28 ottobre 2015

TRA GENERE CASA E CITTÀ QUESTIONI APERTE


A Milano alcune donne parlano e scrivono di case, dei loro modi di abitare e in forme e modi diversi, chiedono e pongono attenzione al territorio, questo milanese così cangiante nel presente, agito come un continuum in cui mettere in fila quell’insieme di relazioni che compongono l’abitare, dalle case alle strade, dalle stanze alla piazze, dal vivere al lavorare. Provo a evidenziare alcune connessioni tra libri e un convegno, tra commenti e annotazioni. Inevitabili le differenze, chiare invece le somiglianze degli sguardi di donne che si rivolgono al mondo intorno a sé e ne descrivono i mutamenti.

06nannicini36FBUna casa tutta per sé” questo il bel titolo di un libro appena uscito da Franco Angeli, di Graziella Civenti, richiamo al celebre “una stanza tutta per sé” di Virginia Wolf. Una ricerca questa sulle donne che vivono da sole a Milano, dove l’autrice opta per trattare delle donne “non modificate dalla presenza di un compagno”, come Jane Austen e Emily Dickinson evocate nell’introduzione, nonostante il titolo evidenzi la “casa” come dimensione da privilegiare e possa suggerire una corrispondenza, o anche un contrasto, tra un’abitazione interna e quella esterna. Ricerca che nata come tesi di laurea si sviluppa in un testo che sembra necessariamente rivolgersi agli studenti, dato l’approccio sociologico che sceglie. Evoluzione e trasformazione che ho seguito nel corso di numerose conversazioni e letture fin dall’idea embrionale: chi sono le donne che vivono da sole nella nostra città? Quali reti di socialità frequentano, attivano?

Civenti nel suo lavoro svolge una indagine squisitamente sociologica e 250 donne milanesi rispondono al questionario che invia: il libro presenta, oltre ad un’accurata analisi della letteratura esistente soprattutto di area anglosassone, uno studio dettagliato del ‘fenomeno’, come l’autrice stessa scrive, che non le impedisce di intrecciare i dati con la narrativa femminile e le autrici più rilevanti in ambito di studi di genere. Dalla singleness come declinazione di fenomeno al femminile in Italia e altrove, di cui esplora la costruzione identitaria e sociale, per passare a presentare l’indagine tra le over 45 e over 65.

Una scelta di età che viene motivata come la necessità di indagare le età più strutturate e “meno plastiche”, e ponendo come centrale la domanda relativa alle reti sociali: come supporto al bisogno, come fattore protettivo, quali reti in un’età sempre più impegnativa e che espone a fragilità? I dati descrivono un ventaglio di esiti diverso a seconda delle coorti di età, che “illumina una condizione tanto diffusa quanto poco conosciuta e raccontata” come ricorda Eleonora Cirant. Privilegiare la dimensione del bisogno rispetto a quella del desiderio di relazioni che numerose donne, singolarmente collettivamente, agiscono , è forse troppo restrittivo e non dà conto delle declinazioni tra “vivere da sole” e ” vivere insieme con altre/i” nella città.

Il tema della casa e quello dell’abitare per le donne, come quello della città e le donne nelle scelte di governo, sono temi caldi ed emergenti in questi ultimi mesi, a Milano particolarmente. Milano offre un osservatorio privilegiato perché qui, come in tutte le aree urbane, si anticipano modelli di comportamento, e perché i mutamenti demografici avvenuti negli ultimi decenni si esprimono con evidenza qui più che in altre città italiane. L’attenzione a osservare i nessi e i legami nelle trasformazioni in corso è viva e urgente tra molte cittadine, mentre il tempo dell’amministrazione pubblica risulta ancora così rigidamente frazionato in sfere di vita contrapposte, separate ancor prima nello sguardo ancora retrostante le “policies” e che un recente convegno in Sala Alessi ha cercato di decostruire.

Mi riferisco a “Quale modello di città?” può “costruire il futuro con uno sguardo di genere” come titolava (anche in questo caso ricco di suggestioni e rimandi) il convegno organizzato da Soroptimist insieme al Comune e alla Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità la settimana scorsa. Milano, “città unica”, merita e richiede ricchezza di ragionamenti in relazione alle forme e agli strumenti istituzionali che vengono assunti nel governo, e in particolare a partire dalle sue abitanti, che sono numericamente di più, ma soprattutto sono “un di più”, oltrepassano ed eccedono le semplici cittadine in termini di esperienze, bisogni, attività, andirivieni.

Come si evidenzia nella comparazione con le altre città europee, Vienna e Barcellona sono in posizione polarizzata rispetto ai dispositivi organizzativi presenti nella nostra città: là mostrano un impegno e una capacità elevati nel leggere i bisogni di genere sul territorio. Bisogni, potremmo dire, legati a una concezione ampia dell’abitare, e in questa le donne non si limitano alla residenzialità di uno spazio privato ma abitano anche lo spazio pubblico, dalle biblioteche alle strade, di giorno e di notte … e quando succede che la casa si trasformi e diventi non solo il lare della famiglia ma anche uno strano ibrido perché anche luogo di lavoro, sia pure intellettuale e colto, succede che si dia corso ad una riflessione approfondita sulla relazione tra Donne (al lavoro) e Casa.

E su questi temi, di poco precedente al testo di Civenti, mi piace ricordare quello di Sandra Burchi, Ripartire da casa. Lavori e reti dallo spazio domestico (Franco Angeli, 2014), che si concentra nell’osservazione degli spazi di lavoro e del loro farsi e disfarsi quotidiano negli spazi delle case ma non delle casalinghe, non del lavoro domestico. Come annota Anna Simone in questo testo l’autrice narra e osserva cosa accade quando “la scomposizione del lavoro, dei processi produttivi e di una forma di organizzazione sociale mutano, e la casa, torna a essere quasi un orizzonte di libertà risignificata, uno spazio che sancisce una nuova partitura del dentro/fuori, del lavoro, della costituzione delle soggettività all’interno di un gioco continuo di rimandi che prevede una nuova organizzazione dello spazio, una nuova postura del corpo, una ricerca continua di strumenti di misurazione del tempo dedicato al lavoro da casa e quello da dedicare alla casa, a sé, alle relazioni. In altre parole un vero e proprio “rovescio” della narrazione classica della casa del primo patriarcato”.

 

Adriana Nannicini

 



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