12 febbraio 2014

RICOSTRUIRE IL PAESE: DIPENDE DA NOI. A DIRLA TUTTA


Nel ciclo di incontri “Ricostruire il Paese: dipende da noi”, curato da Vittorio Coda a Milano presso l’Ambrosianeum, il 5 febbraio Marco Fortis ha illustrato con efficacia i nostri punti di forza. Fondamentale è la presenza dell’industria italiana sui mercati mondiali, che nel 2012 ha realizzato un surplus di 113 miliardi di dollari, quinto dopo Cina, Germania, Giappone e Sud Corea. Per tutti gli altri paesi più importanti, dall’India che apre l’elenco agli USA che lo chiude, il saldo è negativo (-8 miliardi l’India, -610 gli USA). Fortis ha giustamente sottolineato che il 2012 è l’anno nero della crisi e che dal 2002 operiamo con una valuta forte, anzi la più forte: l’euro. Se mai ne ha avuto, la nostra industria non ha più bisogno di svalutazioni competitive che abbiamo pagato a caro prezzo. È un’ottima notizia, non solo sotto il profilo industriale. Dato che nel nuovo millennio il sostegno del cosiddetto sistema-paese all’industria è, se possibile, peggiorato, scopriamo così che le famigerate svalutazioni competitive hanno giovato agli italiani con capitali all’estero molto più che alla nostra industria. Che è industria di trasformazione e ora paga le materie prime comprate all’estero con un solido euro anziché una volubile lira. L’euro fa bene anche a tutti noi, che da oltre dieci anni non gratifichiamo più gli esportatori di capitali, a nostre spese, con le svalutazioni competitive.

08gario_06FBFortis ha precisato che nel 2012 la nostra industria è stata leader di mercato mondiale in tre settori, occupando il secondo posto in tre e il terzo e sesto posto in due. Fa meglio di noi la solita Germania, otto posizioni di testa e un secondo posto. La Cina è terza con due settori in seconda posizione, uno rispettivamente in terza, quarta e quinta, due in settima e uno in nona. UK e USA hanno ciascuno un solo settore in settima posizione, ma sono ricchi e possono vivere a credito, per ora. Insomma, la partita è tra i tedeschi e noi, come da tradizione, ma Fortis ci informa che anche loro devono talvolta cedere il passo: in 2.134 prodotti manifatturieri non alimentari la Cina ha realizzato un surplus netto superiore alla Germania; subito dopo veniamo noi con 1.215 prodotti, portando a casa 150 miliardi di dollari, vale a dire il 6,8% del prodotto interno lordo.

Fortis ha buone notizie anche sulla nostra finanza pubblica. Dal 1996 al 2013, in percentuale sul prodotto interno lordo, il debito pubblico italiano, esclusi gli interessi, ha avuto il minore aumento nel mondo (0,8 punti), secondo solo alla Finlandia, che addirittura lo ha diminuito di 36,9 punti. In Germania è aumentato di 4 punti, comunque una bazzecola rispetto a Francia (20,1 punti), UK (32,1), USA (38,7) e Giappone (72,9), per tacere di Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda (rispettivamente con 31,1/ 32,6/ 43,6 e 44,3 punti).

Ciò che Fortis non ha detto era già stato detto nella stessa sede da Mario Baldassarri il 29 gennaio, nel primo incontro. In breve, con le parole del VII Rapporto sull’economia italiana, da lui diretto e presentato a Roma nel luglio 2013: “il governo Berlusconi – Tremonti ha aumentato le tasse più di tutti e ha aumentato ancor più la spesa corrente; il governo Prodi – Padoa Schioppa ha aumentato spesa corrente e tasse quasi dello stesso ammontare; il governo Monti nel 2012 ha contenuto la spesa corrente con un aumento di soli 8 miliardi e ha aumentato il totale delle entrate di 20 miliardi” [p. 24].

