22 gennaio 2014

la posta dei lettori_22.01.14


Scrive Antonio Piva a Jacopo Gardella – Ho letto con grande piacere l’articolo a proposito della Pietà di Michelangelo e mi allineo con quanto hai commentato. Nelle stesse pagine ho scritto anche io un accorato appello rivolto a tutti i responsabili di questa operazione chiedendo di fare un passo indietro. Ora tu insisti e fai bene a non perdere l’occasione di istillare qualche dubbio su una operazione, come tu dici, inutile, costosa, sbagliata dal punto di vista museografico ed io aggiungo scellerata! Ma quanti siamo a pensarla allo stesso modo?  Spero che i lettori diano un segnale forte, competente come hai fatto tu riflettendo anche sui guasti commessi in questa città negli ultimi anni. Il silenzio, come si sa, aggrava la responsabilità di ciascun individuo.  

 
 

Scrive Ernesto Giorgetti a Jacopo Gardella – Le osservazioni di Jacopo Gardella sono tutte sottoscrivibili ma mancano di dare risposta alle situazioni di criticità che hanno innescato la proposta di nuova collocazione: 1. Richiesta di visione dell’opera da parte di un maggior numero di visitatori contemporaneamente. 2. Accessibilità da parte degli handicappati.

Riguardo al primo punto se si considera che l’utenza media è quella del pullman di 50 visitatori chiaramente con uno o due di questi utenti medi siamo di fronte all’assoluta incapienza dell’attuale impianto espositivo. Bisogna forse prioritariamente riconoscere che la Pietà non è n’è l’Ercole Farnese n’è la Paolina Borghese ma un’opera la cui unicità e particolarità obbliga una visione vicina, raccolta e personale quale quella attuale che racchiude in uno spazio a misura che richiama le cappelle delle nostre chiese milanesi.  Se si recepisce questa lettura il problema della maggiore fruibilità decade a meno che si voglia perseguire una visione “cannibalizzata” dell’opera quale quella di Monna Lisa al Louvre. A mio parere la valorizzazione dell’opera d’arte in un museo ha poco a che fare con la maggiore fruibilità ma attiene precipuamente al corretto rapporto fra “quella opera” e l’impianto espositivo a essa più congruo.

Quanto al secondo punto relativo all’accesso per gli handicappati credo che in luogo si possano trovare soluzioni adeguate, anche forse rivedendo la collocazione del Bambaia che così come ridotto dopo i ritrovamenti successivi del monumento ha perso il valore della primitiva collocazione, ormai ridotto ad angolo di magazzino.

 

Scrive Patrizia Rossetti ad ArcipelagoMilano – Desidero portare alla vostra attenzione un problema che a Milano è già stato di interesse di vari mezzi di comunicazione: il palazzo/residence di via Cavezzali. L’altro giorno sono andata a trovare i miei figli che abitano nel caseggiato a fianco dell’edificio di Via Cavezzali e a dir poco sono rimasta allibita come, a oggi, non solo non sia stato debellato definitivamente il problema della spazzatura ma addirittura sia peggiorato lasciando chi vive a ridosso di questo edificio in uno stato di pattumiera a cielo aperto.

La spazzatura non solo continua ed essere ammucchiata come capita, ma ora è addirittura sparsa in tutto il cortile (ovviamente buttano la pattumiera dalle finestre) visto che sacchi e sacchetti sono aperti, con pezzi di ogni che vagano in tutto il cortile, facendo la felicità di piccioni e volatili di ogni genere che finalmente hanno trovato dove andare a mangiare come avvoltoi. Non posso credere che il Comune di Milano e la ASL (perché qui si tratta di igiene) non riescano a risolvere definitivamente questo problema.

Se è di così difficile soluzione propongo che il Comune e la ASL obblighino l’amministratore/a della casa a costruire un piccolo caseggiato (e lo spazio esiste!) dove obbligatoriamente i condomini di via Cavezzali debbano mettere la pattumiera pena pesanti multe emesse dopo controlli giornalieri.

Sono convinta che risolveremmo tre problemi: il Comune che sicuramente si metterebbe in tasca (visto la recidiva) molti soldi, l’amministratore/a costretto a occuparsi professionalmente del problema visto che mi sembra sia assente e i condomini degli edifici vicini potrebbero vivere in un posto “non da terzo mondo”. Non si può distribuire ai cittadini i secchielli per l’umido e lasciarli vivere in mezzo all’immondizia.

 
 

 
 



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