29 gennaio 2014

PD: LE PROSSIME PRIMARIE PER IL SEGRETARIO REGIONALE. ATTENTI A NON SCIUPARE


Il 16 febbraio si terranno le primarie aperte per eleggere il segretario regionale del PD. Nell’ottobre 2007 Maurizio Martina vinse con 207.400 preferenze contro le 58.355 di Riccardo Sarfatti; nell’ottobre 2009 con 190.377 voti (pari al 54,04%) rivince Maurizio Martina, Emanuele Fiano ottenne 102.694 voti (pari al 29,15%) e Vittorio Angiolini 59.208 voti (pari al 16,81). In entrambi i casi si è trattato di primarie contemporanee a quelle nazionali. Alle primarie nazionali di coalizione nel 2012 i votanti furono 435.000 in quelle solo PD dello scorso dicembre 377.000.

02marossi04FBAlle primarie per i parlamentari hanno votato 104.327 elettori. Alle primarie per i segretari provinciali l’autunno scorso hanno votato 28.997 elettori (il 77,67% degli aventi diritto, gli iscritti, con punte del 90% a Varese e del 51% a Cremona).

Il primo obiettivo del PD è quindi portare a votare quanti più elettori per meglio legittimare il segretario, partendo dalla platea degli iscritti circa 37.000 (nel 2007 i DS ne avevano 45.313; nel 2009 il PD 47.679; nel 2010 51.112; nel 2011 43.071; nel 2012 37.356 ).

Quello che va a congresso è un partito in buona salute, al governo dei principali capoluoghi della regione Milano, Brescia, Monza, Como che ha ottenuto il 25,32% alle elezioni regionali, il 27,3% al Senato all’interno di una coalizione che ha preso rispettivamente il 37,23% e il 29,7%. La differenza con Maroni a livello di liste è stata di circa il 6% con Berlusconi del 7,9% (uso il senato perché il premio di maggioranza con il porcellum è a livello regionale). In pratica la differenza va dai 300 ai 400.000 voti.

Un netto miglioramento rispetto allo scontro Penati/Formigoni quando mancavano più di un milioni di voti ma vicino al risultato di Sarfatti/Formigoni quando il sinistra centro prese il 43,6%. Ma un miglioramento più netto rispetto al senato 2008 quando la differenza fu di 1.312.000 voti o a quelle del 2006 con più di 800.000 voti.

La questione centrale è che al calo di voti delle coalizioni di centro destra non è corrisposto un aumento di voti del centro sinistra, anzi in valori assoluti si è perso. Colpa dell’astensione si dirà, colpa dei grillini, colpa delle liste del candidato, colpa del destino “cinico e baro” ma probabilmente colpa anche di un partito che appare privo di personalità. Mentre a livello nazionale si è andati verso l’identificazione segretario = leader = candidato a premier, a livello lombardo questo non è avvenuto anzi si è andati alla ricerca del papa straniero. Carenza di leadership? Probabilmente si (con l’eccezione di quella di Penati che però ha generato un diffuso senso di colpa che condiziona non poco il partito) ma anche carenza di una strategia chiara.

Il centro sinistra lombardo ha oscillato finora tra un radicalismo interno formale (esemplare il caso di Etico che prende 52.000 voti alle elezioni rispetto ai 34.000 delle primarie) e un reale moderatismo che lo porta all’afasia nei confronti del governo Letta che ha come protagonista assoluto il duo Formigoni Lupi per anni indicati come sentina di tutti i mali.

L’elezione del nuovo segretario regionale non dovrebbe quindi essere un appuntamento burocratico minore ma nessuno sembra accorgersene.

La previsione è facile: Alessandro Alfieri il candidato renziano sostenuto anche dalla maggioranza dei non renziani (come diceva Flaiano “l’italiano è maestro nel correre in soccorso del vincitore”) ha già vinto contro Diana De Marchi candidata civatiana milanese, anche se:

1) Alfieri è vittima del “renzismo per dummies”, della banalizzazione di quello che sta avvenendo nel PD. Infatti se si accredita l’idea che il meglio per il partito sono i “ggiovani”, se la strategia è il nuovismo e la velocità, se la tattica principe è la rottamazione risulta evidente che chiunque stia sulla piazza da più di un anno è obsoleto. Tanto più che in tempi di Twitter, Facebook, etc le facce si consumano presto. Inoltre Alfieri eredita la perdente gestione di Martina di cui è stato collaboratore consentendo alla sfidante di affermare “L’alleanza sancisce la volontà di mantenere il potere”. Insomma i renziani per alcuni sono già appartnik e la De Marchi che è nonna, rispetto ad Alfieri sembra una liceale.

