28 gennaio 2015

AREE IN ATTESA: L’URBANISTICA DEI CAPANNONI


La presenza di un ricco tessuto di piccole e medie imprese non costituisce solo uno degli aspetti più noti della struttura economica e sociale dell’Italia centro-settentrionale, ma anche una delle immagini dominanti del paesaggio urbano. Chi percorre le linee pedemontane alpina e appenninica, oppure la costa adriatica o ancora la pianura toscana incontra una sequenza quasi ininterrotta di edifici destinati ad attività produttive e artigianali, definiti nel linguaggio comune come “capannoni”. In realtà si tratta di spazi più complessi, in molti dei quali prende forma quel particolare modello economico e sociale che gli economisti hanno chiamato “distretto industriale”: un insieme di piccole e medie imprese strutturate attorno a una filiera produttiva.

04gastaldi04FBIl modello di sviluppo basato sui distretti si è realizzato troppo spesso senza una progettualità sul versante urbanistico – architettonico. A livello locale l’industrializzazione diffusa (avvenuta spesso nella sua fase iniziale, in deroga o in assenza di strumenti urbanistici) è stata tollerata e favorita poiché limitava i problemi che i governi locali dovevano affrontare.

A partire dai primi anni Novanta, e più recentemente con la crisi economica degli ultimi anni, questi sistemi produttivi hanno però subito processi di parziale dismissione o rilocalizzazione. Nessuno avrebbe potuto immaginare che le “aree traino” del dinamismo economico del paese, soprattutto nell’export, potessero avviarsi verso una spirale di crescente debolezza. Anche le imprese che hanno incrementato le proprie attività, quando non hanno scelto la strada di trasferire la produzione all’estero, si sono spesso spostate all’interno di nuove aree industriali di più recente realizzazione, in lotti di maggiori dimensioni, meglio serviti dal punto di vista logistico.

La crisi ha fatto emergere una nuova domanda di governo del territorio, non più legata a una fase espansiva, bensì al problema della dimissione dei “capannoni” (molti dei quali da tempo sotto-utilizzati o in alcuni casi realizzati e mai concretamente utilizzati), delle possibili destinazioni d’uso, della limitazione della crescita edilizia e, più in generale, della transizione verso nuovi modelli di sviluppo, lasciando molti amministratori locali del tutto impreparati.

Sarebbe opportuno chiedersi quanto gli “attori della pianificazione” recepiscano effettivamente la crisi, cioè se è in corso un processo di apprendimento / innovazione vero e proprio. Gli strumenti urbanistici generali esistenti sono stati concepiti e approvati generalmente in epoca pre-crisi, quando erano ancora pesantemente influenzati da logiche di sviluppo che si supponevano illimitate, specie per alcuni settori di attività economica. Queste previsioni in pochi anni si sono rivelate vecchie e superate dalle nuove dinamiche dovute alla crisi, e oggi sono difficili da riformulare in un quadro che si caratterizza per incertezza, indeterminazione, scarsa progettualità e debole fiducia nel futuro.

L’illusoria speranza della crisi come fenomeno transitorio, con il passare degli anni, si va via via rarefacendo. Nel frattempo si assiste a ulteriori dismissioni di aree industriali a causa di chiusure, delocalizzazioni, riorganizzazioni aziendali, e si è aperta una nuova fase di dismissioni di aree produttive molto diversa dalle precedenti. Per il mercato dei capannoni spesso è difficile l’incontro fra domanda e offerta: ogni azienda e ogni imprenditore ambirebbero ad avere spazi fatti su misura per loro, ma la bassa qualità territoriale degli insediamenti produttivi sparsi, l’assenza di servizi, i tempi della mobilità sono elementi ormai “strutturali” in cui oggi si inserisce il fattore crisi.

La riqualificazione, o il riuso, dei contenitori abbandonati li vede trasformati (talvolta) in luoghi di intrattenimento (es. discoteche, palestre, sale prove musicali), spazi creativi o semplicemente depositi, magazzini, sedi di attività nel campo dei servizi. Le aree artigianali si trasformano, oltre che in aree a destinazione commerciale, grazie alla disponibilità di spazi per parcheggio, più raramente in luoghi del terziario. In tutti i casi elencati si assiste generalmente a spostamento di funzioni dai centri urbani verso le aree esterne per cercare di sfruttare i prezzi più convenienti degli affitti e la maggior quantità di spazio disponibile. Le interminabili distese di edifici e capannoni industriali di medio – piccola taglia, oggi popolati da cartelli con scritto “affittasi” o “vendesi”, sono spesso incapaci di rispondere alle nuove esigenze delle imprese. È così che, non solo gli edifici, ma anche le aree esterne e circostanti i capannoni o perfino le aree di interi sistemi produttivi si avviano a progressivo degrado.

 

Francesco Gastaldi



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