9 aprile 2014

INFRASTRUTTURE LOMBARDE: LA CORRUZIONE È UNA MACCHIA D’OLIO


Basta leggere la ricostruzione dei fatti in base alla quale il magistrato inquirente ha rinviato a giudizio l’ingegner Rognoni per scrivere il de profundis della legislazione in materia di appalto pubblico. Non solo ma il de profundis della burocrazia statale, provinciale e comunale che in questo ridondante e inutile apparato legislativo, potendo scegliere tra le diverse procedure da seguire nella cosiddetta “scelta del contraente”, ha pervicacemente scelto quella che offre le maggiori occasioni di manipolazione e, vedi caso, anche la meno onerosa per la burocrazia stessa.

editoriale14FBDobbiamo dirlo con chiarezza per sempre: tutta la legislazione e la normativa, anche quella urbanistica, che presiede all’attività delle cosiddette modificazioni territoriali (leggi sugli appalti, PGT in tutte le sue declinazioni regionali, provinciali e comunali, regolamenti edilizi) sono strumenti a tutela della burocrazia che nulla o quasi hanno a che vedere con un ben regolato meccanismo di accompagnamento alla crescita e alla trasformazione.

Si ha la certezza che nessuno degli estensori di queste leggi e regolamenti abbia mai avuto il ben che minimo contatto con la realtà e quando l’ha avuto questo è stato filtrato da gruppi d’interesse più o meno palesi, interessati a dipingere uno scenario congruente con le loro aspettative. Del bene comune nemmeno la traccia ma solo l’inarrestabile macchia d’olio della corruzione che copre tutto come l’olio sull’acqua. Delle vicende di Infrastrutture Lombarde nello specifico non ne voglio parlare: alla magistratura il suo mestiere: è il caso in generale che m’interessa.

Che le cose potessero finire così per Expo era una facile previsione e si è avverata: suscitano il sorriso le affermazioni prefettizie di grande attenzione e rigore nei controlli. Per controllare bisogna conoscere a menadito le filiere della produzione edilizia. Quando il tempo stringe e per ignavia lo si è lasciato scorrere dediti alla spartizione della torta, i controlli sono tardivi e soprattutto persino i tribunali amministrativi regionali, tanto solerti nel bloccare delibere comunali opportune per il bene dei cittadini, di fronte alle scadenze che metterebbero in discussione la credibilità di un intero Paese, sembrano presi da grande prudenza. Persino nel contrasto alla malavita organizzata sembra vi sia quasi il timore che un tempestivo scoperchiare di pentoloni maleodoranti possa compromettere il felice approdo della nave Expo.

Ma tornando al nostro caso di studio: se il magistrato inquirente dovesse veder confermate le sue ragioni e si giungesse alla condanna di chi gestisce il pubblico denaro, che ne sarà di chi ne ha tratto vantaggio? Queste aziende ne usciranno con le ossa rotte? L’associazione di categoria si costituirà parte civile in nome dei suoi associati a difesa della libera concorrenza? Un sogno? Sì! Accontentiamoci di meno. Insomma bisogna rimettere una volta per tutte in chiaro cosa ne vogliamo fare dei reati di corruzione e di concussione, lasciando da parte le sottigliezze giuridiche ma dando spazio al buon senso, tanto per cominciare.

Ma anche qualcosa di più. Mettiamo mano alla legislazione sull’appalto di opere pubbliche lasciando fuori per il momento tutti gli orpelli in materia di libera concorrenza “formale” per badare di più alla difesa dalla corruzione che della libera concorrenza è il principale nemico, avendo ben chiaro anche che la concorrenza è l’unico stimolo al progresso tecnologico. Quest’operazione di riforma della legislazione in materia di appalti va fatta in fretta, non solo perché finalmente i tempi della politica stanno subendo una forte accelerazione, ma anche e soprattutto per far pulizia. Nell’attesa, a livello locale, perché non cominciare a scegliere, tra le forme di appalto previste dalla legislazione vigente, le meno spudoratamente favorevoli al malaffare?

Luca Beltrami Gadola



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