5 ottobre 2009

COSA E’ RIMASTO DI MI.TO?


Un mese fa abbiamo definito MI.TO un “minestrone di fine estate”, un evento creato più per gratificare politici e pubblici amministratori che per promuovere autentica cultura musicale, ed en passant c’eravamo detti molto sorpresi che in cartellone ci fosse anche Letizia Moratti come voce recitante in un’opera di Aaron Copland.

Avete tutti visto, nell’ultimo numero del nostro giornale, che fine ha fatto il nostro Sindaco sul palcoscenico del Dal Verme (davanti, peraltro, a una platea mezza vuota).

Pazienza la gaffe della Moratti, ma cosa è rimasto di quella kermesse, una volta terminati gli applausi?

Certamente la grande soddisfazione di Francesco Micheli, il suo ideatore, che ha potuto esibire numeri da stadio (95.000 o 115.000 spettatori, a seconda di quali eventi si prendano in considerazione, 120 concerti, 3.400 artisti, 80 location, ecc. ecc.), e certamente anche la gioia di quei (relativamente) pochi fortunati che sono riusciti a trovare i biglietti degli eventi “civetta” (dai concerti delle orchestre di San Pietroburgo e della Scala, ai recital degli amati cantautori Paoli, Conte…).

A parte il fatto che quei pochi hanno dovuto accontentarsi dei posti non riservati agli sponsor (una brutta abitudine tutta italiana!), erano comunque in gran parte quegli stessi che abitualmente ascoltano quelle stesse orchestre (e quegli stessi cantautori) durante le usuali stagioni sinfoniche (e le annuali tournée degli artisti). Ne valeva la pena?

Ma il numero che più ci ha colpito, fra quelli citati da Micheli nell’intervista a La Repubblica del 26 settembre, sono i tre milioni di euro che il Comune di Milano ha offerto per l’organizzazione di MI.TO. Ci piacerebbe sapere, a fronte di tanta generosità, quanto il Comune elargisce annualmente alle istituzioni milanesi che producono musica sinfonica (ad esempio alla Verdi o ai Pomeriggi) e da camera (Quartetto, Serate Musicali, Società dei Concerti, ecc.) e che costruiscono anno per anno, con immensa fatica, cartelloni complessi e impegnativi, garantendo – loro sì – un deposito e un accumulo di esperienze culturali a beneficio di tutti coloro che s’industriano per ascoltare regolarmente buona musica.

E altrettanto interessante sarebbe conoscere il bilancio completo di questo festival: fra Torino e Milano, quanti soldi pubblici e quanti privati sono stati spesi?

Dice sempre Micheli (cui bisogna dare peraltro atto dei grandi meriti che ha acquisito nella promozione e nell’organizzazione della vita musicale di Milano) che MI.TO è costato molto meno dei festival di Salisburgo o di Lucerna; non abbiamo dubbi ma Salisburgo e Lucerna sono due città che devono la loro celebrità in grandissima misura ai loro festival, perchè grazie a quei livelli di eccellenza hanno potuto acquisire un grande prestigio internazionale nel mondo della musica. Ma chi ha mai sentito parlare di MI.TO appena fuori dal Piemonte e dalla Lombardia? Neppure a Roma se n’è saputo nulla, e tanto meno si può immaginare che la sua eco abbia superato le Alpi.

Anche dal punto di vista dell’investimento, dunque, ne valeva la pena?

Ancora una volta siamo perfettamente d’accordo con Ennio Girardi che, presentando il programma di MI.TO sul Corriere, lo definiva “eterogeneo ed ecumenico, rivolto a tutti come ceto e come censo” (e dunque, aggiungiamo noi, a nessuno in modo significativo e pregnante) e ne definiva la funzione
come quella
del “maggior supermercato musicale italiano“.

Sembra che l’anno prossimo il festival di Milano e Torino, nel bicentenario della loro nascita, si concentrerà su Schumann e Chopin. C’è da sperare che questo filo conduttore serva a dare più spessore e maggiore profondità alla prossima edizione.

 

Paolo Viola


 



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