4 giugno 2014

CYBERBULLISMO UN “GIOCO” PERICOLOSO


Quali le dinamiche attraverso cui si sviluppa il cyberbullismo? Quale il profilo di “vittime” e “bulli”? Quali gli ostacoli ad un’immediata emersione dei casi critici? Quale il ruolo della famiglia e della scuola di fronte al fenomeno? Si è parlato di questi temi a Milano, sabato 17 maggio, in un incontro-tavola rotonda Cyberbullismo un “gioco” pericoloso, organizzato dall’Associazione Laboratorio Adolescenza e dal Consiglio di Zona 5 del Comune di Milano.

04tucci21FBSono tanti, troppi, gli eventi drammatici che hanno coinvolto, negli ultimi mesi, degli adolescenti e che avevano sullo sfondo, come comune denominatore, episodi di cyberbullismo sviluppatisi all’interno dei social network. E sappiamo bene che dietro ogni evento drammatico che arriva alla ribalta della cronaca ci sono purtroppo decine, centinaia, di casi che, seppure non hanno esiti fatali, compromettono gravemente la serenità di tantissimi adolescenti.

Il bullismo adolescenziale non è un’invenzione recente. C’è sempre stato e tutt’ora non è affatto scomparso, ma si differenzia profondamente da questa nuova versione “online” che, seppure può apparire più blanda perché non implica un “contatto fisico”, è in realtà molto più insidiosa e pervasiva.

Il bullismo “tradizionale” agiva in contesti circoscritti e non interconnessi; implicava un physique du rôle che inevitabilmente scremava a monte il numero dei potenziali bulli; consentiva una difesa più efficace e comunque, una volta cessato, lasciava raramente strascichi. Il bullismo attraverso il web è virale (spesso ci si aggrega per gioco senza nemmeno conoscere la vittima); raggiunge l’intera sfera di relazioni della vittima; mette tutti nelle condizioni di poter essere bulli; lascia segni incancellabili.

E la semplificazione: “cancellati da tutti i social network, non è obbligatorio esserci, anzi” è una “soluzione da adulti” che non hanno la minima idea di cosa significhi essere adolescenti oggi. Oggi la “socialità in rete” è il contesto in cui gli adolescenti trascorrono la maggior parte del loro tempo; è il cordone ombelicale che li tiene legati anche con coloro con i quali condividono una socialità “reale” (compagni di scuola, amici …). Uscire dalla rete,oggi, è l’equivalente del tagliare i fili del telefono e chiudersi in casa dei nostri tempi.

E allora? Che strumenti abbiamo per difenderli? Quando abbiamo lasciato che i nostri figli iniziassero a uscire di casa da soli, non abbiamo preteso che andassero solo in aree teoricamente protette (scuola, oratorio, casa di amici …) o che percorressero solo percorsi pedonalizzati (per evitare le automobili), ma abbiamo spiegato loro i rischi che potevano correre e come fare, in ciascun contesto, per ridurli al minimo: dal non accettare caramelle da uno sconosciuto al guardare a destra e sinistra prima di attraversare la strada. Dovremmo fare la stessa cosa anche per spiegare loro quali sono i rischi a cui la nuova socialità del web espone; quali sono i comportamenti prudenti da adottare e quelli imprudenti da evitare.

Il problema, che rende difficile passare dal condizionale all’indicativo, è che la maggior parte dei genitori non ha la minima idea di come si sviluppa la socialità nel web, che è cosa ben diversa dal saper utilizzare il computer e navigare in Internet. Oggi il genitore che ha “l’amicizia” del proprio figlio o della propria figlia su Facebook (e quindi può visitarne il “profilo”) è candidamente convinto di avere sotto controllo la situazione (e magari si compiace di condividere “post” e “mi piace” con una pletora di adolescenti “amici” dei figli), mentre questi vivono la loro socialità “vera” in contesti sempre nuovi e sempre più spregiudicati: da ASK a Chat Roulette a Snap Chat, ai tanti altri “social” che spuntano con la velocità dei nuovi modelli di smartphone.

Ma c’è di più: non conoscere le modalità e le “regole” che strutturano la socialità creata dagli adolescenti in questo mondo di social network, dei quali sono padroni assoluti, rende difficilissimo poter intervenire in modo adeguato nel momento in cui un adolescente non riesce più a controllare il “gioco pericoloso” al quale si è volontariamente esposto e dallo “scherzo” si passa al disagio, alla paura, al gesto estremo. Perché un adolescente non ha il coraggio – e questo ce lo hanno confermato proprio loro nei tanti gruppi di lavoro sul cyberbullismo che Laboratorio Adolescenza ha realizzato quest’anno nelle scuole – di raccontare ai genitori qualcosa che svelerebbe inevitabilmente un “sé altro” da quello che mamma e papà immaginano.

La strada che dobbiamo percorrere (e nel plurale c’è la famiglia, la scuola e tutte le professionalità che sono a contatto con l’adolescenza) è quella di arrivare ad avere un’adeguata conoscenza dei “funzionamento sociale” del mondo della rete. Solo così potremo essere in grado da un lato di indicare ai nostri figli un’etica comportamentale anche in quello “spazio”, dall’altro di apparire ai loro occhi un punto di riferimento affidabile in caso di necessità.

 

Maurizio Tucci

Presidente Laboratorio Adolescenza



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