6 maggio 2015

MANIFESTARE PER IL 25 APRILE A 18ANNI, OGGI


Cosa vuol dire il 25 Aprile, oggi, per i giovani di questo paese? Domanda difficile, a cui sarebbe ipocrita dare una risposta secca e scontata. Il 25 Aprile significa un sacco di cose, purtroppo molte volte significa le cose sbagliate. Il problema, se esiste, di un’ignoranza o di un menefreghismo dei giovani a proposito del 25 Aprile non è di certo di responsabilità nostra.

12zinna17FBCome in tutte le ricorrenze di un Paese, l’aspetto fondamentale non sta nel ricordare, quanto nel come ricordare. Ecco, per me, ragazzo milanese di diciotto anni, attivamente impegnato e antifascista di nascita, d’ideale e di sentimento, la data del 25 Aprile contiene tutto il suo significato nella questione della memoria e del metodo che come Paese abbiamo adottato, adottiamo e adotteremo nel ricordare questo giorno così importante.

Per come la vedo io, vent’anni di Berlusconi non hanno certo fatto bene al 25 Aprile. Si è perso quel senso di valore nazionale, patriottico e unificante della giornata della Liberazione. Aver portato al governo ex-missini, l’aver più volte reinterpretato la storia e aver delegato la Liberazione “ai poveri comunisti” e altro ha solo contribuito a innescare un processo di divario tra cittadini sul tema stesso della Resistenza. Quello che settanta anni fa, Togliatti, De Gasperi, Nenni cercarono di fare, ossia ricucire un paese lacerato, piuttosto rinunciando a obbiettivi partitici e mistificando parole e dizioni quando si parlava di Liberazione (“guerra civile” non fu mai termine apprezzato quando si parlava di repubblichini e partigiani), è venuto meno con il 1994 e il primo governo Berlusconi. Come poteva un governo parlare di memoria antifascista e partigiana quando comprendeva al suo interno esponenti come La Russa, Alemanno, Fini, Storace e altri? Non a caso fu quello l’anno in cui per la prima volta, politici e amministratori non di sinistra furono contestati alla manifestazione a Milano. Quella che era sempre stata una festa, da cui gli unici esclusi erano appunto i fascisti, è diventato l’ennesimo momento carico di significato e tensione politica.

È proprio da lì che la data del 25 Aprile ha iniziato a prendere una piega partitica e non più nazionale: il 25 Aprile era la data delle opposizioni, della sinistra, dell’Italia anti-berlusconiana. Essere antifascisti è diventato automaticamente essere comunisti, attivisti dei centri sociali, o comunque di sinistra. La destra di questo paese ha rifiutato di schierarsi con i principi fondamentali dell’intera Europa. Questo è stato sicuramente il primo passo verso un sempre più tangibile processo di sminuimento del significato della Liberazione.

Oggi non governa Berlusconi e il 25 Aprile ha riacquistato sicuramente un maggiore riconoscimento nazionale da parte delle Istituzioni. Ma oggi, a settant’anni dalla data del 1945, entra in gioco un altro problema molto più grave e pericoloso: l’inevitabile processo cronologico della storia.

La sensazione che ho, quando attraverso via Palestro, seguendo il lento movimento dell’annuale corteo milanese composto da associazioni, reduci, partiti, movimenti studenteschi, è sicuramente di pace, orgoglio, felicità e fierezza. Ma quando il corteo imbocca corso Vittorio Emanuele e si arriva nella zona d’assalto dello shopping festivo, vedo attorno a noi quelle facce attonite di tantissimi ragazzi come me, della mia generazione, che ci guardano con gli occhi spenti, disinteressati, al più minimamente curiosi. In quel corteo noi ragazzi siamo sempre di meno e siamo sempre gli stessi, mentre dall’altra parte, a fare shopping, siamo sempre di più. Domani, quando anche l’ultimo ex combattente partigiano sarà morto, cosa accadrà?

Diverrà il 25 Aprile, come già molti auspicano o ritengono sia, puro momento storico, privo di emotività, privo di vigore e significato? Cosa può impedire tutto ciò? Sicuramente ora si sta facendo poco e il diffuso disinteresse che invade la mia generazione di certo non aiuta. Siamo ragazzi di Facebook, di Twitter e Istagram, strumenti efficacissimi se utilizzati come mezzi per la politica e non come contenitori di politica, come invece oggi erroneamente accade. Un “like” sulla pagina o un “partecipa” all’evento sta sostituendo pian piano la reale partecipazione, il reale impegno. Antifascismo significa impegno e partecipazione, mentre fu per anni arma dei fascisti il disinteresse e l’illusione.

Che fare? Prima di tutto bisogna tornare a parlare di Antifascismo non come qualcosa di sinistra, ma come qualcosa di tutti, di democratico, di civile. Non è la politica o il partito a essere Antifascista, lo deve essere la società. Tra tutti i cori da manifestazione, quello che ho sempre amato è proprio quello che urla “siamo tutti antifascisti”. Nulla di più vero e autentico dovrebbe uscire dalle nostra voci, dalle voci di tutti, ogni giorno.

Il Fascismo esiste, i suoi fanatici e i suoi sgherri strisciano ancora tra le nostre città, o nelle città d’Europa e del mondo. Le periferie di Milano, come altre di molte altre metropoli, oggi rappresentano campi fertili per i neofascismi. La prima arma di chi diffonde queste politiche neofasciste è proprio quella di giocare sul lungo trascorrere di tempo che ormai ha allontanato la nostra società, il nostro tempo, da quando i partigiani venivano torturati e fucilati, gli ebrei deportati e un’intera nazione umiliata e affamata da quello stesso Fascismo.

Insegnare la storia, la nostra storia, nelle scuole e a noi ragazzi non può avere come obbiettivo quello di farci ricordare la data del 25 Aprile 1945 allo stesso modo di come ci dovremmo ricordare del 15 Marzo 44 a.C. o del 5 Maggio 1821. Perché è proprio nelle scuole che ci si gioca il futuro di un paese.

Vogliamo che tra trent’anni, quando l’ultimo garibaldino o badogliano sarà morto e sepolto, i ragazzi che avranno diciotto anni ricordino con lo stesso ardore il 25 Aprile e siano ancora in grado di definirsi Antifascisti? Bene, allora cominciamo a studiare la Resistenza non come un evento storico ma come moto dell’anima di un Paese che ha saputo rialzarsi dal basso più profondo mai raggiunto nella sua esistenza. Si narri la bellezza della primavera di settant’anni fa.

Noi siamo antifascisti perché lo è la nostra costituzione, perché lo è la nostra storia, perché lo dobbiamo essere per il nostro futuro.

Lorenzo Pacini

 



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