27 maggio 2014

RISULTATI ELETTORALI: PD LOMBARDO TUTTO DA VERIFICARE


Dopo questi risultati elettorali la politica italiana e quella lombarda cambia significativamente, non sarà un 1948 ma certamente è un 1953, vediamoli sommariamente.

1) il PD in regione ha il miglior risultato di sempre in termini percentuali. Più in generale il centro sinistra non vedeva questi numeri dai tempi di Prodi e dell’Ulivo.

07marossi20FB2) il PD in Lombardia, sfonda sia in termini percentuali rispetto alle politiche di un anno fa ma anche in valori assoluti da 1.466.000 a 1.971.000. Sfondamento che è diffuso su tutto il territorio: 44% a Como, 46,5% a Brescia, 43,8% a Bergamo, (ma anche 53% a Roncobello in Val Brembana), 42% a Pavia, 52% Mantova. È un dato abbastanza uniforme e impensabile poco tempo fa, come il 42% di Varese che solo un anno fa alle regionali era un 25%, e che determina una serie di successi nelle elezioni amministrative. È il ritorno al voto progressista del popolo delle partite Iva, degli artigiani, dei “vessati dalle tasse”?

3) scompaiono le formazioni minori potenziali alleati del centro sinistra: Montiani et similia, Di pietristi, Verdi e scompaiono proprio nelle elezioni nelle quali da sempre, per la loro caratteristica di “mega sondaggio”, erano avvantaggiati. La vocazione maggioritaria di Veltroni si realizza proprio grazie al fatto che non c’è più Veltroni e il gruppo dirigente ex Pci. È un fatto positivo sopratutto se la prossima legge elettorale nazionale non sarà basata sulle coalizioni.

4) Berlusconi è quasi al suo minimo storico e anche sommando tutti i frammenti, la vecchia coalizione di centrodestra è sotto il solo PD. Parte ancora però da un 35/38%, patrimonio importante per un futuro leader del centro destra. Il centro destra ha perso quell’elettorato d’opinione laico, liberale e progressista che votava PDL perché irriducibile agli ex comunisti e che era già parzialmente migrato verso i montiani. Il 16,9% di FI peraltro non è lontano dal 16,7% del PDL alle regionali. Gli alfaniani nonostante il presumibile appoggio ciellino a Lupi e le candidature di vari big o presunti tali non sembrano essere un interlocutore localmente significativo.

5) la sinistra (Tsipras) con 171.000 voti in Lombardia, prende più voti in valore assoluto e percentuale che Sel alle politiche e Sel più Etico alle regionali. Non è affatto un risultato negativo e consente al PD di avere un possibile interlocutore nel caso di elezioni per coalizione, come sono ad esempio quelle regionali.

6) il Movimento 5 stelle mantiene in valore assoluto i voti che aveva preso alle regionali, se non fosse stato per il sondaggismo taroccato che ci allieta (D’Alema l’aveva detto che quei numeri ipotetici aiutavano la speculazione finanziaria) oggi potrebbe considerarsi quasi soddisfatto e resta un soggetto imprescindibile per i futuri equilibri. Non credo che vada ripetuto l’errore a suo tempo commesso con la Lega della quale si diceva “è un voto momentaneo di protesta” mentre oggi è il partito più vecchio rappresentato in parlamento. La battaglia tra Renzi e Grillo non è affatto finita.

7) la Lega con 714.000 voti recupera rispetto alle regionali (ma perde se si considerano voti leghisti tutti quelli andati alla lista Maroni) ed è stabile rispetto alle politiche. Un risultato abbastanza sorprendente che evidenzia come il voto antieuropa ha una sua base solida.

