19 febbraio 2014

IN COMUNE SULLA SEA QUALCUNO CI CAPISCE?


Lavoratori della SEA in cassa integrazione da ormai sei anni e comune di Milano che incassa dividendi: il solito capolavoro negativo. In passato il comune incassava grazie alle rendite monopolistiche, adesso si prende i dividendi per coprire i suoi buchi di bilancio. E i contribuenti onesti pagano, tramite l’Inps, il prezzo di questa partita di giro del debito pubblico, mentre la SEA continua a gestire male i due aeroporti milanesi.

10ballotta07FBDopo l’ennesima tempesta in un bicchiere d’acqua provocata dall’Amministratore delegato delle ferrovie Mauro Moretti alla Mobility Conference sarebbe quindi meglio chiarirci le idee sull’annosa questione Malpensa e Linate, sgombrare il campo dalle battute e dalle provocazioni che nascondono i dati di fatti dietro una cortina fumogena di parole inutili. Due i punti fermi per iniziare la riflessione.

1) Malpensa 2000 nonostante la spesa pubblica di 1,5 miliardi di euro ha tradito le aspettative: le previsioni di traffico del 1997 dell’Università di Cranfield contavano 33 milioni di passeggeri al 2003, le successive analisi condotte dallo studio Oldoni calcolavano ben 34 milioni di passeggeri al 2005. Entrambe si sono rivelate molto sovrastimate. Così come quelle del Comitato Malpensa 2000 che parlavano di 143mila nuovi posti di lavoro. Oggi non si toccano neppure 50mila addetti con l’indotto. Inoltre, si programmavano oltre 1 milione di tonnellate di merci trasportate al 2005, si è invece arrivati a un massimo di 486mila tonnellate nel 2006, meno della metà. Infine, lo scalo varesino deteneva nel 2000 il 74% del traffico degli scali lombardi (cioè di Linate, Brescia e Bergamo) mentre, nel 2013 ha toccato solo il 49%. Insomma anche a causa del mancato matrimonio tra KLM e Alitalia l’investimento più grande della fine del secolo scorso non ha dato i risultati sperati.

2) A causa dell’abbandono di Malpensa da parte di Alitalia del 2008, che però è riparata parzialmente a Linate, il declino dello scalo della brughiera diventa inarrestabile. Complice la crisi, il numero dei passeggeri e il ruolo di Malpensa toccano i minimi storici. 19,3 milioni nel 2011, 18,5 nel 2012 fino ai 18 milioni dell’anno appena trascorso. Sarebbe stato un tracollo se questi numeri non fossero stati salvati dall’arrivo di Easy Jet, che, sbarcata al T2, alla vecchia Malpensa, ora gestisce il 35% del traffico complessivo dei due terminal. Dunque il vecchio T2, dove da 12 anni non si fa più un investimento strutturale, sta salvando Malpensa 2000.

I media e la politica in questi ultimi anni hanno trovato colpevoli “esterni”. Il romano-centrismo di Alitalia, il vampirismo di Lufthansa, British, Air France ecc. avvenuto a Linate con il trasferimento dei passeggeri nei loro hub, l’arrivo di Ryanair che ha fatto esplodere Bergamo, il mercato che non avrebbe compreso il valore della Malpensa fino alla carenza dei collegamenti ferroviari. C’è sempre una scusa, dalla crisi internazionale seguita all’attentato dell’11 settembre, al vulcano islandese, come se la globalizzazione non passasse mai da Milano.

C’è un punto, però di cui non si riesce a parlare, cioè del gestore dell’azienda, la SEA e della sua proprietà pubblica che la controlla, il Comune di Milano. Questi due soggetti non hanno proprio niente da rimproverarsi? Senza dover ricordare le periodiche disavventure gestionali di SEA a Malpensa; l’inaugurazione shock e i pesanti disagi subiti dai passeggeri non hanno contribuito positivamente al buon nome dello scalo. Negli ultimi anni i costi di gestione hanno segnato un’inarrestabile ascesa. Al punto che le ricche royalties e le alte tariffe derivanti dalla posizione monopolista non sono più bastate. La gestione “politica” dell’azienda è stata talmente deficitaria che per sette anni si è pensato di ripianare i disavanzi crescenti della società di handling per 360 milioni di euro. Interventi vietati dalla normativa comunitaria che si sono configurati come veri e propri aiuti di Stato. Puntuale è arrivata la maximulta UE che, con gli interessi, è ora diventata di 430 milioni.

La SEA ha occultato la grave crisi che stava attraversando grazie alle sue scelte strategiche e aziendali sbagliate. È colpevole l’assenza d’indirizzi e di controllo del suo azionista principale, il Comune di Milano. I nodi da affrontare per uscire dalla crisi con scelte di sviluppo sostenibile sia aziendali sia ambientali sono stati tenuti lontani dalle scelte aziendali. Si è continuato a puntare su politiche assistenziali, la SEA ha chiesto per il sesto anno consecutivo la cassa integrazione. Nell’area più ricca del Paese, dove si è fatto un grande investimento pubblico è possibile che si debba usare uno strumento che serve per salvataggio delle aziende decotte?

Forse non è a tutti noto che è con il risparmio del costo del lavoro, cioè grazie al contributo posto a carico dell’Inps sono stati messi in passato a bilancio utili da ascrivere invece a una partita di giro del debito pubblico. Insomma mentre SEA era abituata a girare dividendi al Comune di Milano frutto della rendita di posizione monopolista che spennava le compagnie aeree e i viaggiatori ora i dividendi per coprire i buchi comunali arrivano dall’Inps. SEA ha perseverato con politiche monopolistiche come l’acquisizione di ATA per allargare il suo perimetro aziendale nonostante la minaccia di fallimento. Quest’acquisizione ha fatto scattare un’indagine dell’Antitrust per “abuso di posizione dominante” alla fine dello scorso anno. La rocambolesca sentenza del Tar che ha salvato la controllata SEA handling dal fallimento e la successiva indagine della Procura della Repubblica sul giudice che ha firmato questa sentenza è l’ultima spia accesa sulla SEA.

Dunque quale compagnia opera volentieri sugli scali milanesi se è costretta a pagare continui aumenti tariffari per finanziare un piano d’investimenti che mette già in conto, solo per fare un esempio, un’inutile terza pista? Possibile che la bocciatura dei mercati finanziari dello sbarco in borsa dello scorso anno non abbia reso ancora più rossa la spia accesa? La conclusione può essere solo una: i motivi della crisi della SEA e di Malpensa vanno ricercati in casa nostra.

Dario Balotta

Responsabile trasporti Legambiente della Lombardia




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