21 maggio 2014

QUARTIERE ADRIANO. QUANDO UN PARCO FA “SPUNTARE” IL QUARTIERE


Ritorno al quartiere Adriano. E come in quelle app 3D dove, dato uno spazio vuoto, lo si riempie via via di strade, case, alberi e persone fino a costruire un ambiente che somiglia sempre più a una città; così, intorno ai palazzi dell’ex area Marelli, quanto mai “cattedrali nel deserto”, il vuoto si è riempito del verde di un grande parco. Davvero bello, sorprende al primo sguardo chi da un po’ non passava da quelle parti e può quindi cogliere a pieno un’impressione di necessario, indispensabile completamento. L’inaugurazione ufficiale del Parco Adriano si è svolta sabato pomeriggio con la partecipazione della vicesindaco De Cesaris.

06poli19FBLa prima considerazione, guardando da lontano l’oasi tra via Gassman, via Tremelloni e via Tognazzi, e attraversandola poi in lungo e in largo, è che quello che non è riuscito a fare il progetto architettonico riesca invece a ottenerlo proprio il verde: dare coesione a un agglomerato di case privo di un denominatore comune dove, fino a qualche mese fa, i palazzi spuntavano dalla terra nel mezzo di un cantiere infinito. Non che non ci siano più montagne di terra da livellare e buchi da riempire, nei dintorni; ma la loro estensione si è ridotta, rendendoli sempre più marginali. Ora ci sono i 50.000 mq del parco, a coprire gli “abissi” tra un edificio e l’altro con vialetti, prati, alberi, panchine, giochi per i bambini e anche un’area cani; adesso sembra proprio che stia nascendo un quartiere.

Era ora, dirà qualcuno. Oppure: in fondo così era previsto da sempre, perché sorprendersi; o, ancora non basta. Eppure, chi ha osservato l’evoluzione della zona negli ultimi tre anni, confrontando il prima e il dopo finisce per non dare così per scontato questo seppur parziale risultato e per mettere un attimo da parte lo spirito critico. Quando leggi sui libri come dovrebbe essere fatta una città e come si possono riqualificate le periferie, quando senti teorizzare sull’importanza del verde nella costruzione e nella trasformazione dei luoghi: ecco, in un caso come questo ti rendi conto che non è un modo di dire, e che un parco non è un elemento accessorio, ma determinante del cambiamento. Non che al quartiere Adriano abbia risolto le criticità e che la strada non sia ancora lunga, eppure la sensazione degli abitanti – e anche dei visitatori – è che il passo più grande sia stato fatto: il passaggio dal nulla al qualcosa. Qualcosa che si può migliorare, ma comunque un embrione di luogo.

Guardandosi intorno viene da immaginare se tra dieci-quindici anni, cresciute le piante e gli alberi e realizzati i chioschi, quest’area somiglierà un po’ alla montagnetta di San Siro (qui c’è solo qualche accenno di collinetta, a rendere meno piatto l’effetto d’insieme), o forse al più vicino Parco Nord; o si costruirà invece un’identità diversa per fattori inaspettati, insieme all’abitato che la circonda. Per il momento, restando al presente, la tentazione è quella di affermare che gli architetti che progettano i parchi nelle periferie urbane sembrano essere più “bravi” di quelli che vi costruiscono le case. Non fosse altro, perché hanno un compito più difficile, di riparare agli errori degli altri e di contribuire a dare un senso a qualcosa che ormai comunque c’è: usando un ossimoro, si potrebbe dire che qui è il parco a “cementare” il quartiere, nel senso di incominciare a tenerlo insieme.