Con una spesa pubblica in forte crescita dagli anni 1980, è un grande e tacito merito di una parte della nostra struttura tecnica statale (la Banca d’Italia anzitutto) di avere contenuto l’incidenza del debito pubblico primario (prima degli interessi) molto più degli altri paesi sviluppati. Il governo ha licenza di spesa e se la vede con le tasse, ma il rapporto tra debito e prodotto interno lordo (prima degli interessi) è responsabilità di chi governa l’emissione di moneta. La buona notizia è che una parte almeno della burocrazia italiana è migliore non solo di ciò che sembra, ma anche di altre che rispetto a essa hanno fama di fare meglio. Questa spina dorsale dello Stato italiano oggi è più forte con l’euro, governato ora da un ex governatore della Banca d’Italia (e ex Goldman Sachs: nessuno è perfetto, ma non è male conoscere i meandri della finanza globale).

La spina dorsale della società italiana è invece il risparmio familiare, un punto di forza che fa solo capolino nel dibattito interno e internazionale, anche perché in UK e USA, leader della finanza mondiale, il debito delle famiglie è enorme, la leva che fino alla crisi del 2007 ha unito la felicità familiare di spendere più dei guadagni a quella pubblica di un prodotto interno lordo in crescita. La crisi è nata proprio dall’eccesso di debito privato in USA. In UK, paese europeo della nostra taglia, il debito complessivo (pubblico, bancario e familiare) è da tempo superiore di nove volte al prodotto interno lordo.

Perché allora gli esorbitanti interessi sul nostro debito pubblico? Tra paesi alleati e nominalmente sovrani, è buona educazione alludere piuttosto che dire esplicitamente, lasciando ai cittadini di ogni paese trarre le conclusioni e fare le somme. La motivazione ufficiale è che la nostra finanza rischia di andare fuori controllo, spendiamo troppo e male. Le due cose vanno insieme, dice Baldassarri: le tasse finiscono in spese correnti che continuano ad aumentare, mentre si tagliano gli investimenti pubblici, specie nell’ambiente (patrimonio costruito nel passato) e nella istruzione e ricerca (leva del futuro). Per la spesa pubblica esiste solo il presente. Nel mondo, Italia significa ‘presente’ non perché c’è, ma perché non si cura del passato né del futuro. Carpe diem. Il limite è stato superato con la proposta di chiudere gli occhi sull’operato di governo in cambio dell’abolizione dell’imposta sulla prima casa, unico paese al mondo. Noi spendiamo come vogliamo, voi non pagate le tasse.

Per operatori finanziari più preparati e agguerriti di noi è solo una questione di mestiere anticipare gli eventi, senza attendere che la finanza pubblica italiana vada fuori controllo. Ce l’hanno detto con le parole e con lo spread, affinché ci fossero chiare le conseguenze, se non le questioni.

In questi giorni il rapporto dell’UE sulla corruzione in Europa ci attribuisce metà delle mazzette pagate nel continente, chiede espressamente di vietare le leggi ad personam e di penalizzare il falso in bilancio. Sono parole chiare, anche nelle loro conseguenze, se noi non facciamo nulla: lo spread e probabilmente i contributi europei (vogliamo mica dare i nostri soldi a chi, oltre a sperperarli, se li fa rubare?).

In questi stessi giorni il governo ‘europeo’ Letta vacilla. Si ha notizia che è a buon punto l’accordo con la Svizzera per eliminare il segreto bancario, con ricadute fiscali concrete. C’è allarme in Italia, là ove si puote ciò che si vuole, dietro il velo della riforma elettorale e della governabilità, come se ancora una volta bastasse avere governi stabili senza credibilità. Abbiamo già dato, in cambio solo di insulti e danni, non soltanto erariali.

Viviamo giorni cruciali, soprattutto i nostri ancora incolpevoli nipotini, né peccatori né corrotti.

 

Giuseppe Gario

 



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