27 novembre 2013

IL “RESTAURO” DELLA CASA AL PARCO DI GARDELLA: UNO SCEMPIO CHE SI POTEVA EVITARE


Da vari anni la Casa al Parco di Ignazio Gardella, tra i capolavori dell’architettura moderna milanese, è avvolta dai ponteggi di un cantiere. Solo poco fa sono state rimosse le prime impalcature, rivelando il nuovo volto della facciata che guarda il Parco Sempione. Pur essendo un edificio “simbolo” dell’architettura moderna italiana, pubblicato in importanti monografie e presentato in mostre prestigiose, non gli è stata risparmiata una radicale ristrutturazione, i cui esiti sono stati presentati al pubblico giovedì 17 ottobre al convegno “Movimento Moderno e Razionalismo: esempi di restauro a Milano“.

09sacerdoti41FBNe hanno parlato l’architetto Francesca Riva Belli-Paci, principale progettista, e una vasta schiera di professionisti addetti ai vari aspetti tecnici. Il committente non è stato citato, ma qualche indizio lascia pensare che si tratti della famiglia Tognella, la stessa che fece costruire l’edificio negli anni 1947-1953. Nel 2011 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano ha apposto un vincolo monumentale sull’edificio, che però non sembra aver influenzato affatto l’esito dei lavori: una pesantissima opera di ristrutturazione che, dopo la demolizione di molte parti anche strutturali dell’edificio, ha tentato goffamente di riprodurne dettagli e finiture esterni con materiali nuovi.

Tutto ciò in palese contrasto con i più avanzati criteri del restauro, secondo i quali conta non solo il rispetto dell’immagine originaria dell’edificio ma anche, quando possibile, la scrupolosa conservazione dei materiali originari. Le demolizioni sono tanto più gravi se si considera che dall’epoca della sua costruzione la Casa al Parco aveva subito ben poche modifiche, tranne qualche opera di manutenzione ordinaria. A giustificazione dello scempio sono state addotte motivazioni tecniche e normative: vi sarebbero stati gravi fenomeni di degrado e vari difetti costruttivi, nonché una totale inadeguatezza alle attuali norme antisismiche e per il risparmio energetico.

Ma un intervento su un edificio che riveste una tale importanza per la storia dell’architettura milanese poteva ammettere qualche deroga alla normativa, così come avviene per gli edifici monumentali delle epoche passate. Il progetto ha comportato l’eliminazione delle pareti divisorie, degli arredi fissi, degli infissi e dei pavimenti, tra cui quelli pregiatissimi in marmo che compaiono nell’articolo di Gio Ponti dedicato alla casa, pubblicato sulla rivista “Domus” nel 1951. Demoliti e rifatti anche il solaio dell’ultimo piano e la copertura, nonché le velette in ferro, legno e rame che come un’aureola (così scrisse Gio Ponti) definiscono la terminazione dell’edificio verso il cielo. L’inserimento delle nuove strutture in acciaio – motivato ufficialmente da ragioni sismiche – pare assai più giustificato dalla costruzione del nuovo piano in sopralzo, che moltiplica a dismisura un preesistente volume tecnico.

Il sopralzo ha l’aspetto di una scatola “in stile” posata sul tetto e altera in modo irreversibile le proporzioni dell’edificio e la sua concezione architettonica. Durante le loro presentazioni i progettisti hanno naturalmente evitato di citare il sopralzo o mostrare immagini compromettenti, che avrebbero offuscato il loro prestigio di provetti “restauratori”! Neppure sono state mostrate le piante dei piani, sicché non è chiaro se la nuova organizzazione interna degli appartamenti sia rispettosa del progetto di Gardella.

Se alcune modifiche possono essere giustificate con l’argomento del comfort degli abitanti, altre appaiono superflue e giustificate unicamente dall’ansia di eliminare la pur minima spesa futura di manutenzione: la sostituzione dei parapetti in ferro con parapetti nuovi in acciaio zincato e il rifacimento con strutture in acciaio delle velette di coronamento delle facciate, con il pretesto del ferro arrugginito e del legno marcio.

A un confronto attento tra le velette originarie e quelle nuove si osservano varie difformità di disegno, tra cui l’aumento di spessore e la minore sporgenza – assolutamente inspiegabile – sul lato verso via Paleocapa. Sul lato verso il Parco viene inoltre a mancare il passaggio della luce sotto la veletta, impedito dal parapetto del sopralzo, con la perdita dell’originario “effetto aureola”.

L’operazione più grave riguarda la facciata verso il Parco Sempione: la trave in alto, appena sotto la veletta di coronamento, è riapparsa con un rivestimento in rame, del tutto difforme rispetto alla sua originaria finitura intonacata. La soluzione adottata rivela la sostituzione della trave originaria in cemento armato con quella nuova in acciaio, che difficilmente potrebbe essere ricoperta d’intonaco. Si è persa così l’originaria soluzione di raccordo con i pilastri del loggiato sottostante, che si sovrapponevano alla trave con una lieve sporgenza: era uno dei dettagli più raffinati dell’intero edificio.

Nell’insieme, questa operazione ricorda quella subita da un altro celebre edificio milanese del Novecento, il Palazzo Castiglioni di corso Venezia – capolavoro assoluto del liberty italiano – sventrato impunemente nei primi anni Settanta per trasformarlo in sede dell’Unione del Commercio della Provincia di Milano. E non tanto diverso è un altro intervento recente presentato allo stesso convegno, quello sull’Arengario trasformato in Museo del Novecento su progetto di Italo Rota.

Viene spontaneo domandarsi quali progressi abbia fatto la tutela dell’architettura del Novecento a Milano da quarant’anni a questa parte, e quale sarà la prossima vittima del “modernismo” sfrenato che, nel bene e nel male, contraddistingue la nostra città. Tra gli edifici a rischio, su cui sarà opportuno tenere gli occhi ben aperti, ci sono la ex Casa del Balilla in via Mascagni, la Torre Galfa in via Galvani e la ex stazione di servizio AGIP in piazzale Accursio.

 

Pierfrancesco Sacerdoti

 



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