23 dicembre 2015

“AMO DETTO NO.” MA A MILANO IL PROBLEMA È IL PGT, NON GLI SCALI


Ho molte perplessità su alcuni interventi apparsi sull’ultimo numero di Arcipelago sul tema degli scali ferroviari, per vari motivi. Dunque, all’accordo sugli scali mancherebbe una “visione strategica”. Può darsi. Ma, mi chiedo, quale visione strategica c’era ad esempio – tanto per restare agli anni più recenti – dietro al cosiddetto Documento di Inquadramento dei PII? Io francamente non l’ho vista (se non quella di aumentare gli indici e diminuire le dotazioni di servizi, ad esempio). E qual è la “visione strategica” sottesa ad esempio al PGT? Anche lì, francamente non la vedo. Mi sembra insomma che ci sia innanzitutto un problema di prospettiva. Il più grosso e grave problema di strumentazione urbanistica a Milano a mio parere (anche a rischio di essere un po’ ripetitivo) riguarda principalmente il PGT. Provo a riassumere, partendo proprio dai dati basilari.

06praderio45FBTutte le aree (escluso il Parco Sud) sono state rese edificabili, con indici di base importanti (oltre 1 mc/mq, elevabili fino a 3 mc/mq), comprese anche le aree verdi già destinate a servizi (malgrado la sbandierata riduzione del consumo di suolo, sbandierata ma non reale), senza nessuna particolare utilità pubblica. Ufficialmente sono previsti 185.000 nuovi abitanti (molto superiori all’effettiva domanda), ma in realtà ne sono insediabili molti di più (almeno 250.000) grazie ad alcuni “trucchi contabili” (quote slp/abitante; slp recuperate in aree produttive ma non contabilizzate). Complessivamente le previsioni di nuova edificazione assommano a circa 12 milioni di mq di slp e riguardano circa 10 milioni di metri quadri di ex aree a standard e di circa 8 milioni di metri quadri di aree già produttive (venti volte gli scali ferroviari, tanto per capirci).

In queste aree peraltro se si fa l’indice di base (non basso: 1 mc/mq, è come le aree d’oro) non è addirittura previsto il recupero delle aree a servizi minime e neppure in molti casi edilizia sociale o di interesse pubblico (non è dovuta, infatti, se si recupera la slp esistente o sotto certe dimensioni di intervento; per dimensioni superiori la quota è comunque largamente inferiore all’effettivo fabbisogno e la parte di sovvenzionata – 0,05 mq/mq, non 0,2 – è monetizzabile con un pagamento che corrisponde a circa 1/4 degli effettivi costi di realizzazione); i costi poi delle infrastrutture necessarie (strade e servizi) non sono poi neanche lontanamente coperti dai relativi oneri (c’è un rapporto di 1 a 10). Inutile dire che il tema delle cosiddette “grandi funzioni” non è neanche affrontato.

Insomma si tratta, utilizzando un vecchio frasario, di un gigantesco regalo alla rendita fondiaria (neanche allo sviluppo immobiliare), regalo in base al quale sono state fatte compravendite e sono stati ottenuti prestiti dando come garanzia i terreni ipervalutati, che hanno messo in ginocchio il sistema creditizio (per cui oggi chi chiede un prestito alle banche per fare un investimento se lo vede negare per gli incagli sulle operazioni di trading generate dal PGT). Gran parte di questi difetti sono nel Piano delle Regole e nel Piano dei Servizi, che – a differenza di quanto a volte si afferma – non scadranno nel 2016 (è solo il Documento di Piano che scade). Ho l’impressione che molti professori del Politecnico – che guardano solo il Documento di Piano pensando che lì siano concentrate le possibilità di intervento – questo aspetto non l’abbiano ben colto.

Non è vero neanche che il mercato è cambiato negli ultimi due anni (è dal 2009 che è iniziata la crisi), il problema era anche stato segnalato da alcune osservazioni presentate nel 2010, ma non accolte (come è capitato peraltro a tantissime osservazioni, forse neanche esaminate o non capite, viste le bislacche controdeduzioni). Avrei anche capito se poi si fosse detto: è un piano che abbiamo ereditato, più di così non si poteva fare, adesso ci mettiamo all’opera per migliorarlo… e invece niente.

Passiamo invece agli scali ferroviari: qui la faccio più breve. Si tratta di aree compromesse (e quindi con costi di recupero maggiore delle ex aree a standard inedificate), dove il proprietario non è un soggetto che semplicemente si intasca gli utili, ma una società che li rinveste per fornire un servizio strategico quale l’accessibilità (a tutti: cittadini, imprese, ecc.). I dati di massima (indici, verde, ecc) sono migliori (ma a qualcuno non va ancora bene: c’è troppo verde! Troppo parco! cose da non credere…), ma soprattutto c’è l’impegno a realizzarli (non è quindi come un piano regolatore, magari bello a parole, ma che però non si attua, come spesso succede). Non è vero neanche che l’accordo “espropria” la città “della opportunità di gestire liberamente e senza vincoli il suo futuro urbanistico”, perché poi ci sarebbero stati i piani attuativi; gli scali ferroviari non sono neanche le “ultime aree” di trasformazione come qualcuno dice (ce ne sono tante altre: l’ortomercato, il porto di mare… oltre ai milioni di aree private citate prima).

Non mi risulta neanche che non ci sia stata partecipazione: l’accordo mi sembra sia stato pubblicato (sono state presentate osservazioni? sono state accolte?) e illustrato pubblicamente ben prima di andare in approvazione: chi aveva suggerimenti e proposte poteva farlo a suo tempo, non aspettare l’ultima settimana. Non sono neanche tanto d’accordo con chi sostiene che l’intervento andava fatto chiedendo allo Stato fondi pubblici: l’epoca in cui le risorse statali erano considerate un pozzo senza fondo è finita da un pezzo, adesso i progetti devono camminare sulle loro gambe (il rischio altrimenti è di finire come a Bagnoli: area bellissima, funzioni stupende, soldi pubblici a tutto spiano… e poi?).

Quindi forse l’accordo non era perfetto (tutto è migliorabile), ma non c’è paragone. Ora, mi chiedo: quella robaccia di PGT (milioni e milioni di metri quadri senza ritorno pubblico) è stata votata senza fiatare (ricordo che il Sindaco è intervenuto direttamente sulla maggioranza per impedire la presentazione di emendamenti che modificassero almeno gli errori più marchiani); sugli scali ferroviari (aree difficili, dove comunque si finanzia chi fa un servizio), invece no.

Francamente non capisco. L’impressione è che l’animosità della contesa elettorale, i risentimenti, i personalismi, abbiano fatto perdere un po’ di ragionevolezza a molti. Sorprende soprattutto trovare fra i fautori del “no ad oltranza” alcuni politici dal passato riformista e istituzionale, o che amano presentarsi come “moderati”. Il mancato voto in Consiglio Comunale mi sembra comunque una brutta pagina amministrativa per un po’ tutti i protagonisti della lunga vicenda (i primi progetti di Leonardo Benevolo risalgono ai primi anni ’90, venticinque anni fa…), e non credo apra grandi prospettive per il futuro (inutile dire che le proprietà fondiarie non si sono lamentate, anzi, si sono fatte grosse risate sotto i baffi, un concorrente in meno…).

Insomma temo che si sia sbagliato bersaglio: a Milano il vero problema resta il PGT vigente e la mancanza di una strategia urbanistica lungimirante; non le aree ferroviarie.

 

Gregorio Praderio



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