30 settembre 2015

GLI “EVENTI” POLITICI SONO UN RITRATTO DELLA CITTÀ NORMALE?


Prendo in prestito un’espressione utilizzata da Luca Beltrami Gadola nel suo ultimo editoriale: questo “di evento in evento”, che quanto mai si addice al clima cittadino di ripresa dopo la pausa estiva e di esordio della campagna elettorale delle Primarie. Ogni sera ce n’è almeno uno importante, di meeting o dibattito, e altri di riserva. Il cittadino attivo li frequenta, per capire e approfondire … . Ricavandone però, almeno nel mio caso, un’impressione ricorrente: perplessità e un dubbio di fondo, “a chi stiamo parlando?” Dalla festa dell’Unità ai Giardini Montanelli all’incontro di dieci giorni fa al teatro Litta promosso da Gianni Cuperlo, fino a convegni più specifici come quello organizzato da Emanuele Fiano la scorsa settimana alla Fonderia Napoleonica: la scelta dei soggetti e dei relatori – intendo i contributi esterni al mondo politico, dalla società civile – sembra andare in una direzione che rischia non di incoraggiare, ma di scoraggiare il pubblico.

02poli33FBEd ecco in che senso. Si ascoltano testimonianze, idee e tante di quelle “visioni della città” che nel giudizio di molti sono state carenti nell’amministrazione Pisapia. Eppure, nei nomi dei personaggi al tavolo degli invitati, nei toni e parole (sì, anche nel lessico) degli interventi ci si inizia a domandare se a Milano siano per caso tutti imprenditori, giovani under 30 che fondano start-up di successo, professionisti e leader nei rispettivi settori. Questa Milano dell’innovazione, delle professioni, dello sviluppo tecnologico, dell’imprenditoria piccola e grande è al centro di moltissimi, oserei dire troppi degli appuntamenti politici. Si parla tanto di smart city, reti wi-fi, Expo e post-Expo, progetti su larga scala; si raccontano storie andate a buon fine e difficoltà incontrate: ma quanti tra i cittadini si riconoscono davvero in questi racconti? È certo una bella immagine per la città, e per chi organizza il dibattito, gratificante esibire in pubblico di essere seguiti da donne e uomini esemplari, capaci di influire sulla realtà che li circonda, positivi sul futuro … .

Mettiamoci però il cuore in pace, Milano non è solo questo. C’è chi sosterrà che la rosa dei relatori dipende di volta in volta dall’argomento, e rigiro perciò subito la questione: perché non cambiare ogni tanto gli argomenti di discussione, non passare da quelli tutto sommato facili ad altri più difficili che riguardano però più persone? Si finisce altrimenti per credere che tutti gli architetti milanesi costruiscano grattacieli, e i giornalisti dirigano sempre giornali on-line e blog, che i cuochi vivano di show cooking, gli informatici siano solo geni del web-design. Non altrettanto spazio, nemmeno un decimo, è dato mai ai rappresentanti delle molte altre categorie che costituiscono, in effetti, la stragrande maggioranza dei milanesi, soprattutto di quelli meno attratti dagli eventi politici (forse non ci vanno proprio perché non trovano nel programma nulla che possa coinvolgerli?).

Parlo dei lavoratori dipendenti di ogni ambito, degli insegnanti di scuola media, dei commessi, di chi non lavora più o non ha mai lavorato; degli architetti che ristrutturano appartamenti e dei giornalisti freelance che non scrivono di politica, moda o hi-tech, ma magari di taglio e cucito. Perché esistono anche quelli. L’immagine di Milano che esce dagli incontri di settembre (anzi, di sempre) è un po’ “drogata”, non rispecchia il volto reale della città, dei suoi problemi e abitanti. Diciamolo pure, di tutti i suoi potenziali elettori: quelli che dovrebbero votare alle Primarie e in seguito alle amministrative 2016. Ciascun individuo sarebbe in grado di portare richieste, esigenze e suggerimenti di tenore ben diverso, a chi si candida a governare la città, al PD e agli altri partiti della coalizione: perché allora c’è così poco ascolto, poco interesse per questa normalità umana e lavorativa, per chi non può essere magari considerato un “portatore di eccellenza” (espressione odiosa ma quanto mai diffusa)? Non sono convinta che questo mondo silenzioso faccia meno audience, anzi … .

Non è giusto parlare sempre ed esclusivamente dei traguardi raggiunti da una minoranza, ci si dovrebbe incentrare di più sulle istanze lavorative, abitative e di vivibilità della maggioranza. Anche se un semplice cittadino non è forse in grado di spostare voti come un imprenditore, un professionista o rappresentante di un’associazione, certo la somma di tanti singoli voti (o astensioni) può decretare la vittoria o la sconfitta di un candidato sindaco. Del buon governo continua ad avere bisogno soprattutto chi ha poca visibilità e voce: la comunicazione politica dovrebbe quindi rivolgersi in primis a queste persone, altrimenti diviene troppo facile e scontata, per chi già sa, già partecipa, già gode nella quotidianità di una situazione privilegiata. Quella di potersi sentire coinvolto da temi e testimonianze che rimangono, comunque la si metta, molto elitari.

Ho l’impressione che il “popolo delle cuffiette” di cui scrive Beltrami Gadola non sia numeroso come molti immaginano, partendo da un punto di vista, per forza di cose, parziale. Per una larghissima parte dei milanesi la realtà di ogni giorno non è fatta invece di eventi, Internet e app. Me lo ricorda il carrozziere che sgrana gli occhi quando gli chiedo se posso pagare con il bancomat; e il mio vicino di casa che fa l’artigiano edile e non ha mai usato un computer. Non è che dobbiamo sempre cavarcela dicendo che sono loro “indietro”, è che ci sono proprio altri modi di vivere e ce ne dimentichiamo; e i politici se ne dimenticano come noi. Con la differenza che se loro obiettivo è allargare il consenso – soprattutto in una realtà come Milano, densa di varianti – non possono davvero permettersi questa dimenticanza.

 

Eleonora Poli



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