12 novembre 2014

IL RACCONTO ITALIANO FRA IL PARTITO DELLA FIDUCIA E QUELLO DELLA SFIDUCIA


Matteo Renzi in quasi tutti i discorsi pubblici ci parla della fiducia. “Tocca a noi dare fiducia all’Italia” ha ribadito per l’ennesima volta nel discorso di chiusura dell’ultima Leopolda. In sintesi Renzi dice: noi possiamo fare tutte le riforme più importanti e utili per il Paese, ma se negli Italiani non c’è fiducia, l’Italia non riparte e non esce dalla crisi.

07negri39FBLa fiducia, come ci conferma il dizionario, esprime quel senso di sicurezza che viene dal convincimento che qualcuno o qualcosa sia conforme alle proprie attese o speranze. La fiducia infatti è un atteggiamento che consente di prendere decisioni che comportano rischi (come è per esempio il fare impresa). La mancanza di fiducia quindi riduce la gamma di possibilità di agire razionalmente, per esempio non consente l’investimento di capitale in condizioni di incertezza. Se non c’è fiducia i capitali non arrivano oppure si pongono il problema di fuggire in altri Paesi.

Ora mi sembra che invece molte narrazioni veicolate dai media, soprattutto attraverso i format dei talk-show, vanno proprio nella direzione di comunicare il più possibile il contrario della fiducia cioè la sfiducia. Non si limitano neppure a creare quella diffidenza, figlia dell’Illuminismo, che può essere un atteggiamento, anche positivo, preliminare alla fiducia, una giusta fase dubitativa (la diffidenza infatti è non fiducia ma anche non sfiducia), ma fanno in modo che si imponga, come protagonista indiscussa dei loro racconti disperati e disperanti, una sorta di “fideistica sfiducia”, cioè una sfiducia a prescindere dalla discussione, una sfiducia che potremmo definire “a priori”.

Naturalmente tutto questo avviene anche nel nome della ricerca di audience, quindi di sopravvivenza del programma stesso. Elementi come la critica iper-negativa, la protesta, la lotta di piazza, le urla della folla, gli scontri con la polizia, le manganellate, la rabbia, provocano quella giusta dose di tensione nella narrazione che, come tutti gli autori televisivi sanno, permette di ancorare lo spettatore al programma. Più c’è tensione nel racconto in studio, più si fidelizza il pubblico a casa, evitando così quello zapping, che tanta paura crea ai venditori di spazi pubblicitari nei palinsesti televisivi.

Se da una parte con questa tipologia tensiva presente nei racconti televisivi si consolida l’audience, dall’altra però si offre un importante contributo alla coltivazione di un immaginario all’insegna della sfiducia assoluta, che dapprima si manifesta come sfiducia verso i politici, verso chi è al Governo, ma poi finisce con il creare un clima sociale per nulla attraente verso chi vuole intraprendere, verso chi vuole investire. Infatti, nessun imprenditore di buon senso e dotato di agire razionale, che si metta in ascolto di programmi come per esempio “La gabbia” in onda su La7, per citare quello con il tono più disforico possibile, può essere disponibile a intraprendere, a rischiare, a venire a fare impresa nel nostro Paese.

Mai come oggi l’Italia appare divisa in due, ma non in due partiti che si oppongono, bensì in due schieramenti che si sfidano sull’asse fiducia vs sfiducia. Da una parte abbiamo Renzi e i suoi ministri che alla Leopolda o nei programmi televisivi in cui sono invitati cercano in ogni modo di raccontare la speranza al fine di veicolare iniezioni di fiducia nel sistema economico italiano, dall’altra abbiamo una contro-narrazione del Sindacato, di alcuni esponenti della minoranza del Pd, della gran parte dei conduttori televisivi di talk-show e degli opinion leader della carta stampata ,che invece immette nel sistema dosi massicce di sfiducia. In questo senso il racconto anche solo nella forma di “minaccia possibile” per esempio di uno sciopero generale o di mobilitazione generale nelle fabbriche, non è, come si vuol far credere, un attacco a Renzi e al suo Governo, ma è invece un importante contributo al consolidamento di quel clima di sfiducia generale assolutamente deleterio al fine del rilancio della nostra economia.

Ogni volta assistiamo alla messa in scena di quel racconto conflittuale, tipico delle fiabe, dove da una parte ci sono gli eroi, i buoni, gli operai, i lavoratori e dall’altra ci sono gli antagonisti cattivi, ovvero i padroni che vogliono solo il male dei loro dipendenti, che vogliono abolire l’art. 18 per poter essere finalmente liberi di licenziare con grande godimento. Ecco raccontare questo pseudo-conflitto in un momento di crisi globalizzata come quello che stiamo vivendo, vuol dire costruire un’immagine della realtà simulacrale, che non corrisponde al vero, cioè alla realtà effettuale. Significa compiere un’operazione puramente nostalgica, richiamare alla mente battaglie del passato che non esistono più, semplicemente perché Imprenditori e operai sono entrambi parte di quella categoria più ampia rappresentata dai “lavoratori a rischio”, cioè di coloro che rischiano di non avere più lavoro, perché la produzione si sposta verso altre location narrate come meno conflittuali.

Se l’imprenditore ha fiducia nel sistema Italia, è anche disposto a rischiare, se rischia fa impresa e produce lavoro. Se c’è lavoro il problema relativo ai licenziamenti si annulla. La narrazione sindacale dovrebbe prendere atto che il vero nemico dell’Italia e dei lavoratori italiani non è Renzi, ma la crisi. E in un clima di sfiducia, di diffidenza, di perpetuo scetticismo i nemici veri dei lavoratori, degli Italiani, che si chiamano crisi, mancanza di lavoro, disoccupazione, ci sguazzano come maiali in una pozzanghera di fango.

Possiamo dire che oggi l’Italia viene raccontata utilizzando due format contrapposti e conflittuali. Da una parte c’è il format “fare fiducia sempre e comunque”, dall’altra c’è il format opposto cioè “fare sfiducia sempre e comunque”. E la scelta di uno o dell’altro prescinde da ogni tipo di logica razional-argomentativa. Appare spesso come una scelta pre-logica giocata più sull’emozionalità e sul sentire del momento. Se Destra e Sinistra sembrano essere schemi di lettura del reale ormai obsoleti, il vero conflitto post-ideologico in questa società sempre più liquida, sembra essere quello fra lo schieramento della Fiducia, che utilizza racconti della Speranza e quello della Sfiducia, che utilizza racconti della Disperazione.

 

Alberto Negri



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