19 febbraio 2014

RENZI, TRA POLITICA E AMORALITÀ


Sulle vicende del turn around Letta – Renzi potremmo sprecare litri di inchiostro virtuale, ma sarebbero appunto “litri” sprecati, talmente evidenti sono state le capriole e le contorsioni tra fatti e parole, tale la contraddizione tra etica professata e amoralità praticata.

08ucciero07FBIl fatto però è che i giochi son fatti: chi è stato ingenuo ripenserà attentamente alla sua naiverie, e chi è stato machiavellico avrà un problema di fiducia. Più che sull’etica, può allora avere senso qualche considerazione sui fatti e sui loro effetti futuri.

Un primo fatto è che il segretario del PD, plebiscitato con quasi il 70% dei voti, ha sfiduciato motu proprio il Presidente del Consiglio, anch’egli uomo di punta del PD. Poteva farlo? Intanto l’ha fatto e direi che come Segretario del PD, in pura linea di principio, aveva tutto il diritto di farlo, aldilà di come l’ha fatto. E non solo aveva il diritto di farlo, si potrebbe anche dire che avesse il dovere di intervenire se era convinto non solo dell’inutilità ma addirittura della dannosità del Governo Letta. Naturalmente questa convinzione presuppone forti e precisi elementi di giudizio.

Se si sfiducia il primo Presidente del Consiglio del Partito Democratico, cosa che è evidentemente un’enormità in sé, dobbiamo credere che ricorressero elementi di giudizio di estrema gravità politica. Quali? Inadeguatezza personale o incapacità di innovare il quadro politico? Filosofia del “cacciavite” o eccessiva debolezza di fronte alle assise UE?

Nella famosa Direzione del 13 febbraio, tuttavia non sono stati mossi addebiti specifici, ma come dire, singolarmente si è ringraziato Letta del suo lavoro, collocandolo istantaneamente però a riposo in quella condizione di “risorsa” a disposizione del Partito e del Paese che è propria di chi per almeno un turno deve lasciare fare ad altri. Certo, dall’8 dicembre non era passato giorno senza che Renzi demolisse immagine e credibilità del governo, dei suoi atti o misfatti, e con questi il profilo del Presidente Letta, al punto che era apparso chiaro a tutti, amici e avversari, che il PD non riconosceva più quel Governo come sostanzialmente proprio, ma piuttosto come “figlio di un dio minore”.

Valgano allora parole, espressioni e smorfie, esibite dal Segretario, e immaginiamo noi quel che lui non ha voluto dire il 13 febbraio: non solo Letta non ha governato bene, ma nella situazione italiana non si poteva più perdere un momento. Giusto o sbagliato che sia, questo è stato il giudizio, ma non basta. Per cacciare qualcuno non basta dire che non è bravo, occorre anche che vi sia qualcuno più bravo di lui, anzi di molto più bravo di lui, dal momento che il cambio di guida non coincide con un cambio di maggioranza, con un sostanziale cambio delle risorse disponibili sul campo.

Naturalmente il più bravo di tutti, c’è già, disponibile e pronto al grande “azzardo”. Ora, già il compiacersi troppo della parola stessa ha un che di estetizzante, di estremo, di marinettiano: zang tumb tumb, a morte il chiaro di luna e tutto quanto il vecchio e il lento che ostacola noi che siam giovani e pieni di vita, ma comunque in politica, come in tutte le cose della vita, l’azzardo ha senso solo se l’alternativa sono paralisi, decadenza, morte lenta, inazione e fallimento quasi certo. Se come Segretario del PD, Renzi ritiene che solo con questo azzardo l’Italia possa essere riavviata e il PD possa realizzare la sua missione politica, allora non solo può, ma deve.

Naturalmente, assumendosene piena responsabilità di fronte al PD e al Paese, essendogli ben chiaro che la mossa è stata dirompente e che il fallimento non è neppure previsto. Non si può sbagliare, infatti l’azzardo di cui si parla non è solo l’azzardo di un dirigente, ma anche quello di un grande partito e di un Paese. Quanto grande allora la responsabilità, quanto delicata la valutazione, e quanto attenta la comprensione delle forze in campo e delle premesse e delle conseguenze di ogni iniziativa! In questo, per ora, Napolitano gli è d’aiuto, in attesa di essere anch’egli derubricato a “risorsa”.

Il secondo “fatto” è il programma del Governo Renzi, di cui peraltro non si conosce nulla, se non quanto detto e scritto durante le primarie dell’8 dicembre, e già questo riga di brividi la schiena. Quali priorità, quali iniziative, quali alleati, quale mobilitazione sociale, quale atteggiamento verso le tecnocrazie comunitarie? Quale riforma del lavoro e come finanziarla? Quale politica industriale? Quali scelte tra rendita e produzione? Quale equilibrio tra patrimonio e reddito? IMU o reddito di cittadinanza? Quale rilancio per il Meridione? E quali sintesi di maggioranza compatibili con le scelte? E davvero stiamo lavorando allo scenario del governo di legislatura o siamo vittime di uno specchietto per le allodole? Barca, che si sfila come altri, dice che stiamo sfiorando l’avventura … .

Il tentativo di Renzi è davvero un grande azzardo, maturato con modalità indesiderabili, ma è in atto e in concreto dobbiamo porci ora e qui l’unica domanda che abbia senso politico compiuto: per il PD e il Paese sono meglio fallimento del tentativo renziano o il suo successo, e se e in che modo se ne possa condizionare l’azione, promuovendo con il suo successo anche contenuti e assetti politici più convincenti. Secondo un pensiero settario sarebbe invece preferibile il fallimento, ma lo scenario in cui si collocherebbe è da brividi, fino a dover temere per la stessa tenuta della democrazia.

In questo contesto, si colloca anche lo spazio politico crescente per una sinistra degna di questo nome, per quel complesso e ancora disgregato mondo di sensibilità sociali e culturali, di rappresentanza politica, di iniziativa che, a diverso titolo, cerca di ridefinire, e con grande fatica, una sua identità all’altezza del post comunismo e dei processi di globalizzazione.

Civati e Cuperlo, Pisapia ed Emiliano, Vendola e Landini, possono restare ancora per molto come atomi su rotte ellittiche o non dovrebbero cominciare a dirsi cose, a parlarsi, a rintracciare vecchie identità non per riproporle ma per ridefinirne di nuove?

Serve uno Tsipras d’Italia? A quando un nuovo Racconto?

 

Giuseppe Ucciero



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