13 maggio 2015

TERRITORIO E CITTADINI: LA PREVARICAZIONE DELLE MULTINAZIONALI


«La cittadinanza è un progetto e un modo di vita. La progettualità della cittadinanza l’avvicina e la salda al governo del territorio, cioè alla progettualità dei processi politici che sovrintendono alle decisioni di ordinamento e controllo dell’uso dello spazio». Luigi Mazza individua e analizza una questione oggi ineludibile [Spazio e cittadinanza, Roma 2015, pp. 3-4]. Dopo lo spazio celeste con Sputnik (1957) e Apollo (1969) dobbiamo conquistare quello terrestre. «Ho sognato a lungo di acquistare un’isola che non fosse di proprietà di alcuna nazione […] e di stabilire, sul suolo davvero neutrale di quest’isola, la sede centrale mondiale della Dow, esente da obblighi nei confronti di qualunque nazione e società. […] Saremmo persino in grado di ricompensare generosamente gli abitanti del luogo perché si trasferiscano altrove» [Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, Milano, 20142, pp. 92-93]. Il sogno del presidente della Dow Chemical Carl A. Gerstacher (1974) è divenuto realtà: un numero crescente di imprese è «esente da obblighi nei confronti di qualunque nazione e società», e senza alcuna ricompensa, anzi.

12gario18FBL’attuale caos neoliberista nasce dall’incapacità di nazioni e società di farsi rispettare. Incapacità culturale – di usare la tecnologia invece di esserne usati – ma anzitutto pratica. Lo Stato non è più in grado di costruire la cittadinanza sul proprio territorio, dove le imprese dovrebbero contribuire al benessere collettivo e non dettare legge.

La perdita del progetto di una cittadinanza condivisa da tutti sullo stesso territorio sta incrinando persino il Regno Unito. La City prevarica tanto da provocare movimenti separatisti. Da noi la lotta a Roma ladrona, divenuta clinicamente dipendenza, fa spazio al razzismo. Ma il risultato è lo stesso: nel mondo globalizzato lo Stato non riesce più a imporre rispetto alle imprese multinazionali e in ossequio ai mercati bastona i cittadini, mostrando così tutta la sua impotenza.

Eppure il Regno Unito si fece Stato come unione di nazioni su un unico territorio. In La sovranità assente (Torino 2014) Barbara Spinelli ricorda che così è anche per Francia, Svizzera e Stati Uniti; noi e i tedeschi lo fummo nell’Ottocento romantico: dall’inglese romantick, inverosimile (“is partly true, partly romantick“, Il nuovo etimologico Zanichelli, 1999). «In altre parole, la storia ci dice che il principio territoriale, come lo chiama lo storico inglese Lewis B. Namier, fu nella maggioranza dei casi più forte, e soprattutto più duraturo, del principio della nazionalità fondato sulla lingua, la religione e il diritto del sangue. L’Unione [Europea] si apparenta all’esperienza dello Stato territoriale, e ha per l’appunto un’identità istituzionale (nel futuro, si spera, anche costituzionale). Non è terra incognita, ma ha dietro di sé una lunga e ricca storia di regni e – qui è forse la sua potenzialità vera – di imperi» [pp. 43-44]. Impero, dal latino imperare, “comandare”: sovrano.

Perciò, precisa Spinelli, «ogni volta che si sente parlare di Stati che si riprendono la sovranità, che reclamano il rimpatrio del potere da Bruxelles alle singole capitali (è la battaglia di David Cameron in Inghilterra, è stata la battaglia di Nicolas Sarkozy in Francia, ed è la battaglia non confessata dal cancelliere Angela Merkel) si può star certi di avere a che fare con illusionisti della politica, che mentono sapendo di mentire, […] pretendono di governarci, e di difendere nei vertici comunitari interessi solo in apparenza nazionali, quando in realtà quegli interessi non sono né europei né nazionali» [p. 38]. Gli inconsistenti leader europei generano quelli antieuropeisti (belgi francesi inglesi italiani olandesi tedeschi ungheresi …) che fanno carriera a servizio, retribuito, dell’impero russo di Putin.

