11 giugno 2014

A UN ANNO DA EXPO, LASCIATECI SOGNARE


In molti ricorderanno il 31 marzo del 2008 quando gli stati membri del BIE scelsero Milano come sede dell’Esposizione Universale del 2015. Il turbine degli eventi e l’incessante scorrere del tempo che in modo sempre più accelerato governa il flusso della storia fa apparire quella data assai lontana. Per certi aspetti lo è, se si pensa, ad esempio, che il Presidente del Consiglio era Romano Prodi, il Sindaco di Milano Letizia Moratti e la banca americana Lehman Brothers non era ancora fallita aprendo, di fatto, una cupa crisi economica ancora persistente.

02liva22FBQuel giorno Milano vincendo la sfida con Smirne si proiettava in una corsa verso una data bene precisa (primo maggio del 2015) ed una sfida altamente stimolante (l’organizzazione di Expo). Oggi la città è a meno di un anno da Expo e l’evento, subito dopo i festeggiamenti di piazza Gae Aulenti dello scorso 30 aprile, è stato squassato dagli scandali. Questo settimanale, sin dal 2009 (cfr. Emilio Battisti del 26 marzo 2009), invitava a vigilare e denunciava delle mancanze di trasparenza.

Non si può tornare indietro, ma è possibile chiedersi, ora, con che spirito guardare al futuro. La scadenza che (allora) appariva quasi come un miraggio è a un passo. La sfida, ancor più ardua dopo gli arresti di inizio maggio, diviene quella di creare il sentimento che ancora manca, il coinvolgimento collettivo che è spesso cruciale per la buona riuscita dei grandi appuntamenti.

Milano infatti non può permettersi di subire fatalisticamente l’evento. Non può limitarsi a viverne la quotidianità, accettarne passivamente il protocollo (ammesso che ci sia) senza immetterci una forza propulsiva propria. Ancora una volta il Sindaco Pisapia ha ricordato che la nostra città «o è motore della nuova ripresa per tutta l’Italia o fallisce il suo ruolo di propulsore della crescita economica e di avanguardia culturale e intellettuale».

Su Expo si possono avere diverse opinioni, anche critiche, ma nessuno si può sottrarre alla sfida e sfilarsi in disparte, magari tifando sottovoce per l’insuccesso e augurandosi una nuova ondata di scandali. Certo, ciò non significa accettare passivamente la retorica dell’evento e rimuovere quanto successo, ma allo stesso tempo vuol dire rendersi conto che Expo non è altro da noi, dalla quotidianità dei milanesi e dei “fruitori” della città, dalla vita reale. Dovrà essere un unico disegno in cui tutti possano dire la propria.

Expo, infatti, significa, ancora, anche dopo gli scandali, posti di lavoro, opportunità di crescita, capacità di reinventarsi, occasione per sfidare la pigrizia culturale. Il successo si misurerà sul grado di coinvolgimento che ciascun milanese riuscirà ad avere, su quanto saremo in grado di farci contagiare, mostrando al mondo la faccia migliore di Milano.

Non siamo ai blocchi di partenza, già qualcosa si muove. Un recente sondaggio effettuato da Voices from the blogs, società spin off dell’Università Statale che si occupa di analizzare il sentimento della rete ha rivelato che il 66,8% dei cittadini italiani guarda con favore alle ricadute dell’Esposizione universale di Milano. Crescono e si sviluppano i Tavoli Tematici per Expo 2015, istituiti dalla Camera di Commercio per coinvolgere il sistema economico-imprenditoriale, dallo scorso ottobre è sorta Explora, società partecipata dalle istituzioni per facilitare il collegamento tra i partecipanti ad Expo ed i cittadini. Di poco prima di Pasqua è la notizia che nei sei mesi dell’esposizione nascerà il Refettorio Ambrosiano, promosso dalla Caritas e dalla società Expo2015 dove chef di tutto il mondo prepareranno pietanze da distribuire ai bisognosi partendo dalle eccedenze raccolte nel sito dell’esposizione.

Se da un lato anche Milano non è certo estranea ai fenomeni di disgregazione delle metropoli moderne che talvolta generano degli agglomerati urbani piuttosto che vere e proprie città, al contrario davanti a determinati avvenimenti è sempre riuscita a trovare unità. Parafrasando Theodore White, il grande cronista delle presidenziali americane che si chiese se, infondo, l’America fosse «un luogo oppure una nazione», anche noi in questa circostanza dovremmo interrogarci per capire se Milano sia un luogo o una città, restando inteso che si è città solo se in grado di fare sistema, di ricavare una identità comune a tutti, di essere posto ove ciascuno di noi abita in nome di ragioni diverse ma che poi si riuniscono come nei più complessi puzzle.

Scriveva proprio il Cardinale Martini, in una lettera del 1991 come «la città, quando viene sollecitata nella sua forza morale, si sente capace di esprimere un giudizio, una reazione, e di abbozzare un progetto». E sempre il Cardinale Martini, nel suo discorso di Sant’Ambrogio del 1996 dal titolo emblematico Alla fine del millennio lasciateci sognare, concludeva con un augurio: «il nostro sogno non sarà allora evasione irresponsabile né fuga dalle fatiche quotidiane, ma aperture di orizzonti, luogo di nuova creatività, fonte di accoglienza e di dialogo». Expo è troppo importante per essere relegata alle cronache giudiziarie, che pure sono doverose. Le indagini faranno il loro corso, le responsabilità, si spera, saranno accertati. I milanesi, però, hanno il diritto di continuare a poter vivere Expo come un’irripetibile chance per realizzare quel sogno di fine millennio.

 

Martino Liva



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