4 giugno 2015

SCALO VITTORIA, TRA INCOMPETENTI, CORREI E IRRESPONSABILI. A FUTURA MEMORIA


Validio Bertesaghi, nel n. 19 di ArcipelagoMilano, si è lamentato, avendone ben ragione, della mancata progettazione delle aree connesse ai cantieri M4 e poste tra la cintura ferroviaria e la ex stazione di Porta Vittoria, in Zona 4. Le ultime righe del suo intervento sfumano sulla vicenda che egli definisce “lo scandalo dell’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria” come se l’accertamento dei fatti, quantomeno nelle cronache giornalistiche, avesse già elaborato un giudizio così disonorevole. In realtà ciò non è avvenuto e l’occasione è propizia per ricostruire la vicenda, che iniziò nel 1983, e per nominare con precisione i responsabili politici dell’ipotetico misfatto, sperando che l’eventuale vergogna li tenga lontani da altri compiti di rappresentanza.

04cristofani21FBLo scalo merci di Porta Vittoria era l’impianto sulle cui banchine, fino agli anni ’50, con i vagoni ferroviari si consegnavano le derrate ortofrutticole sufficienti per l’intera città. Le cassette di frutta e verdura venivano ordinatamente impilate sul pianale di semplici carri a trazione elettrica, i cui pacchi batteria venivano ricaricati nello scalo, per poi attraversare il viale Umbria e quindi percorrere le strade interne del Mercato Ortofrutticolo che si trovava sull’area dell’attuale Parco Formentano, in Largo Marinai d’Italia.

Nel luglio 1983, mentre Amintore Fanfani chiudeva il suo governo di transizione verso Craxi I e II, Giuseppe Guzzetti era il Presidente della Regione e Carlo Tognoli il Sindaco di Milano, venne firmata la convenzione generale per regolare i rapporti tra Ferrovie dello Stato, Ferrovie Nord, Regione e Comune in relazione alla costruzione del collegamento passante tra le stazioni di Porta Garibaldi e Porta Vittoria. In questa convenzione si assumevano, tra l’altro, due importanti decisioni: 1) F.S. avrebbe liberato le aree di proprietà da ogni infrastruttura in superficie e avrebbe realizzato in sotterraneo la nuova stazione al servizio del collegamento passante, evidentemente senza banchine e senza binari per i treni merci né connessione con le esistenti strutture annonarie; 2) la soprastante superficie sarebbe stata “oggetto di variante urbanistica previo accordo con il Comune in ordine alla definizione di destinazione d’uso, pesi e dimensioni degli insediamenti”.

Nel 1998, sotto il Governo Prodi I, il Ministro dei Lavori Pubblici Paolo Costa decreta i P.R.U.S.S.T. , acronimo di Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio, che, semplificando, erano uno strumento per eseguire qualsiasi variante urbanistica utilizzando congiuntamente risorse pubbliche e private: bastava mettersi d’accordo. Nel 1999, Sindaco Gabriele Albertini, Assessore al Territorio Maurizio Lupi, il Comune di Milano riceve da Metropolis S.p.A. (società controllata da F.S. per la valorizzazione degli immobili dismessi), dal Comitato Promotore della Grande Biblioteca B.E.I.C. (finanziato da Fondazione Confalonieri, Fondazione Giussani Bernasconi, Regione Lombardia con Presidente Roberto Formigoni) e da Aler Lombardia una proposta di intervento che comprende il risanamento delle case popolari dei quartieri Molise e Calvairate, la costruzione di nuove volumetrie terziarie, ricettive, residenziali, commerciali su parte dell’ex scalo ferroviario, e la realizzazione della Grande Biblioteca sulla restante parte.

Tutti approvano tutto e nel 2000 il Ministero invia circa 1,5 milioni di euro per le prime spese di assistenza tecnica e di progettazione delle opere pubbliche.

A questo punto il tandem Albertini-Lupi deve spiegare alla città e agli abitanti della Zona 4 quali grandi vantaggi avranno dal nuovo uso di un’area che era di loro proprietà (cioè pubblica). È proprio in questa fase che la Grande Biblioteca (ribattezzata Biblioteca Europea) viene utilizzata per sollevare la sabbia e intorbidire le acque, mentre Metropolis vende al miglior offerente (anzi unico offerente) la parte dell’ex scalo divenuta edificabile per funzioni private. Acquista l’area Luigi Zunino, il cui curriculum è ben visibile su Internet, per venderla poco dopo, senza avere mosso neppure un metro cubo di terra, e realizzando un guadagno di 80 milioni di euro.

Mentre gli affari scivolavano silenziosamente (ma oggi chi li fece ne ha ben di che pentirsene), sui quotidiani, sui giornali di quartiere, nelle assemblee convocate nelle sale parrocchiali non si parlava che della Biblioteca Europea che avrebbe sostituito la Stazione di porta Vittoria. E quindi: grande concorso internazionale di architettura con 93 gruppi di progettazione partecipanti e corrispondente dibattito socio-cultural-architettonico. Chi scrive intervistava moltissimi abitanti del quartiere e nessuno di loro era a conoscenza delle volumetrie previste sul lato nord dell’area. La parola d’ordine era: al posto della stazione ci sarà la Biblioteca Europea! Nel 2002 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dichiarò, alla presenza del Sindaco Albertini, che la Biblioteca sarebbe entrata negli stanziamenti della Finanziaria, col sostegno del Governo.

Il progettista vincitore, architetto Peter Wilson, venne incaricato di redigere il progetto preliminare e quindi quello definitivo e il Comune di Milano ne pagò la parcella di circa 1,2 milioni di euro. Ma il finanziamento per costruire e per la gestione veniva negato dai ministri (Tremonti e Urbani). Nel luglio 2009 il Comitato Interministeriale per il 150° dell’Unità d’Italia deliberò l’inclusione della BEIC tra le opere che il Governo (Berlusconi Presidente) intendeva realizzare per la celebrazione dell’anniversario. Ma quel progetto non sarà ormai vecchio? Certo, dedichiamo le nuove energie ad Expo, anche lei figlia di Milano e del suo sindaco, pro tempore, Letizia Moratti. Che differenza fa? Boh, forse la differenza potrebbe essere che la BEIC rimaneva e invece Expo si deve smontare e portare via!

… da poche settimane la società (gruppo Coppola) proprietaria di quasi tutti gli immobili costruiti in base al P.R.U.S.S.T. ha dovuto interrompere una trattativa per la loro vendita in blocco, in quanto l’ipotetico acquirente tirava per le lunghe e le banche che hanno interamente finanziato la costruzione (pool guidato da Banco Popolare?) pretendono il rientro di oltre 240 milioni di debito accumulato. In assenza della vendita in blocco le banche hanno stabilito l’obbligo alla vendita frazionata. Aspettiamoci che il Presidente dell’ABI, se già non l’ha fatto, chiami i signori Pisapia e De Cesaris per pretendere almeno un bel prato che favorisca la vendita del “pacco” ricevuto da Coppola e dalla pianificazione avventurosa di Albertini – lupi.

Caro Bertesaghi, avevi ragione, questo è certamente uno scandalo, ma di dimensioni planetarie!

Claudio Cristofani



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