2) In un partito frantumato in correnti con mille personalismi e varianti locali e che dovrà eleggere anche l’assemblea regionale Alfieri viene ritenuto poco carismatico e cool. Ad esempio la dichiarazione di Bussolati: “Lo sostengo perché incentra la sua proposta sull’autonomismo lombardo e sull’esigenza di costruire i presupposti per una vittoria nel 2018 in Regione Lombardia.” è abbastanza fantozziane; sfido chiunque a trovare un individuo che si candida a segretario per costruire i presupposti di una sconfitta alle regionali e per aumentare la dipendenza da Roma; ergo Alfieri potrebbe pagare lo scarso entusiasmo che lo circonda.

3) non ho mai creduto al fatto che le donne votano le donne, ma un qualche effetto positivo se partecipasse un elettorato non militante potrebbe esserci per la De Marchi. Mentre è irrilevante il fatto che Alfieri arrivi dalla Margherita: sono appartenenze ormai dimenticate.

Ma lasciando perdere le questioni strettamente correntizie del PD, che pure hanno un peso visto che la ipotizzata nuova legge elettorale mantenendo un parlamento di “nominati” rende la nomenklatura più forte e il segretario regionale fin dai tempi dei partiti della prima repubblica è il n.1 della nomenklatura, penso che il congresso dovrebbe fare i conti con tre convitati indesiderati: Ambrosoli, Pisapia, Grillo.

Ambrosoli visto il quadro di partenza (dimissioni anticipate della giunta Formigoni, rottura del centro destra, candidatura di Albertini) significa misurarsi con una sconfitta devastante. Significa da subito mettersi alla ricerca di un candidato, magari interno e fare i conti con quella che si chiama “apertura al civismo”, più banalmente la delega fiduciaria e fideistica al candidato e alle sue liste.

Pisapia significa misurarsi con una entusiasmante vittoria passata e una quotidianità che non ha nulla di entusiasmante. Il sindaco dovrebbe essere a tutti gli effetti il leader del centrosinistra lombardo ma non esercita questa funzione anzi se ne tiene accuratamente lontano (per non dire che la schifa). Il neo segretario milanese come da tradizione, per affermare la sua leadership, dovrà “mozzicare” la giunta. Per ora si limita a chiedere un cambio di rotta: «Bisogna essere più presenti nelle municipalizzate e serve un rinnovo della classe dirigente guardando competenze, meriti e anagrafe» tradotto un rimpasto e un riequilibrio, ottenendo in risposta da quelli che furono gli arancioni milanese la ricandidatura di Pisapia. Il nuovo segretario regionale considerati i molteplici intrecci (Expo, Aler etc) dovrà fin da subito mettere mano alle faccende milanesi e scegliere tra Bussolati e D’Alfonso.

Grillo significa andare a cercare i voti persi e qui la questione si fa più complessa. Il PD lombardo deve necessariamente recuperare voti moderati perché se non sottrai voti all’avversario diretto nelle sfide a turno unico non vinci e in questo Renzi è perfetto, contemporaneamente non può perdere voti ma anzi deve recuperarne a sinistra, movimentisti o di protesta, perché il gap con il centrodestra non è piccolo e qui Renzi serve meno. Quindi il nuovo segretario dovrà avviare stringenti campagne d’opinione, alle quali il PD pare del tutto disabituato.

Il primo banco di prova saranno le elezioni europee, nel 2009 il PD ottenne un disastroso 21,3% e le elezioni comunali, con 1043 comuni al voto il 67,6% dei comuni lombardi tra cui Bergamo, Cremona e Pavia, tre amministrazioni di centro destra.

 

Walter Marossi

 



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