficialità o debolezza nei confronti delle lobby ha in concreto lasciato le cose come stavano accontentandosi di pannicelli caldi, rendendo ancora il loro lavoro quasi impossibile: per dar loro una mano ci sarebbe voluto una vera riforma.

 

Luca Beltrami Gadola

 

Nota per il Presidente del Consiglio. Qualche giorno fa ha detto: “L’Europa non può essere un’accozzaglia di regole”. Anche L’Italia lo è a cominciare da quelle sui lavori pubblici, proviamo a rimediare. Come diceva la mia nonna: “La carità comincia in casa”.

 

 



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