30 settembre 2015

IL CAPITALISMO STA FALLENDO. DICONO. POSTCAPITALISMO ALLA MILANESE?


Un recente articolo di Paul Mason su The Guardian, titola “The end of capitalism has begun” . Lo riprende il settimanale Internazionale, che nello stesso numero traduce anche un articolo del Financial Times a firma Edward Posnett, “The Sardex Factor“, un caso di moneta complementare. Il tema comune è il postcapitalismo e l’impatto della rivoluzione tecnologica su economia e società. Niente di più attuale per Milano, a cavallo tra la fine di Expo e l’inizio di un futuro tutto da scrivere, a cominciare dalle elezioni del maggio 2016, cui Pisapia non si ripresenterà.

03vannini33FBExpo è ben riuscito. Faccio parte di quelli che, con Luca Beltrami Gadola, lo hanno amato ‘tenendo gli occhi aperti’. L’ho sostenuto strizzando l’occhiolino agli #expottimisti di Giacomo Biraghi, alias @secolourbano. Vedremo che ne sarà del sito Expo e di certi protagonisti quando i riflettori si spegneranno, ma di certo c’è un “oltre Expo” che propone un importante lascito: una Milano rilanciata nelle alte sfere della nuova smart class globale. Biraghi ha già coniato il nuovo titolo del pensiero positivo prossimo venturo: #milanottimisti.

Expottimisti o meno, milanottimisti o meno, c’è tanto da fare. Una buona prospettiva per Milano sarebbe di essere un territorio-hub ad altissima capacità di connessione, di inclusione e creazione di conoscenza condivisa, di ingegnosità e innovazione economica e sociale. Ce n’è in Milano, c’è sostanza per avere fiducia perché la sua storia, i suoi valori ci insegnano che, quando si tratta di sfide, Milano c’è. Ma se il capitalismo sta fallendo e la politica si sta concentrando su ciò che è urgente, chi pensa a cosa è importante?

Con l’idea di stimolare riflessione e consapevolezza sul tema dell’economia, ovvero di come organizziamo, valorizziamo e scambiamo risorse scarse, prendiamo spunto dalla visione di Paul Mason. Il capitalismo sta morendo, dice, e il neoliberismo è una macchina costruita per produrre austerità. La crisi finanziaria avrebbe dovuto imporre riforme radicali che non si sono viste, e dopo avere prodotto effetti negativi per il periodo più lungo degli ultimi due secoli di storia economica, trova gli economisti alla ricerca di altre conferme di ripresa, ma con il retropensiero terrorizzante di un lungo periodo di stagnazione.

Gli economisti non dormono sonni tranquilli anche per via di alcune questioni strutturali come la destabilizzazione geopolitica, i trend demografici e i rischi legati ai cambiamenti climatici. L’andamento di lavoro e salari, la privatizzazione dell’informazione da parte dei nuovi colossi della tecnologia e un sistema bancario ancora fortissimamente capace di difendere le proprie prerogative completano il quadro.

Eppure qualcosa si muove. Il sardex per esempio è un’esperienza di sostegno all’economia reale di un territorio. Ha un nobile nonno, il Wir, che vive da un’ottantina d’anni in Svizzera. Ha funzioni anticicliche, fluidifica gli scambi, è basato sulla fiducia, funziona. Il fattore chiave di successo del sardex è che ha ridato alla moneta la sua vera funzione proprio andando a tagliarne le funzioni attribuitegli dal capitalismo finanziario in crisi: le possibilità di accumulo e moltiplicazione tramite leve e interessi.

C’è dell’altro e vive già tra noi. Sul menu dei media globali c’è scritto sharing economy, e Milano si gusta la sua cooperazione; c’è scritto free, e pratica il volontariato; c’è scritto economia della conoscenza e lavora di artigianato innovativo, eccellenza scientifica, creatività, patrimonio eno-gastronomico, culturale e artistico di primo livello; alla voce dessert c’è scritto start-up e Milano se la sta giocando anche lì con nuovi protagonisti e prospettive.

Quanto questo oggi faccia economia, quanti lavori abbia generato, come stia cambiando il modo di dare un valore e scambiare beni e servizi è ancora prematuro indicarlo. Sullo scenario però sembrano trovarsi concordi diversi analisti: il postcapitalismo c’è, è qui. Spetta alle intelligenze civiche, ai cittadini attivi, ai saperi partecipati contribuire e fare sistema; l’idea non è di scrivere un menu, ma di operare nella direzione di un “un progetto fondato sulla ragione, su elementi concreti e verificabili, capace di invertire il corso della storia, e sostenibile per il pianeta”, come dice Paul Mason in chiusura del suo articolo. Chiusura che diventa la nostra apertura di riflessione.

Giovanni Vannini



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