8) A Milano il PD guadagna circa 50.000 elettori rispetto alle politiche e 90.000 rispetto alle regionali. La coalizione Pisapia è ampiamente maggioritaria. Inutile stare a disquisire se questo significa che il PD milanese può alzare la voce nei confronti della giunta. Il voto al PD non è un voto di appartenenza perché il PD non è un partito ma un rassemblement, una coalizione che legittima il proprio gruppo dirigente attraverso le primarie e (laddove ci sono) le preferenze e quindi l’elettore di oggi potrebbe domani optare per liste civiche o liste del candidato. La fiducia data per le europee non significa cambiale in bianco per le amministrative. Il dato unificante di questo elettorato è Renzi, non il simbolo di partito né quello italiano né quello socialdemocratico europeo. Mettiamola così: a Milano con Pisapia si è realizzata quell’alleanza di sinistra e sinistra riformista che non si realizzava dai tempi di Tognoli, con queste elezioni questa alleanza si è allargata al centro. In città la trasmigrazione dell’elettorato moderato verso il PD è evidente nei risultati del NCD che pure candidava l’ex sindaco Albertini e il presidente della provincia Podestà che prende un bel 1390 preferenze con le quali avrebbe fatto fatica a entrare in consiglio comunale.

9) l’affluenza alle urne è stata inferiore di 10 punti rispetto alle regionali dello scorso anno (con le politiche) ma superiore a quella delle regionali precedenti, si tratta quindi di dati sui quali si possono fare ragionamenti fondati anche per le prossime tornate.

Poiché non credo minimamente all’analisi dei flussi, in genere fatte con le stesse metodologie dei sondaggi e quindi non si capisce perché dovrebbero essere più attendibili, avanzo alcune ipotesi delle motivazioni di questo successo.

1) proprio perché il PD milanese e lombardo non ha leadership forti il messaggio renziano arriva senza mediazioni o intermediazioni, come invece avviene in altre regioni specie al sud. Qui non ci sono ingombranti sindaci o presidenti di regione e non ci sono nemmeno le feroci divisioni che ci sono altrove. Che sia un voto per Renzi innanzitutto e poi un voto per il PD lo evidenziano le elezioni amministrative. A Bergamo i 27.242 voti delle europee diventano 28.281 alla coalizione comunale ma il PD passa dal 43,8% al 23,55%; a Cremona dal 43,1% al 29,44%; a Pavia dal 42% al 30% con un tracollo anche in valori assoluti per la coalizione di centro sinistra. Le liste civiche sono in questa elezioni una componente significativa del successo europeo del PD ma sono tutt’altro che morte alle amministrative.

2) la paura del grillismo o meglio la paura dell’avventura che pervade il popolo dei Bot è cresciuta contemporaneamente ai numeri dei sondaggi e il renzismo è parso il più efficace argine, perché si è presentato come il partito di governo e il partito europeista. Non è vero che non si è parlato di Europa se ne è parlato e l’elettorato europeista ha scelta il PD. Quando un partito di governo vince le elezioni è perché da sicurezza, in questo non è errato paragonare il PD di Renzi alla DC.

3) la rottamazione del vecchio gruppo dirigente ha consentito di rimuovere quel grumo di paura e più ancora risentimento che caratterizzava un elettorato già liberale, socialista e che gli impediva di votare il PD bersaniano. Siamo di fronte a una riconciliazione che mancava da decenni.

4) il renzismo avvia la creazione di quello che un tempo si sarebbe chiamato un nuovo blocco sociale, quello che vanamente avevano cercati altri leader e lo fa cancellando pezzi importanti della storia dei fondatori del PD. Sono convinto che la rottura con la CGIL sia stato il segnale più rassicurante per quel mondo di partite Iva, artigiani, che vedono il sindacato come il difensore del parastato, del totem del mansionario, della sacralità del diritto acquisito.

Paradossalmente a me il risultato elettorale lascia un po’ di amaro in bocca perché questi numeri si realizzano in un elezione che tutto sommato conta poco. Peccato che accecati dal sondaggismo de noantri (che non ne azzecca una manco per caso; son più sensate le quartine di Nostradamus e fanno meno danni) abbiano abolito il Porcellum con il quale avremmo potuto votare subito alle politiche e archiviare definitivamente la seconda repubblica, non è politically correct ma sai la soddisfazione.

 

Walter Marossi

 



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