2 dicembre 2015

SVEGLIA MILANO, HAI LA SCIENZA MA NON ANCORA UN’IDEA DI COSA FARTENE


Appena finita la kermesse renziana al Teatro Piccolo l’11 novembre, in cui il premier aveva lanciato il progetto Human Technopole 2040, si vedevano facce gasate, facce perplesse, facce smarrite. Uno dei massimi responsabili del mondo universitario milanese – messo in ombra dal progetto renziano a firma Istituto italiano di tecnologia – lontano dai microfoni commentava: “il problema è come al solito mettere d’accordo le nostre università e i centri di ricerca”.

02carra42FBNon è stato piacevole sentirsi dire da Renzi: “Da Milano ho ricevuto un progetto per il futuro dell’Expo da Agenzia del demanio, ma io volevo un progetto culturale e scientifico, una visione per i nostri figli e nipoti”. Non è stato piacevole perché – con quel suo fare insopportabilmente enfatico – in fondo Renzi aveva ragione. Chi scrive ha potuto visionare il progetto milanese del dopo Expo e di questo si tratta: una curata descrizione di volumetrie con belle piantine e rendering. Una roba da architetti, non da scienziati o strateghi di quel “nuovo umanesimo basato sulla genomica, le nanotecnologie, la nutrizione e i beni culturali” dell’altro progetto.

I progetti IIT e degli atenei milanesi – è vero – non dovevano essere per forza considerati in competizione fra loro, e forse non rispondevano nemmeno allo stesso mandato. Se ci si pensa, il progetto Human Technopole andrà ad occupare solo 30mila metri quadrati sul milione e passa dell’area, quindi c’è tutto il posto anche per trasferire a Rho la Città Studi del nuovo Millennio. Ma la lettura comparata dei due progetti da una parte faceva sbadigliare, dall’altra cercare gli occhiali per non perdersi un passaggio.

Forse dobbiamo anche imparare a vendere meglio i nostri sogni. E, per usare le parole del magnifico rettore, imparare ad andare d’accordo, lavorare insieme, progettare una direzione e un futuro del sistema milanese e lombardo della ricerca. Cosa che pare stia accadendo, dopo i malumori iniziali, almeno per il progetto Human Technopole.

Certo sarebbe sbagliato ridurre la questione a una ridicola lotta di campanili fra Milano e Genova (e Torino, per la presenza dell’ottimo ISI, coinvolto dall’IIT in Human Technopole). Quindi sgombriamo il campo da questi ragionamenti, come hanno fatto già altri commentatori appellandosi alla scala sovraregionale delle attuali collaborazioni scientifiche. L’IIT peraltro è presente con due istituti anche a Milano, come peraltro a Boston, ed è genovese solo per accidente . Milano, da parte sua, può vantare un pedigree scientifico straordinario nel panorama italiano.

Solo qualche dato sparso per capirci: se prendiamo ad esempio il numero di progetti che la Commissione europea ha finanziato nella tornata di programmazione scientifica conclusa da non molto (il settimo programma quadro, dal 2007 al 2014), vediamo che Milano ha una capacità di attrazione di progetti e finanziamenti pari a città come Barcellona e Berlino, ponendosi sesta in Europa dietro solo alle grandi capitali europee. Ancora: “Nella lista finale dei 400 scienziati più influenti al mondo (per Indice di citazioni) compaiono otto italiani, sei dei quali rimasti a lavorare nei centri di ricerca del paese, cinque in strutture lombarde” (Il ruolo dell’ecosistema dell’innovazione nelle scienze della vita per la crescita e la competitività del Paese, European House Ambrosetti, 2015).

Anche limitandoci ai filoni evidenziati da Human Technopole (genomica delle malattie, nutrizione, e biotecnologie agrarie, nanotecnologie, tecnologie per la sostenibilità), il sistema “milanese” ha giacimenti di competenze di altissimo livello, fra Politecnico, Statale, Cattolica e Bicocca, CNR lombardo, IEO-IFOM, Istituto Nazionale di Genetica Molecolare, Centro per la complessità e i biosistemi, San Raffaele, Ca’ Granda, Besta, Humanitas, Mario Negri. I nomi di Elena Cattaneo (staminali), Alberto Mantovani (immunologia), Umberto Veronesi (oncologia), Silvio Garattini (farmaci), Pier Giuseppe Pelicci (genomica), Piermannuccio Mannucci (medicina e ambiente), Caterina La Porta e Stefano Zapperi (scienze della complessità), Luigi Naldini (terapia genica), Chiara Tonelli (biotecnologie vegetali)… sono conosciuti in tutto il mondo. (Qui un elenco più completo).

Anche sul fronte del trasferimento tecnologico e dei brevetti, Milano svetta nel panorama nazionale. Secondo i dati della Camera di Commercio, infatti, Milano deposita in media circa un quarto dei brevetti che nascono in Italia (nel 2011 sono state 70mila le domande complessive). Non altrettanto brillante la capacità di passare dalla ricerca alle applicazioni e ai brevetti da parte di Milano se la si confronta con le grandi capitali della ricerca e sviluppo europee, come Monaco, Berlino, Parigi e Londra, veri hot spot dell’innovazione continentale.

Se mai un giorno il governo volesse puntare davvero sulla ricerca, levandosi di dosso l’infamia del penultimo paese europeo dopo la Grecia come entità di finanziamenti, dall’area metropolitana milanese dovrebbe partire.

Ma Milano – in questo specchio fedele della disunione e della disorganizzazione italiana – stenta ancora a riconoscersi in un “sistema”. I talenti e i centri d’eccellenza ci sono. Ma ciascuno, quando non costretto dalle collaborazioni di ricerca nazionali e internazionali, se ne sta arroccato nel proprio laboratorio. Né le amministrazioni locali, né le stesse istituzioni scientifiche, sono riuscite a creare un vero coordinamento di queste “disiecta membra”; o per dirla alla Renzi, forgiare un “brand” della scienza a Milano. Eppure solo in questo modo sarebbe possibile fare massa critica, aumentare il tasso di successo nelle competizioni scientifiche internazionali, e – non ultima cosa – avvicinare la ricerca scientifica ai cittadini, farla percepire come cultura e risorsa civica.

Parigi e Londra sono Parigi e Londra, d’accordo. Ma perché non pensare in grande? La prima con il cluster interdisciplinare Paris Saclay ha messo sul tavolo 4 miliardi di euro per creare la Silicon Valley francese. A Londra il sindaco ha posto l’obiettivo di una città delle life-sciences (Medcity) per un investimento previsto di 10 miliardi di sterline. Berlino, infine, con l’iniziativa Wissenschaftsmetropole Berlin, non si è limitata a creare un portale della scienza cittadina. Ha anche creato un Who’s who della ricerca scientifica, una collezione di più di 300 ricercatori di ogni disciplina contattabili online per sviluppare nuovi progetti d’interesse pubblico che coinvolgano centri di ricerca, aziende, pubblica amministrazione.

Adesso tocca alla Milano del dopo Expo, se saprà liberarsi dei complessi d’inferiorità e di quelle rivalità accademiche che già guastavano il sonno a Luigi Mangiagalli, allora fra la dotta Pavia e l’operosa Milano. La sua risposta fu Città Studi. Quale sarà la nostra?

 

Luca Carra

 



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