8 luglio 2015

MILANO SOCIAL STREET: IL BOOM


«I miei vicini di casa li ho conosciuti prima su Facebook che sul pianerottolo». In due parole ecco il Social Street, gruppi Facebook legati a vie cittadine o quartieri dove ricostruire quello che un tempo si chiamava “buon vicinato”. Lo racconta Cristina Pasqualini, ricercatrice di Sociologia generale dell’Università Cattolica di Milano, che da ottobre 2014 dirige la prima ricerca italiana totalmente autofinanziata e dedicata al mondo delle Social Street, dal titolo Vicini e connessi. Alla scoperta del vivere social.

07floris26FBIl gruppo di studio è formato da altri due ricercatori – Fabio Introini e Nicoletta Pavesi – oltre a un nutrito manipolo di specializzandi e dottorandi che si è dato il nome di GRISS (Gruppo Ricercatori Social Street). Realizzano analisi quantitative, questionari e interviste con amministratori e iscritti ai gruppi. Ma anche passeggiate etnografiche, per toccare con mano i problemi materiali nei quartieri di Milano dove si sono organizzate queste forme di “buon vicinato virtuale”.

«Ma dal virtuale si passa al reale» puntualizza la Pasqualini, perché «se Facebook nasce o viene utilizzato in particolare per ristabilire i rapporti con persone lontane nello spazio ma comunque conosciute, le Social Street utilizzano la rete per incontrare sconosciuti che però sono fisicamente vicini, che abitano o lavorano nello stesso quartiere, nella stessa strada«. E che hanno interessi in comune come il prestito di oggetti, la “Banca del Tempo”, cioè la possibilità di scambiarsi competenze e professionalità, far conoscere i rispettivi figli. E ancora, recensire i migliori ristoranti di zona o quelli più economici, coltivare orti urbani, aperitivi sociali – recentemente la Social Street di via Maiocchi ne ha organizzato uno assieme a SOS Emergenza Rifugiati Milano, l’associazione che opera coi profughi della Stazione Centrale.

Il primo gruppo è nato a Bologna nel 2013, “Residenti in via Fondazza”, da un’idea di Luigi Nardacchione e Federico Bastiani – quest’ultimo a gennaio insignito del Premio Campione 2015 alla presenza del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.

Le “strade sociali” sono un fenomeno emergente. Ancora non esistono pubblicazioni scientifiche ma cresce l’attenzione da parte di alcuni fra i grandi maestri della sociologia: Anthony Giddens, Marc Augè, Richard Sennett e Rob Hopkins, il fondatore delle Transition Town. Un’idea italiana che si sta propagando in giro per l’Europa. «Esistevano strade sociali anche prima del 2013 – per esempio a Londra – ma questa forma specifica, con tanto di “marchio” e criteri per poter accedere alla dicitura “Social Street“, è una peculiarità italiana». Dato che risulta anche dai confronti della dottoressa Pasqualini con colleghi internazionali.

Da qualche mese, tuttavia, le strade sociali hanno preso piede anche oltre le Alpi. «Ce ne sono 19 a livello mondiale di cui 9 nel Vecchio Continente. In molte città europee stiamo assistendo a fenomeni di imitazione: a Ginevra in Svizzera, in Croazia, Francia, Nottingham in Inghilterra, a Barcellona, tre in Portogallo e proprio a metà giugno è nata la prima irlandese nella città di Galway».

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A Milano il fenomeno è letteralmente esploso: «In otto mesi abbiamo censito 62 Social Street, oltre alle due collocate a San Donato Milanese. Le più numerose come San Gottardo, Lambrate e Maiocchi contano anche 1500 iscritti l’una». Non tutte hanno successo. «53 sono attive, 9 non più. Conca del Naviglio è poco attiva perché il fondatore per ragioni lavorative si è trasferito in altre regioni e non c’è stato passaggio di testimone, quella di Largo la Foppa è completamente chiusa, in quella di via Vincenzo Monti l’adesione è stata minima”. I flop si verificano nelle aree di uffici o in quelle abitate da professionisti, «per un mix di diffidenza e mancanza di tempo». Attecchiscono, invece, a ridosso delle zone centrali di Milano: «Nel centro storico non ce n’è nemmeno una, le circoscrizioni più coperte sono zona 3 (Città Studi, Lambrate), zona 4 (Vittoria, Forlanini) e zona 6 (Barona, Lorenteggio)». Per continuare a leggere l’articolo su Linkiesta clicca qui

Francesco Floris



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