22 settembre 2009

UN’EXPO SENZA ARCHITETTI?


Le diverse reazioni al master plan dell’EXPO 2015 sono in gran parte scontate.

Il partito dei costruttori si dichiara deluso, in attesa di sapere cosa in realtà si potrà fare sia durante che soprattutto dopo l’EXPO, viste le molte porte lasciate socchiuse, in perfetto stile italiano.

Il partito delle archistar brontola, privato dell’occasione di iniziare la gara a chi lo fa più alto, o più diverso, o più storto.

Il partito di chi vorrebbe che il progresso non significasse solo produrre merci e edifici é invece contento di vedere strutture espositive leggere, apparentemente riciclabili, acqua e terra, e non ettari di cemento, asfalto e padiglioni costosi e presto inutili.

Ciascuno resterà ovviamente sulle sue posizioni, ma intanto proviamo a utilizzare questo progetto sicuramente insolito e spiazzante per molti, per riflettere su come noi architetti possiamo valorizzare la nostra esperienza in situazioni come questa, dove le possibilità edificatorie sono minime.

L’aspetto precario, fragile e un poco misero della distesa di tende che copre parte dell’area di progetto ha colpito anche chi è a favore del progetto. Magari notando che addirittura neanche quelle sarebbero poi necessarie, se si parla di terra, di acqua, di natura che ci dà da vivere, visto che il carburante di quella natura sono il sole, l’aria e la pioggia, che delle tende, a differenza dei fragili visitatori, non sanno che farsene.

Indubbiamente il prossimo EXPO milanese non nasce sotto buoni auspici. In coda a una crisi finanziaria che oltre a impoverirci tutti ha mostrato la tragicomica nudità del Re Danaro, dopo che già le precedenti versioni hanno dimostrato che l’idea stessa dell’Expo è anacronistica, visto che i visitatori sono sempre stati assai meno di quelli sperati, non possiamo certo aspettarci un successo clamoroso. E conseguentemente nemmeno un entusiastico spreco di danaro da parte delle varie nazioni, come saggiamente hanno recepito i progettisti del master plan.

Abituati a esprimerci con calcestruzzo, alluminio, legno, acciaio, vetro, luci, impianti, questa prospettiva ci fa temere di essere tagliati fuori dalla kermesse.

A questo punto conviene a tutti riflettere su ciò che dovrebbe rendere gli architetti diversi (non più bravi, solo diversi) da geometri e ingegneri. Io credo che sia la capacità di interpretare, stimolare e produrre la qualità dell’ambiente.

E su cosa sia la qualità dell’ambiente conviene riflettere. Non è solo estetica né solo funzione, né qualunque alchimia pensabile tra le due. La qualità di qualunque ambiente è data dal senso che esso ha per chi in quel momento lo “abita”. Senso che la psicologia ambientale studia, nel totale disinteresse da parte dei progettisti, dimostrando che l’accettazione, il gradimento o il rifiuto dell’ambiente, più che da qualunque valore estetico – funzionale dipende dalla risposta alla domanda “mi interessa o no ciò che questo luogo mi sta dando?”.

Tornando dunque all’EXPO 2015, la sfida per gli architetti dovrebbe essere quella di capire, rendere palese e assimilabile per i visitatori il senso di ciò che si mostra loro, indipendentemente dalla quantità e ricchezza di risorse impiegate. Il tema stesso, che le varie nazioni probabilmente declineranno descrivendo come ciascuna nazione garantisce a tutti il cibo necessario secondo le caratteristiche del proprio territorio, è già un buon inizio. E forse aiuterà a inventare dei luoghi semplici ma piacevoli da percorrere e da capire, creati soprattutto per rendere questo messaggio interessante e comprensibile. Dando a tutti i visitatori un senso al loro essere venuti fin lì.

Sarebbe già un successo, e per gli architetti un segno di grande professionalità.

 

Giorgio Origlia



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