3 settembre 2014

PRIVATI DEL BENE COMUNE: PARCHEGGIO SELVAGGIO


Per il premio Nobel Paul Samuelson i beni comuni sono caratterizzati da due tratti: a) il principio della non rivalità: l’utilizzo del bene da parte di una persona non diminuisce le possibilità d’utilizzo da parte di un’altra persona; b) il principio di non esclusività: nessuna persona e nessuna comunità può essere esclusa dal loro utilizzo. A partire dalla metà del Novecento, da quando Samuelson ha introdotto questa definizione di beni comuni (non-rivalità e non-esclusività), è in corso un dibattito intenso sulla loro gestione, che ha interessato sicurezza, aria, acqua, etc. ma che può incominciare anche dal semplice utilizzo di un parcheggio stradale.

06_bonessa29FBPasso da piazza Tommaseo e la trovo bella, ordinata , pulita, e accogliente: e mi viene in mente Pupi Solari, a capo di un folto gruppo di cittadini, che si opponeva al parcheggio sotterraneo e al progetto di risistemazione dello spazio antistante il suo famoso ed esclusivo negozio. Poi attraverso Piazza Novelli che ricordavo sporca, trasandata, famosa solo per la sede dell’Aeronautica Militare. E la scopro rimessa a nuovo grazie a un parcheggio interrato. E allora mi vengono in mente Piazza XXV Aprile o Piazza Sant’Ambrogio e gli anni di blocco cantiere per le proteste dei “cittadini” o via San Calimero e i comitati di bottarghiani che manifestavano per quattro panchine e due fontane che avrebbero richiamato tribù di senzatetto sotto le loro finestre.

E per finire non posso non rammentare le urla di gioia dei Comitati di piazza Lavater quando si è deciso di bloccare il parcheggio salvo poi avere uno spazio occupato, in ogni ordine e grado, di auto quasi sovrapposte una sopra l’altra. E girando per a città vedo anche viali alberati pieni di auto posteggiate sulle aiuole alla base di bagolari e querce, e penso a tutti quei cittadini che si sono opposti, si oppongono e sono pronto a opporsi di nuovo ai parcheggi sotterranei. E non riesco a non pensare male.

A non pensare male di tutti quelli che bloccano il miglioramento della città, che non vedono oltre al loro naso e difendono un presunto diritto a occupare la strada, i marciapiedi e ogni spazio pubblico con la loro ferraglia adducendo false motivazione solo per evitare il fastidio dei lavori di un cantiere sotto casa e mantenere la comodità del posto a un tiro di schioppo, chiaramente gratis e possibilmente esclusivo.

Ma vedo anche i silos di Via Mascagni o Piazza Diaz con gli stalli a rotazione sempre semivuoti e le auto parcheggiate in sosta vietata in superficie. Fenomeni che sembrano tra loro diversi ma che invece concorrono tutti a definire una convinzione ormai radicata del cittadino milanese secondo la quale il solo fatto di viverci o lavorarci gli da il diritto di occuparne, senza nessuna remora, qualsiasi spazio libero con tutti i mezzi che ha a disposizione.

Convinzione che trova il suo apice nell’atteggiamento dei Commercianti, che ormai, scomparse le portinerie, sono i padroni indiscussi di tutto ciò che avviene al piede delle nostre abitazione, di cui ne fanno un uso esclusivo e proprietario. Dove c’è un’attività commerciale che attiri un minimo interesse ecco proliferare parcheggi selvaggi, doppie e triple file, traffico congestionato, il tutto condito da un contrasto assoluto a ogni politica di pedonalizzazioni. Un atteggiamento di rifiuto delle regole a cui si aggiunge l’arroganza di molti nel ritagliarsi un loro spazio privato ed esclusivo a discapito di quello comune e pubblico.

E allora crescono i biglietti sui cruscotti delle auto parcheggiate su righe gialle e blu per ricordare che il proprietario è il negoziante lì vicino, i parcheggi quotidiani in sosta vietata in spazi dove a un comune mortale rimuoverebbero subito l’auto, l’appropriazione di aree destinate al parcheggio come estensioni della propria attività, i marciapiedi a uso esclusivo per i propri mezzi, le vie intasate dalle auto in doppia e tripla fila tutti i giorni e alla stessa ora davanti a locali noti e stranoti.

Non si tratta della maleducazione contingente, del momento ed estemporanea, del singolo automobilista contro cui la lotta delle forze dell’ordine è sicuramente impari. Si tratta di un utilizzo quotidiano, programmato, tacito e accettato di uno spazio comune a discapito della collettività. Le auto sui marciapiedi e l’uso proprietario degli spazi pubblici da parte di pochi sono la cartina tornasole di quello che una politica di privilegi ha generato negli ultimi venti anni. Privilegi che chi ha acquisito non vuole assolutamente mollare. Non si tratta di una lotta di quattro vecchietti che si lamentano dell’auto parcheggiata in doppia fila. Si tratta di ribadire, subito e già dagli aspetti marginali della vita collettiva, il predominio del bene comune rispetto all’egoismo del singolo.

Se non si percorre questa strada quando l’azione di rinnovamento non richiede nuove leggi, nuove disposizioni, ma solo ed esclusivamente il rispetto di quelle esistenti, se non si ha il coraggio di fare ciò che è normale ed evidente, sarà difficilissimo, se non impossibile, recuperare il senso di appartenenza alla collettività che è indispensabile ritrovare nelle nostre comunità.

Senza un ritorno alla “normalità della norma” i cittadini continueranno a vivere un senso di impotenza misto a irritazione che li isolerà sempre di più. Più illegalità frequentiamo, soprattutto spicciola ed evidente, più è difficile mantenere comportamenti virtuosi. La trasgressione diventa un sistema di difesa che vede l’altro come il nemico a cui rubare spazio e territorio. Con il paradosso che più territori si sono conquistati, più se ne vogliono conquistare e dominare in modo incontrastato.

Chi si sente maggiormente attaccato è, per assurdo, proprio chi si è appropriato, con tutti i mezzi, del nostro bene comune e lo ritiene ormai di sua proprietà. Le ronde pre-estive richieste e organizzate dai negozianti del quartiere Venezia a Milano ne sono un chiaro esempio. I commercianti, ormai convinti di aver il totale controllo del territorio, ritenendolo un loro esclusivo dominio , non accettano che venga occupato da nessuno che non sia da loro ben accetto e che, cosa ancora più importante, non porti loro dei vantaggi.

Non è una questione di ordine, pulizia, igiene come ci vorrebbero far credere. Questi aspetti, sicuramente importanti, sono utilizzati strumentalmente per  fomentare gli animi e a convincere i cittadini a supportarli nel controllo esclusivo del  territorio, perché basta frequentare alla mattina un quartiere con dei locali di ritrovo serale, per rendersi conto del disinteresse che viene dimostrato per la manutenzione e il decoro dello spazio pubblico. Non dobbiamo inventarci nuove leggi, ordinanze, delibere. Il senso di appartenenza e difesa dei beni comuni passa dal rispetto delle regole che ci siamo dati. Perché queste sono il primo bene comune che abbiamo.

 

Andrea Bonessa

 

 

 



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