4 dicembre 2013

POLITECNICO. 150 ANNI DI STORIA COMINCIATA ANCHE PRIMA


Quando ho varcato per la prima volta il cancello del “Poli” in Piazza Leonardo non avrei mai pensato la quantità di “dolori e gioie” – rigorosamente in quest’ordine – che avrebbe rappresentato per me quel luogo.

09verga42FBAvendo frequentato il liceo classico era quasi scontato che trovassi difficoltà all’inizio del corso, ma non pensavo che fossero così grandi al punto da portarmi sull’orlo della rinuncia, giustificabile solo dal fatto che la scelta di ingegneria era stata per me una strana scelta dell’ultimo momento. Avevo sempre pensato di imboccare la strada di giurisprudenza e, parlandone in quei giorni di trepidazione con i miei amici del liceo, la fuga dalle difficoltà per imboccare la strada alternativa sarebbe stata sicuramente una via più facile e, in qualche modo, più congeniale al corso di studi fino a quel momento seguito.

Ma è stata proprio la fatica iniziale che mi ha fatto “capire il Poli” cui, poi, sono stato sempre grato. Ho capito nel tempo la grandezza di quella Università, anzi di quel Politecnico. Negli anni del ’68 e seguenti, in cui ho frequentato il Poli, si transitava dal passato al futuro: sia nella razionalità degli ingegneri sia nella creatività esuberante degli architetti; il Poli è stato, infatti, allora lo spaccato più eloquente della complessa società italiana nel suo più importante periodo del dopoguerra.

Ho avuto la fortuna, poi e ancora prima di laurearmi, di coinvolgermi nel Collegio degli Ingegneri dove ho trovato ingegneri, tutti “politecnici”, che mi sono stati di esempio e di guida nella professione e nella vita e, tramite loro, ho capito la grandezza dell’esperienza degli studi che avevo avuto l’avventura di seguire.

Si, il Collegio degli Ingeneri che, anche con l’impulso che ho collaborato a dare durante la mia presidenza a cavallo tra anni ’90 e il 2000, è ridiventato sempre più Collegio degli Ingegneri e degli Architetti come lo era stato alle origini quando nel 1563 venne fondato da Filippo II durante la dominazione spagnola che è stata l’unica dominazione positiva in Italia. Ingegneri e architetti, forgiati allora nella bottega come gli artisti e via via, poi e sempre, preparati dal Poli per dare il meglio alla Città, al Paese e alla crescita nel futuro tutto da progettare e da costruire.

Il Politecnico di Milano, infatti, nasce idealmente e di fatto dal Collegio e ne concretizza la ragione di essere perché diventa Scuola – Istituto Tecnico Superiore – nel 1863, esattamente 300 anni dopo la nascita del Collegio, su impulso degli imprenditori lombardi e milanesi di metà ottocento: illuminati imprenditori che capiscono l’importanza della formazione per stare nel tempo e nel mercato, che già allora si mondializzava, e che proprio per questo danno vita al Politecnico. Imprenditori privati, quindi, che vivono la scommessa di mettersi al servizio della società risultando, poi, di esempio agli altri che nel tempo hanno fatto nascere tutte le undici Università Milanesi e che, presto, sempre per illuminato impulso “privato-sociale” e nella migliore tradizione della sussidiarietà ambrosiana, diventeranno dodici.

C’era appena stata l’Unità d’Italia e cominciavano le “Esposizioni Nazionali e Universali” culminate in quella fantastica del 1906 che ha visto Milano e la sua scuola di Ingegneria e di Architettura dimostrare al mondo la propria grandezza.

Ma il Politecnico è ancora di più. È un pezzo di Città ed è Città in ogni occasione e luogo, dove si colloca nel tempo. Infatti dopo Piazza Cavour, genera Città-Studi, trasforma la Bovisa da periferia in Città, fa uscire dal provincialismo e fa diventare “Luoghi” Lecco, Mantova e tutte le altre sedi che sono sorte intorno a quella storica di Milano. Ma il Politecnico è prima di tutto e soprattutto una cultura e un costume, anzi e meglio: è una filosofia. Sì, non soltanto perché oggi si è sempre più attratti dalla filosofia della scienza, ma perché la filosofia sta tornando aristotelicamente all’unità dei saperi per troppo tempo divisi tra saperi umanistici e scientifici. E l’unità porta alla “Persona” che è sintesi tra ciò che è materiale e l’immateriale. Questa è la forza storica e attuale del Politecnico.

Quella che mi ha aiutato, anche nell’esperienza politico-amministrativa oltre che professionale, a razionalizzare e ordinare temi e problemi riportandoli alla semplicità possibile e consentendo, così, di discutere e operare, con passione senza ideologismi o preconcetti, con gli altri prescindendo da appartenenze politiche, da condizioni economiche e da competenze disciplinari. Quella che mi ha fatto soffrire all’inizio, ma poi mi ha dato la gioia di capire che ognuno di noi può fare qualcosa di materiale e di immateriale per gli altri.

Gianni Verga



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