18 giugno 2014

BLACKROCK A MILANO (non è un nuovo cocktail)


Standard &Poor’s, ha confermato il rating negativo sull’Italia, probabilmente pesano “conflitti d’interresse” e comodo scetticismo sulla situazione politica. Però, alcuni giorni fa a Milano c’è stata un’importante riunione, a cui molti non hanno prestato la necessaria attenzione, se non nelle pagine specialistiche di economia, mentre è una di quelle notizie che dovrebbero essere evidenziate per il forte segnale positivo, tenendo presente che si è svolta prima dei risultati delle elezioni europee.

11cingolani23FBIl vertice di BlackRock, la più grande società di investimento nel mondo che gestisce un patrimonio totale di 4320 miliardi di dollari, il primo gestore indipendente quotato alla Borsa di New York in termini di masse gestite. Leader in America e presente nella piazza finanziaria di Milano con una di gamma di prodotti quotati sull’indice ETF Plus della Borsa Italiana, si è ritrovato per tre giorni a Milano. BlackRock è tra le società di investimento un’istituzione di grande influenza a Wall Street e a Washington. Nel 1992 Laurence D. Fink, Ralph Schlosstein e Keith Anderson fondarono BlackRock, come società di risparmio gestito.

È leader nell’offerta di servizi di consulenza all’investimento, nella gestione del risparmio, nella gestione del rischio, servizi che offre a clienti sia istituzionali sia privati distribuiti in oltre 60 Paesi al mondo. La Società offre soluzioni di gestione del rischio e piattaforme d’investimento ad un’ampia rosa di clienti istituzionali, detentori di un patrimonio complessivo di oltre 7.000 miliardi di dollari. Con sede principale a New York e oltre 40 uffici dislocati in 22 Paesi, BlackRock vanta un’importante presenza nei principali mercati finanziari quali Europa, Stati Uniti, Asia, Australia e Medio Oriente.

Al vertice di Milano, ha sottolineato come stia risalendo la fiducia degli italiani, soprattutto grazie alla discontinuità a livello politico, che non potrà che essere utile alla crescita del Paese. Il cambiamento è visto in maniera positiva dopo anni di immobilità. Sono lontani gli anni in cui D’Alema doveva andare ad accreditarsi alla City di Londra, ora sono i fondi americani più importanti che vengono in Italia e chiedono “udienza” a Renzi, non è cosa da poco.

L’interesse per l’Italia del fondo è sottolineato dal fatto che detiene il 5% di Intesa Sanpaolo, il 7% Unicredit, il 3% del Banco Popolare, mentre ha ridotto la quota in MPS al 3%; inoltre ha quote importanti in Telecom Italia (4,8%) e Azimut (6,80%), in passato era presente in Generali, Bpm, Ubi, Mediaset, Fiat industrial.

Questa forte presenza nell’azionariato delle banche è un elemento più che positivo, infatti oltre a rafforzare in generale il sistema bancario, in crisi di credibilità per le difficoltà di accesso al credito per famiglie e imprese, limita il peso delle fondazioni bancarie all’interno delle quali la politica, PD compreso, ha provocato spesso danni. L’economia reale per ripartire ha bisogno di un accesso a fonti di finanziamento da parte di famiglie e PMI, settore imprenditoriale che incide per 71% sulla formazione del PIL. Secondo un’indagine Ipsos sulla percezione della crisi, piccole e medie imprese subiscono i maggiori effetti del credit crunch, con un calo dal 31% al 17% nella propensione a chiedere finanziamenti nei prossimi 12 mesi. Senza credito alle imprese non si fa innovazione, senza credito alle famiglie non si vendono né case né elettrodomestici a rate.

A quanto sembra i soggetti economici e la fiducia degli italiani si stanno muovendo, infatti sta raggiungendo i livelli del 2000, tocca alla politica nazionale e locale in particolare Milano, indirizzare questo sviluppo. Il rischio che si corre è quello di una crescita che aumenti le disparità sociali, senza occupazione, in particolare giovanile, come i dati sulla situazione in Europa evidenziano.

Vorrei poi ricordare che Standard&Poor’s aveva dichiarato affidabili Parmalat, Enron e Lehman Brothers, senza parlare delle inchieste di insider trading in Italia e negli Stati Uniti.

Massimo Cingolani



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