La guerra fredda non è finita, anzi è sfociata in una guerra calda in Ucraina e in una guerra economica che porta l’Europa al trattato di libero scambio transatlantico sotto la guida sovrana degli USA, che nel loro spazio includono gli oceani. La logica è sempre quella di imprese “esenti da obblighi nei confronti di ogni nazione e società”, dedite solo a servire i loro ponti di comando. Nel libero mercato transatlantico potranno chiedere compensazioni agli Stati che contro i loro interessi commerciali tuteleranno legalmente, ad esempio, la salute dei cittadini e l’ambiente. Il se e il quanto dipenderà da un foro internazionale sul modello del Fondo Monetario Internazionale, che così brillantemente continua a tutelare i ricchi a spese dei poveri.

Ci faranno capire a muso duro che la sovranità degli Stati non è più neppure finzione giuridica. La controprova viene dalla Grecia, per un pugno di dollari spinta alla rovina da interessi elettorali di partiti al potere (in Spagna e Portogallo anzitutto, ma ovunque) minacciati da movimenti di protesta sociale in grado, come in Grecia, di arrivare al governo. Stati ridotti a gruppi di interesse, coriandoli nel gran carnevale della globalizzazione, guardano solo ai mercati anche se la crisi greca «dimostra per l’ennesima volta quanto i mercati finanziari siano inebriati dalle iniezioni di liquidità e quanto siano ormai dipendenti dalle banche centrali. Per loro, ormai, un’alzata di ciglia di Mario Draghi o di Janet Yellen è più importante di un Paese europeo sull’orlo dell’abisso economico-finanziario. A pensarci bene, è terrificante» [Morya Longo, “La Bce anestetizza la crisi greca”, Il Sole 24 Ore, 19/04/2015 p. 2]. Lo è.

L’Unione Europea è il nostro unico spazio di cittadini sovrani nel mondo dove sovrane sono solo imprese e potenze globali: spazio politico oltre che economico, finanziario, giuridico. Il parlamento c’è, le istituzioni di giustizia, monetarie e burocratiche pure: manca il governo. E manca una forte opinione pubblica europea, anche se è facile informare, essere informati e discutere di ciò che è meglio per noi europei, oltre i recinti di vicinato. Il nostro futuro è informarci, discutere e eleggere un governo democratico che ha giurisdizione su tutta l’Unione Europea. «Infatti, tra governo del territorio e cittadinanza esiste un rapporto circolare per cui il governo del territorio è lo spazio politico per la costruzione o ricostruzione di un’idea di cittadinanza, ma a sua volta l’idea di cittadinanza è il mondo normativo in cui il governo del territorio si colloca» [Mazza, p. 181].

È un investimento, il solo vero tra tanti gadget. Le imprese, snodi di sovranità privata, ci dicono che le crisi gravi si superano realizzando innovazioni e investimenti con tutte le risorse disponibili, incluse dignità e speranza, che sono risorse di cittadinanza.

Primi e principali interessati a questo investimento siamo noi italiani. Il nostro debito complessivo è tra i più bassi del mondo, ma la pessima fama del nostro debito pubblico ci fa bersagli privilegiati delle speculazioni anti-euro dopo un default greco. Ma c’è di più e peggio. Siamo gli europei più esposti al caos africano, paradiso del business delle armi e inferno della guerra generale tra Stati non sovrani che, se non li ammazzano, trasformano i cittadini in rifugiati e clandestini. L’Unione europea è nata dopo due bestiali guerre mondiali, se stavolta procedessimo in pace sarebbe premio alla nostra intelligenza morale, politica, economica, finanziaria. Facce dello stesso tetrapak, insegna Adam Smith, padre del mercato moderno.

Giuseppe Gario



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