20 novembre 2013

IL GRANDE MUSEO DEL DUOMO DI MILANO: UNO SPAZIO DI FASCINO


Sono stato tra le prime persone del pubblico a entrare negli stessi spazi rinnovati di questo grande Museo che ricordavo nella versione proposta dall’architetto Reggiori nel 1953. I tempi da allora sono molto cambiati, come del resto gli interessi del pubblico cui gli spazi e i contenuti si rivolgono.

05piva40FBAnche se le opere del Museo del Duomo sono le stesse di allora, nell’esposizione di Guido Canali tutto è cambiato. Cambiano l’organizzazione dello spazio, i percorsi destinati al pubblico, l’evidenza delle opere esposte, la cucitura degli spazi che, appartenendo a epoche diverse, si susseguono con tutte quelle variazioni dimensionali e di dettaglio che le rendono differenti e uniche. Cambia l’illuminazione e di conseguenza gli effetti provocati dai fasci di luce artificiale che esaltano le ombre dei modellati i luccichii dei metalli, i bagliori dei bianchi delle pietre e dei marmi.

Canali introduce un pavimento grigio di cemento che uniforma tutte le superfici di calpestio, si sbarazza dei marmi di Reggiori con un atto di coraggio. Con pendenze diverse regolarizza i dislivelli lasciando poi alle pareti, dove possibile, le loro finiture d’origine, concentrando l’attenzione sulle opere, molte, diverse tra loro, importanti per origine e fattura.

Lungo il percorso si presenta uno spettacolo. Le presenze delle statue come quella di Santa Agnese, marmo di Carrara del 1491, oppure di Sant’Agapito, marmo di Candoglia del 1605, oppure ancora della grande testa in rame dorato dell’Onnipotente, appaiono come figure di un dramma, personaggi che quasi potresti toccare tanto sono vicini osservabili in ogni dettaglio. I tagli diagonali introdotti negli spazi facilitano prospettive che concentrano l’attenzione in particolare sulle opere più significative non da ultimo sul grande modello del Duomo entrato nella memoria dei piccoli di allora che entrerà di buon grado anche nella memoria dei piccoli visitatori di oggi.

Nella sala in cui sono esposte le oreficerie trionfano gli ori e le pietre preziose, come nella saletta ovale si susseguono le vetrate dell’Apocalisse e di San Giovanni Evangelista della seconda metà del XV secolo. Le piccole sculture di gesso sono raccolte ed esposte come in una libreria e la saletta di passaggio in cui sono inserite offre un insieme leggibile con un colpo d’occhio.

Canali è attento ai dettagli, sa scegliere i materiali poveri che a volte trasforma in qualcosa di prezioso. Ha sempre lavorato senza seguire le mode e senza protagonismi a Parma nella Pilotta, a Siena nel Museo Archeologico e in altre occasioni in cui si è distinto per la misura dei suoi interventi. Ha lavorato quasi sempre con Italo Lupi che ha curato con la stessa misura ed eleganza la parte riguardante la comunicazione. Tutto questo comunque lascia aperte ancora osservazioni e dubbi su alcune scelte.

L’organizzazione funzionale dello spazio sembra a volte penalizzare alcune destinazioni come quella dell’ingresso troppo angusto per lo svolgimento dell’accoglienza, come del resto molti passaggi possono sembrare troppo esigui per rendere fluido il percorso di scolaresche e dei gruppi. Un amico mi ha fatto notare come possa essere pericolosa la piccola e bassa transenna che delimita i percorsi. Altri hanno espresso dubbi sulla rinunzia della luce naturale che avrebbe in alcuni casi permesso una comunicazione visiva con l’esterno, anche verso il Duomo nelle due ultime salette all’uscita.

Posso condividere alcune di queste osservazioni cui non ho dato peso eccessivo. Al termine della mia visita al museo ho incontrato Canali e Lupi cui ho affidato il senso del piacere del benessere che mi veniva dal loro lavoro. Il benessere ha a che fare anche con l’ottimismo che a volte vacilla per le realizzazioni modeste che invadono la città e fanno stare male. Il loro lavoro invece contribuisce alla conciliazione perché oltre a tutto traspare impegno nel fare, sensibilità, entusiasmo che mette alla prova e ogni volta invita a superare inevitabili errori con animo dubbioso e disponibile a una nuova ricerca.

 

Antonio Piva

 



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