Il parco contribuirà a fare vendere gli appartamenti tuttora vuoti? Non è detto, però è indubbio che rappresenta un’attrattiva e aggiunge valore, facendo non dimenticare, ma apparire un po’ meno grave quanto ancora non funziona. Ci si chiede però, una volta che anche gli altri bisogni primari del quartiere in un futuro si spera non lontano saranno soddisfatti – dai negozi, ai trasporti e alle scuole – che cosa si potrà fare allora per ribaltare (qui come altrove) l’idea stessa di periferia e convincere la gente ad andarci, a considerare questi luoghi attrattivi? Eventi, iniziative, manifestazioni: questa la risposta scontata che si dà di solito, senza sottolineare che, per quanto si possa fare e inventare, proprio e sempre dalla gente stessa dipende, in ultimo, il successo di un tentativo. Fino a prova contraria, il sabato e la domenica pomeriggio i più – chi abita in periferia e chi in centro – vogliono andare a fare shopping in corso Vittorio Emanuele; e che cosa c’è di male? Questo non succede soltanto a Milano, ma in tante altre città, europee e non solo. Senza retorica, occorre tenere conto di questo aspetto e, anziché cercare mille modi per trasformare le periferie in quel centro che non saranno mai, lavorare per farle diventare qualcosa di sostanzialmente diverso ma altrettanto invogliante. E le possibilità offerte dai grandi spazi verdi ben curati e preservati dal degrado sono una risposta, una reale alternativa.

Ma parliamo del ruolo, fondamentale, che l’Amministrazione ha avuto nella realizzazione del Parco Adriano. Mesi fa avevo scritto su queste pagine, ponendo dei dubbi sui percorsi partecipativi e sui progetti partecipati in relazione all’evoluzione di questa zona di Milano. Non che oggi abbia risolto tali dubbi ma ho cambiato, almeno in questo caso, il punto di osservazione. Perché l’esempio del parco Adriano mi ha fatto pensare che qualche volta le cose possono essere semplici. Non intendo semplici da realizzare. Semplici in questo senso: quando esiste una priorità riconosciuta da tutti, amministrazione e cittadini, occorre soltanto trovare i mezzi per realizzarla e questo prescinde, va al di là di dibattiti, confronti, tavoli, magari al di là della partecipazione stessa. Pur necessari, utili e costruttivi, questi strumenti decisionali o consultivi in determinate fasi si scontrano, a un certo punto, con questa semplice questione: come arrivare al risultato, come passare dal progettare un parco al poterci camminare?

Se il punto di arrivo è chiaro, anche se indubbiamente ci possono essere visioni differenti e mille proposte, ciò che conta è il passaggio dalla teoria alla pratica, dalle parole ai fatti. Il parco Adriano era, è, un progetto irrimandabile e prioritario per la zona e la città, e come tale è stato affrontato, dai cittadini e dall’amministrazione stessa. Le idee su come portarlo a termine potevano essere infinite, ma, restringendo alla pratica occorrevano elementi ben precisi: il lavoro di professionisti che tenessero conto dello stato di cose, delle difficoltà, dei costi; l’inserimento nel piano dei minimi servizi per gli utenti (i cittadini), e anche qui c’è molto poco da inventare; e infine soldi e risorse, e un’amministrazione che prendesse la decisione di destinarli a uno scopo piuttosto che a un altro, dal momento che per tutto non possono bastare, si sa.

Nessuno intende sminuire i processi partecipativi, soprattutto nel loro obiettivo primario di indirizzare l’attenzione su situazioni e mancanze che, meno appariscenti e note, rischierebbero altrimenti di non essere conosciute o prese in considerazione. Ciò non significa però che la partecipazione si debba per forza esprimere nella proposta o nel dissenso; può anche passare invece attraverso una forma differente, quella della responsabilizzazione, come ha ricordato lo stesso Sindaco in un incontro pubblico qualche sera fa. Ciò che accadrà nel prossimo futuro al parco Adriano – o agli altri parchi inaugurati nell’ultimo anno – dipenderà, appunto, da quanto i cittadini si sentiranno coinvolti, da quanto vivranno come proprio, e “da difendere”, un progetto che non necessariamente devono avere contribuito a realizzare. Convinzione profonda che è cambiata, sulla partecipazione, o resa? Maturità raggiunta su quello che si può chiedere /ottenere o ritorno a una visione dell’amministrare la città più tradizionale, ante-partecipazione? Questo il dilemma. Forse entrambe le cose, mescolate a un po’ di pragmatismo derivante dall’impatto, ormai assorbito, con la realtà.

 

Eleonora Poli



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